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Tra l’indeterminato e il morboso. “La signora del martedì” di Massimo Carlotto

Tra l’indeterminato e il morboso. “La signora del martedì” di Massimo CarlottoSalutato da una critica, sempre più affannata alla ricerca dell’ennesimo capolavoro, come un romanzo in cui l’autore approda a territori originali mai sondati nelle proprie opere, La signora del martedì, di Massimo Carlotto, pubblicato per la casa editrice romana Edizioni e/o nella collana Dal Mondo, pare più che altro una furba e attraente trovata commerciale, pur confezionata con mestiere e un certo grado di perizia.

Se si somma a un titolo che – almeno sul piano della forma – pare riferirsi immotivatamente ai Giovedì della signora Giulia, una copertina biancastra, perlacea, lattiginosa in cui fanno bella scena di sé in primo piano lenzuola un poco gualcite, si evince un patente rimando, ma non si saprebbe definire quanto voluto, alla malizia che strisciava fuori, fino ad alcuni decenni fa, dalla penna di un altro popolare affabulatore, Piero Chiara.

Oltre il letto si apre una finestra, un balcone si affaccia su un paesaggio nebuloso, indeterminato, come una tipica «mattina […] padana, fredda e grigia». Senza fuoriuscire mai completamente dalle lande fosche e periferiche e dai non-luoghi (centri commerciali, strade, sale d’attesa) del noir e dell’hard boiled, dei quali negli ultimi anni era diventato nume tutelare in seguito a diverse pubblicazioni ben accolte sia dal pubblico sia dalla critica – si ricordino almeno Il maestro di nodi, vincitore del Premio Scerbanenco nel 2003 e La terra della mia anima, premio Grinzane Noir nel 2007 – Carlotto arriva a confezionare una storia dal sapore agrodolce e irrisolto.

 

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In un tempo non esplicitamente precisato ma in cui imperversano politici giovani dai capelli «ricci» e dallo «sguardo ottuso» e in cui all’oscurità evocativa e perturbante dei cinema si preferisce la banale tranquillità di un prodotto cinematografico da consumare fra le mura domestiche, si sdipana la melodrammatica e degradata vicenda sentimentale di un attore di film a luci rosse precipitato nell’abisso della depressione nell’imminenza dei quarant’anni.

Tra l’indeterminato e il morboso. “La signora del martedì” di Massimo Carlotto

Uomo piacente, «dal fisico scolpito» e il volto da divo dei «fotoromanzi» ma naturalmente anche «simpatico e abbastanza colto da sostenere una conversazione di medio livello senza sbagliare i congiuntivi», il protagonista era entrato in quel mondo torbido e patinato portando con sé l’ingombrante nome di Bonamente, impostogli dai suoi genitori, gli ambiziosi e benestanti signori Fanzago, per omaggiare un «avo dei marchesi che affittavano la terra alla famiglia da una decina di generazioni», «un letterato piuttosto quotato nel Quattrocento» (alcune veloci ricerche incrociate portano alla figura di Bonamente Aliprandi, giureconsulto mantovano, semisconosciuto autore di cronache e versi in latino).

Prontamente (ma assai poco fantasiosamente) soprannominato Zagor, come l’invincibile giustiziere di Darkwood dei fumetti, inizia a calcare le orme nel Far West della pornografia, diventando abbastanza noto e apprezzato, soprattutto tra gli «addetti ai lavori» e le attrici. Nel frattempo, alle ore sotto le telecamere, alterna la carriera di gigolò e conosce una donna che sarà molto importante per lui.

Dopo essere stato colpito da un ictus, vede il successo sfuggirgli dalle mani, diventa preda di una depressione dalla quale lo salvano infatti soltanto gli incontri con questa misteriosa signora. Ogni martedì, «dalle quindici alle sedici», la donna si unisce a Bonamente e l’attore, nel corso degli anni, si lascia pian piano catturare dal suo fascino arcano, eppure così quotidiano, quasi da moglie «perfettina» che rimprovera il marito incurante con «lezioncine» sulla raccolta differenziata.

Con l’innamoramento, il personaggio di Bonamente, nuova grottesca creatura partorita dalla vena fabulante di Massimo Carlotto e scelta come protagonista delle vicende, diventa ancora più patetico e tormentato fino a scoppiare a piangere durante il lavoro.

Ugualmente intrisi di malinconia sono anche gli altri personaggi che popolano la vita dell’attore caduto in disarmo: dal produttore Lorenzo Martucci, opportunista, cinico e disincantato fino all’arroganza; al professor Federico Bassi, «napoletano di rara raffinatezza e ironia» ma facile all’uscita lacrimevole, innamorato di Alfredo, il proprietario della pensione Lisbona, albergo sempre tirato a lucido ma ormai frequentato praticamente solo da Fanzago.

Tra l’indeterminato e il morboso. “La signora del martedì” di Massimo Carlotto

Le vette della pena si raggiungono appunto nella descrizione di Alfredo: compare, per la prima volta, in scena, dietro il bancone della reception, mentre è intento a sistemarsi la parrucca; poche pagine dopo lo vediamo andare a trovare Bonamente all’ospedale, «travestita da uomo» ma con «un trucco leggero sul viso». Tutto il personaggio è costruito sull’ambiguità: ne risulta un ermafrodito in decadimento, un «omino magro come un chiodo» che un tempo era stata «bella». L’insistito passaggio dal maschile al femminile non denota né una scelta di campo sicura, né un garbato e tagliente gioco d’ironia come sapeva improvvisarne Paolo Poli; è solo un trucchetto per accattivare il pubblico di questo cinemino osé: purtroppo odora di stantio, viene a noia dopo le prime pagine.

 

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Non a caso, tutta la lingua e lo stile appaiono ossessivamente morbosi, volti a titillare e vellicare di continuo gli occhi e le bave dell’inavveduto lettore. Il turpiloquio, l’indecenza e la provocazione abbondano e non rimane nulla di memorabile. Lo stesso tentativo di scavo psicologico riesce solo a metà perché i troppi sbrodolamenti da operetta pop-camp (i personaggi canticchiano Marianne Faithfull e Gianni Morandi), i pianti che rigano le guance e le scene volutamente oscene offuscano quasi tutto il libro e permettono di salvare solo poche pagine, quelle in cui emerge netta la sentenza attraverso la quale la malattia infligge l’inappellabile condanna all’inerzia, che già è morte, a ognuno di noi.


Per la prima foto, copyright: Andrew Neel su Unsplash.

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