Tra ominidi e scienza per indagare l’origine della specie
Da dove arriviamo? Da chi discendiamo noi esseri umani? Domande che da sempre l’uomo si pone per comprendere l’origine della propria specie. Alla lista deli libri che indagano questa genesi si pone anche Noi, umani di Frank Westerman, edito da Iperborea.
Westerman è un giornalista autore di reportage con tema il razzismo, la cultura, e l’identità eche da sempre dimostra grande attenzione, non solo a quello che gli accade attorno dove vive e lavora, ma anche a quello che succede in luoghi lontani che, come si evidenzia in questo libro, possono essere eventi o situazioni distanti migliaia di chilometri, ma vicine per la per le caratteristiche che le definiscono.
In particolare nel libro Noi, umani, l’autore prende le mosse (e coinvolgerà nella ricerca anche i suoi studenti) da una serie di ritrovamenti separati di resti umani e animali antichissimi avvenuti nei pressi della Mosa, fiume che dalla Francia, attraversa il Belgio per arrivare nei Paesi Bassi e sfociare nel Mare del Nord. Questo però spinge la mente dell’autore ad un altro ritrovamento eccezionale che ci racconta con cura e dettaglio, cioè quello dell’Homo floresiensis.
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Tale scoperta è avvenuta nel 2003, sull’isola di Flores, in Indonesia, quando durante degli scavi venne ritrovato lo scheletro di un ominide, l’Homo floresiensis, che per le sue caratteristiche (alto poco più di un metro e dotato di un cervello di dimensioni ridotte) riaccese le indagini e i dibattiti sulle origini e l’evoluzione della nostra specie. Tante infatti furono le domane degli studiosi che si susseguirono da inizio XXI secolo in poi, perché l’Homo floresiensis eracosì diverso dall’herectus e non si capiva bene cosa fosse. Allora molti ricercatori si domandarono se quell’individuo con quella struttura ossea così ridotta fosse una nuova specie o una sorta di passo indietro nella scala evolutiva umana. Altri invece si posero la domanda se quell’individuo un tempo vivo, non fosse per caso affetto da nanismo o se invece la sua conformazione fisica fosse proprio quella.
«Giornali e riviste facevano congetture su congetture su questa creatura intermedia ancora sconosciuta tra scimmia e Homo Sapiens. Un a volta trovata e scientificamente dimostrata la figura di questo semianimale/semiuomo poteva gettare luce sul processo di evoluzione da animale a essere umano».
Tante teorie che portarono a vere e proprie diatribe, discussioni attorno al floresiensis, ma poche furono certezze. Con il ritrovamento dei resti dell’uomo nei pressi della Mosa, la macchina degli studiosi si rimise in moto, come ripartirono tutte le diverse supposizioni attorno a quei frammenti ritrovati che ricordarono- e ricordano- il fervore accaduto con l’uomo di Flo.
In Noi, umani, tradotto da Elisabetta Svaluto Moreolo, Westerman accompagna il lettore in quello che è un cammino in epoche, anzi, ere storiche, nella paleontologia e antropologia, con l’intento di aiutare a comprendere cosa determina gli esseri umani. Giusto per far capire a chi legge quanto il percorso di indagine sia a volte tortuoso, il giornalista non solo riporta le indagini, i rapporti e i fatti accaduti agli studiosi coinvolti nella ricerca, ma decide di coinvolgere i suoi studenti universitari del corso di reportage. Un’azione molto importante che consente, come si legge tra le pagine, a questi giovani di comprendere il modo in cui agisce sul campo alla ricerca di tutti i dati e le informazioni necessarie per la composizione di un reportage. Gli universitari di Westerman vanno in archivi, a visitare musei olandesi dove si trova la «Collezione Dubois», composta da una serie di resti antichi di fossili coloniali olandesi (40.000 tra denti, ossa e conchiglie) giunti su nave in quattro casse dall’isola di Giava, dopo gli scavi avvenuti a Giava e Sumatra tra il 1888 e 1895. O ancora, il reporter olandese muove i suoi ragazzi e ragazze a fare interviste agli esperti del settore, agli appassionati e collezionisti della materia. Perché? Per far intendere loro – e forse anche a noi- quanto è importante confrontarsi con il contesto concreto dove i fatti avvengono per recuperare tutti le nozioni fondamentali per costruire poi il proprio testo.
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Noi, umani è un po’ un reportage dove si mescolano la letteratura di viaggio, storia, scienza e il cosiddetto gonzo journalism, ossia quel giornalismo non troppo oggettivo, dove si preferisce, per esempio, più curare più lo stile che la precisione e si intende descrivere più le esperienze personali, le sensazioni, gli umori che i fatti.
Nel suo ultimo libro, il giornalista olandese ci racconta una storia. Quella delle nostre origini, ma anche le esistenze di coloro (esperti di paleontologia, archeologia, scienziati, ma anche autodidatti e appassionati) che queste vite ritrovate le hanno studiate. Allora ci si accorge che con quel Noi, umani del titolo, Frank Westerman, non si riferisce solo ai resti di ominidi ritrovati e forse a noi legati in qualche modo, ma fa riferimento anche quel modo di fare di alcuni studiosi che rendono la scienza più umana e più vicina a tutti.
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