Tra fuoco e acqua. “Hamburg. La sabbia del tempo scomparso” di Marco Lupo
Grazie ad Hamburg, pubblicato da Il Saggiatore nella collana “La Cultura”, Marco Lupo esordisce sulla scena del romanzo con un’operazione ambiziosa: tornare, in maniera innovativa e lontana da ogni abusato cliché tradizionale, a trattare delle atrocità commesse durante gli anni del secondo conflitto mondiale e dei loro effetti sulla psiche, i comportamenti e la memoria delle persone.
L’architettura dell’opera è, infatti, singolare e rivela, per come è governata, una mano sicura o quantomeno decisa a non ricadere nella banalità: al posto di procedere rispettando la cronologia degli eventi o servendosi del flashback come primo motore narrativo (come in gran parte della memorialistica, reale o di finzione), l’autore progetta una cornice, ambientata nella contemporaneità, in cui si muovono alcuni personaggi i quali, con il loro bagaglio di storie, tentano di radunare gli scritti frammentari di M. D., testimone del periodo della guerra e dei successivi –altrettanto terribili – anni della ricostruzione, decidono di leggerne «pezzi scelti in una sera di fine inverno» e di aprire gli argini per far divampare quello che ormai, anche nelle parole del narratore, è diventato un ossimorico «memoriale della demenza». Al lettore decidere se con “demenza” ci si riferisce all’oblio dei contemporanei o alla follia dei totalitarismi. O a entrambe.
Costellatidi elementi che spesso si saldano in immagini evocative – un esempio: «I fuochi esplodono nel buio come luci colpite a morte. Salgono dalle colline e scendono sul letto del fiume argentato»; oppure quei «bidoni fumanti in cui uomini dalla pelle tremante fanno abluzioni a petto nudo» e «I bagliori di un fuoco che resiste alla neve, al centro di un cerchio di uomini che indossano coperte» che tanto ci ricordano la situazione, anche attuale, di molte persone che vivono precariamente, in fuga da paesi funestati dalle guerre e dall’odio: dalla demenza della bestia umana – il primo capitolo e l’ultimo, eloquentemente intitolati Il fuoco e L’acqua, racchiudono, in concreto, le opere di M. D. o quello che ne resta: solo un libro, Hamburg, è intero; di altri (Uomini cavi, Treno di notte, Bahadir) restano solo i lacerti delle prime pagine; Il memoriale della demenza, non pubblicato, è «scritto a mano» e le sue pagine «sono state trovate in una busta di carta».
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L’ambiziosa operazione letteraria di Marco Lupo, tornando in maniera innovativa e lontana da ogni abusato montaggio tradizionale sulle tracce della nostra memoria storica (e del nostro oblio), oltre a un impianto narrativo originale, mostra, anche a livello di microstruttura, all’interno dei capitoli, dei paragrafi, delle frasi, la consapevolezza di una scelta che, pur richiamandosi direttamente a canoni tradizionali della letteratura (il diario, il resoconto, il memoriale) e del cinema (basti pensare al capitolo Il fuoco: inizia con un campo lungo – «[i fuochi] Crepitano sulle colline e intorno ai centri abitati» - e man mano si restringe prima su molti «uomini», poi su uno in particolare, fino a seguire, con un dettaglio «Le scarpe dell’uomo sulla ghiaia e nel fango del sentiero»), conduce a esiti stranianti.
Sul piano sintattico, per esempio, soprattutto nei punti strategici del testo (incipit, explicit, attacco di un capitolo) l’autore crea un clima di indeterminatezza e di transizione, di trasfigurazione: non precisa i soggetti, li sfoca, li avvolge nella nebbia, nasconde per pagine e pagine i nomi e i tratti dei personaggi; delle volte non si capisce di chi stia parlando in quel momento, se di un uomo o dell’altro uomo; in alcuni punti l’umano trascorre nel fenomeno naturale (si veda questo passo in cui narratore e pioggia paiono fondersi panicamente: «La pioggia crede nel buio e nel vento, pensa il libraio. Protegge se stessa dai processi naturali, dal sole che la evapora e dalla terra che la assorbe. Di notte ascolta e sfiora il ricordo delle piogge a cui ha assistito, vortici potenti di acqua e sabbia […]. Quindi svanisce con le ultime gocce e lascia profumi e odori di sotterranei. Prima che accada, si nasconde dietro la finestra in soggiorno e ringrazia il soffitto per la protezione concessa»).
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Queste scelte non sono peregrine o dettate da imperizia: anzi risultano consapevoli e vivificate appena ci troviamo di fronte a un esergo («Lei è mai vissuto in un’epoca che non fosse di transizione?») grazie al quale, dalle pagine di questo ambizioso e composito romanzo, comprendiamo il valore, nonostante la memoria delle atrocità patite corra, ogni giorno di più, il rischio di sperdersi ineluttabilmente nel deserto del «tempo scomparso» e mai più ritrovato, di una tensione alla conservazione, al salvataggio anche del più insignificante granello di sabbia, del più marginale brandello di carta: la testimonianza in sé, pur infinitesima, mantiene la sua importanza, insita nel gesto del passaggio, della transizione, della condivisione con l’altro.
Per la prima foto, copyright: Laura Fuhrman.
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