Trilussa, ironia e riflessione in versi
Il 26 ottobre 1871, a Roma nasceva Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, che però il mondo letterario, e non solo, conoscerà con lo pseudonimo anagrammatico di “Trilussa”.
La sua fama si deve, principalmente, alla produzione in versi dialettali romaneschi, ma egli è stato, oltre che poeta, anche scrittore e giornalista, donandoci col suo sguardo uno spaccato fondamentale della nostra storia, che va dalla monarchia sabauda alla neonata Repubblica.
La famiglia d’origine vive in condizioni economiche difficili, alle quali si aggiungono ulteriori tragedie: nel 1872 Trilussa perde la sorella di appena tre anni, due anni più tardi muore il padre. La situazione migliora quando il padrino di Trilussa, il marchese Ermenegildo de’ Cinque Quintilli, accoglie lui e la madre nel proprio palazzo. Fu grazie al marchese che il piccolo Trilussa conobbe Filippo Chiappini, seguace del grande poeta dialettale Gioacchino Belli, che divenne suo mentore e insistette affinché Carlo proseguisse gli studi, nonostante lo scarso interesse dimostrato dal ragazzo, che infatti li abbandonerà a 15 anni. Gran parte della sua formazione sarà, dunque, da autodidatta, appassionato delle composizioni del Belli.
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Nel 1887 firma il suo primo componimento, di ispirazione belliana, come “Trilussa”: l’opera è un sonetto intitolato L’invenzione della stampa, che termina con una critica alla stampa coeva. I versi vengono pubblicati sulla rivista «Il Rugantino», e segnano l’inizio di una prolifica collaborazione che porterà Trilussa a pubblicare quasi un centinaio di opere, in versi e prosa, tra 1887 e 1889. Le collaborazioni proseguono poi con altre riviste, il «Don Chisciotte»e «Il Messaggero», a cui si aggiungono le pubblicazioni delle raccolte poetiche, tra le quali spiccano Favole romanesche, Ommini e bestie, Acqua e vino.
Trilussa consegue successi, e comincia a declamare le sue poesie nei caffè concerto, nei teatri, nei salotti, divenendo poeta-commentatore, e nel 1898 compie il primo viaggio all’estero, a Berlino. Durante gli anni del regime non prende la tessera del Partito fascista, ma i suoi rapporti con il governo rimangono comunque tranquilli, benché la satira politica sia parte integrante della sua produzione.
Diviene, invece, membro dell’Arcadia e della Massoneria, e dal 1922 l’editore Mondadori comincia a pubblicare le sue opere. Nel 1950, il Presidente della Repubblica Einaudi lo nomina senatore a vita, e, dopo soli venti giorni, Trilussa morirà nella sua casa di Roma il 21 dicembre.
Temi fondanti della sua poetica sono la satira e la polemica ironica sulla politica e la società, e non mancano poesie contro il fascismo, la guerra e le derive razziste. Trilussa usa un linguaggio acuto e brillante, condito dal dialetto della borghesia: se il suo modello Belli narrava i ceti più umili, egli fa il contrario, si volge alla vita borghese, ma con tagliente ironia. La produzione di Belli era improntata al realismo, il suo linguaggio si modellava su quello più popolare; Trilussa eleva questo linguaggio, si avvicina maggiormente all’italiano e si concentra sul quotidiano, sulla vita di tutti i giorni, mettendo in bella mostra i vizi umani.
Il suo sguardo spazia dalla corruzione politica ai gerarchi, dai poco chiari affari tra uomini potenti alle grettezze e fragilità delle persone, e il tutto viene reso con metafore incisive, puntuali, che trovano come canale più efficace la formula della favola. Come i favolisti classici, anche Trilussa utilizza gli animali per denunciare i vizi dell’uomo, evitando però di fornire una morale che serva da insegnamento, offrendo piuttosto uno squarcio dei fatti reali, della realtà che tutti possono vedere quotidianamente.
Accanto alle favole e alla satira, grande risalto hanno i temi della riflessione e della nostalgia, che portano a conoscere un Trilussa più malinconico, intimo, crepuscolare, che parla dell’amore e della vita, che riflette sulla solitudine e la vecchiaia, lasciando spesso in secondo piano, in questi casi, sarcasmo e polemica.
Bolla de Sapone è, a questo proposito, uno dei suoi più intimi componimenti, che nella strofa finale recita:
Son bella, si, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte delle cose,
sta chiusa in una goccia. Tutto quanto
finisce in una lacrima di pianto.
La caducità della vita, la riflessione sconsolata della consapevolezza che il tempo va avanti e ciò che si è perduto non si recupera.
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Trilussa è molto di più del poeta dialettale che conosciamo, è un acuto osservatore che ha spaziato sugli aspetti della vita, pur con occhio ironico, ma sempre efficace. Il suo pensiero e i suoi componimenti sono più che mai attuali, e necessiterebbero di una rinnovata attenzione.
Per la prima foto, copyright: Christopher Czermak su Unsplash.
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