Tra estetismo ed eros. “Il piacere” di Gabriele D’Annunzio
Il piacere è il primo romanzo di Gabriele D’Annunzio, ed è anche il primo volume del ciclo dei Romanzi della rosa, comprendente L’innocente e Trionfo della morte.
L’opera fu scritta nel 1888, in gran parte nella villa di Francesco Paolo Michetti, e pubblicata poi dall’editore Treves di Milano l’anno successivo. Dal testo emerge chiaramente l’estetismo che ispira il pensiero dell’autore, e, anzi, è forse questa l’opera che più di ogni altra lo esprime in modo completo; D’Annunzio narra la vita mondana, con l’ausilio anche delle cronache del tempo, racconta dei teatri, della moda, delle mostre d’arte, dei monumenti, degli svaghi, non tralasciando di inserire elementi autobiografici, tra i quali si evidenziano le lettere inviate a Barbara Leoni.
Il testo fu un successo, e attirò particolarmente il pubblico femminile.
Protagonista della vicenda è l’intellettuale Andrea Sperelli, calato nel mondo aristocratico romano che fa da sfondo al racconto; di Andrea sono descritti gusti, idee, contraddizioni, e facilmente traspare la figura di D’Annunzio stesso dietro di lui, con la sua esperienza di vita mondana e votata all’estetismo. Andrea è un aristocratico, è ammirato, si distingue dalla massa, e desiderio culturale e indolenza della borghesia di Roma sono qui emblema di una elevazione di status, sociale e di gusto.
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Il padre ha educato Andrea a ricercare dominio e possesso, a fare della sua vita un’irripetibile opera d’arte, e così il giovane si trova a sua volta dominato da finzione, artificio, e intrattiene rapporti ambigui e superficiali con tutto e tutti, soprattutto con le donne della sua vita.
Il racconto comincia quando Andrea incontra un’ex amante, Elena Muti, che non vede da un paio d’anni; la donna è ora sposata con Lord Heathfield, inglese ricco e dissoluto. Utilizzando scarti temporali e flash-back, ci viene raccontata la storia della relazione tra Andrea e Elena, descritta come una donna estremamente voluttuosa, dotata di una sensualità aggressiva e prorompente, e di come Andrea desidererebbe rinnovare il legame con lei. Elena rifiuta la proposta, e Andrea torna nel bel mondo romano. Dopo essere stato ferito in un duello, il giovane resta convalescente a casa di una cugina, e in questa occasione conosce Maria Ferres, l’esatta nemesi di Elena. Maria è una donna dolce, aggraziata, piena di interessi intellettuali. Andrea si lega a Maria, ma il desiderio per Elena serpeggia costantemente. Quando Andrea viene a conoscenza del nuovo amante a cui Elena si è donata, in un eccesso di gelosia pronuncia il suo nome mentre ha tra le braccia Maria, che lo stava salutando prima di una lunga separazione.
Il finale non fa che rendere ancora più evidenti le contraddizioni e le degenerazioni di Andrea, del tutto incoerente, cedevole alle pulsioni, vera immagine decadente dell’esteta, con totale assenza di spontaneità e naturalezza. Il giovane è diviso dall’amore per due donne che tra loro non potrebbero essere più diverse, e i cui nomi sono potentemente evocativi della loro personalità: la pulsione erotica si incarna in Elena, non a caso nome che richiama il mito classico, il nome della regina di Sparta, la più bella donna mortale; Maria incarna la dolcezza, la femminilità delicata e amorevole, e il nome non può che essere quello della Vergine. Alla fine è l’aspetto erotico a prevalere, aleggiando già lungo tutto il romanzo, in una prospettiva distruttiva di una vita dedicata ad appagare gli istinti.
Va detto come D’Annunzio connoti certamente Andrea di tratti che appartengono a egli stesso, ma ne prenda anche le distanze: nei passi del romanzo: l’autore sembra condannare moralmente il suo protagonista, descritto come pregno di egoismo e voluttà, seppure la condanna diventi a suo modo una celebrazione. Dunque si può parlare di un racconto che si distingue soprattutto per la “doppiezza”. Andrea è un esteta, ma lo è suo malgrado: la sua condizione è stata dettata dall’educazione ricevuta e dall’ambiente aristocratico, non da una sua libera scelta; questa sua debole volontà si manifesta nella propensione verso la bellezza, l’arte, la brama di piacere, e D’Annunzio precisa che Sperelli ama la Roma barocca delle ville, non la Roma dei Cesari, dunque il suo classicismo è rinascimentale e barocco, non greco-latino e medievale.
Vengono elencati oggetti reali o fittizi, elementi artistici, oggetti raffinati del passato di cui il mondo romano è avido consumatore, in modo che i lettori siano attirati dalla ricercatezza e dalla fuga dalle norme morali, avvolti dal trionfo dell’estetismo.
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Il tutto viene narrato con linguaggio prezioso, raro, denso di nomi esotici; abbondano le forme letterarie arcaiche e le figure del linguaggio poetico quali l’anafora, la metafora, l’allitterazione, e altre forme che mirano a rendere il testo più musicale. Non manca una decisa dimostrazione di erudizione e cultura: vengono usate massime in latino, tra le quali Habere, non haberi (“possedere e non essere posseduti), ci sono richiami a Pericle e ai Sofisti, alle teorie mediche positiviste di Ribot e a quelle dello psicologo romanziere Bourget.
Viene evitato il linguaggio medio dei romanzi, puntando decisamente a una “liricizzazione” del testo, derivante da una grande sensibilità letteraria che guarda al cosmopolitismo.
Riferimenti bibliografici
D’Annunzio G., Il Piacere, Mondadori, Milano, 2011.
Gabriele D’Annunzio, in L’esperienza letteraria in Italia. Dal secondo Ottocento al Duemila, volume 3A, Milano, Mondadori, 2006, pp. 93-110.
Gabriele D’Annunzio, in Letteratura. Edizione accorpata. Dal Decadentismo al Novecento, Tomo 5B, ATLAS, pp. 97-184.
Per la prima foto, copyright: Cosmopolitano Model su Unsplash.
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