Tutti a visitare “Lo zoo” di Marilù Oliva
Un noir-allegoria della società moderna, dove forse l’omicidio è meno importante rispetto a quanto ci si aspetta in romanzo del genere. È Lo zoo di Marilù Oliva, scrittrice bolognese di narrativa e saggistica, autrice di questo nuovo lavoro pubblicato da Elliot Edizioni, che si inserisce in una quadrilogia dedicata al concetto del tempo avviata con Le sultane. Salutato dal giallista Romano De Marco come «una potente, disincantata allegoria, stigmatizzando le bassezze e le ossessioni del decadente mondo occidentale», Marilù Oliva racconta la storia di un zoo costruito nel Salento dove sono rinchiusi alcuni personaggi tanto bestiali quanto surreali, l’Uomo Scimmia, la Sirena, il Ciclope e la Donna Anfora, raccattati ai quattro angoli del mondo dalla perfida Contessa. È lei, infatti, la burattinaia di questo mostruoso progetto messo in piedi per soddisfare la voglia di riscatto del suo uomo, un chirurgo plastico tanto fallito quanto ambizioso: la Contessa ha messo a disposizione del suo compagno questo nefando campionario perché potesse intervenire con la sua “maestria” e creare piccoli mostri, capolavori di chirurgia plastica che lo consacrassero dinanzi al mondo scientifico.
Per realizzare questo disegno la Contessa, una ex Diva della tv in totale decadenza, ma ancora molto potente, si avvale delle prestazioni di una serie di loschi soggetti, utili alla sua causa e costretti al segreto da ricatti e meschinità senza fine. Il ventaglio delle tipologie dei personaggi da noir è rispettato alla perfezione – dalla cameriera sciocca al guardiano che ha smanie da “tronista” e pubblica le sue performance sui social network – ma declinato in modo del tutto nuovo, in una sorta di strano rovesciamento di fronti, dove i cattivi, in fondo, non sono del tutto cattivi, bensì vittime, a loro volta, di situazioni tragiche e difficili.
Dalla deviazione alla pazzia, il passo è breve nello zoo della Oliva, che, in fondo, non poteva scegliere titolo migliore per quest’opera che si giova di una stesura scorrevole, di uno stile accattivante e di un buon ritmo, affiancati da grazia e da una sottile ironia che percorre tutto il romanzo. Anche la copertina, dal respiro onirico, quasi sudamericano, rende chiaro il messaggio.
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A tratti emergono quelle che sono le passioni di Marilù Oliva: nel romanzo si distinguono elementi che si rifanno ad un certo tipo di cinema, da Lynch a Tarantino, passando per quelle che lei stessa ha definito essere state le sue fonti, ovvero Acido solforico di Amelie Nothombe, Se questo è un uomo di Primo Levi e Kurt Vonnegut.
Dicevamo, dunque, che questo noir, pur rispettando i canoni del genere, non mette il crimine al centro della scena. È la scena stessa ad essere criminosa in tutte le sue esternazioni e aberranti rappresentazioni.
Ci sarà una sparizione che arriverà a stravolgere tutti i personaggi che si agitano intorno all’assolato zoo salentino – che per certi aspetti potrebbe essere anche un acquario, perché no? – da cui si dipartono diversi colpi di scena fino all’epilogo finale. È in questo momento, infatti, che tutti sono costretti a buttare giù la maschera e a rivelarsi per ciò che sono, a fare i conti con la loro essenza più intima. Chi è realmente vittima e chi è il vero carnefice? Chi è davvero prigioniero e chi è il carceriere? Ne Lo zoo, Marilù Oliva passa in rassegna con lucida analisi i mali del nostro tempo: la spettacolarizzazione del dolore, l’utilizzo malato, morboso e distorto dei social network, l’ossessione per la giovinezza, la corruzione. Lo fa usando il codice dell’ironia e del grottesco che permette di dissimulare questa giostra infernale in uno spettacolo cui, purtroppo, assistiamo ogni giorno impotenti. Forse dietro le sbarre di uno zoo ci siamo anche noi.
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