“Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare” di Paola Mastrocola
«Una scuola facile, divertente, autoreggente, autogiocante, europea, americana, psico-socio-pedago-motoria. Mortoria. Un contenitore senza contenuti, ma a lunga, lunghissima scadenza. Uno scatolone, un parcheggio. Un asilo-nido, un liceo-nido. Una scuola dove si studia ancora, e con i libri, ma non si raggiunge alcuna preparazione, né per il lavoro, né per l’università. Una scuola che non forma a niente, semmai informa di qualcosa. Qualcosina. Qualcosista. Una parascuola»
Un’analisi terribile e disincantata quella di Paola Mastrocola che, sette anni dopo il pamphlet narrativo “La scuola raccontata al mio cane”, torna a radiografare lo stato della scuola italiana in “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare” (Guanda, pagg. 271). Un titolo provocatorio, una dura denuncia da parte di chi la scuola la conosce molto bene, essendo l’autrice docente di italiano e latino in un liceo scientifico nei pressi di Torino.
La scuola di oggi disturba la vita dei giovani, toglie la concentrazione e dunque l’insegnante svolge un mestiere inutile, come quel soldato giapponese che, non sapendo della fine della Seconda guerra mondiale, continuava a mitragliare invano. Così ironizza la Mastrocola. I ragazzi, ovvero “i nonstudianti”, sono concentrati soltanto sui loro interessi, giochi, amicizie, svaghi e, «badantizzati dai computer», arrivano al liceo che non sanno né leggere né scrivere. E se «ogni ragazzo che non legge è il fallimento di tutto il mondo che lo circonda», grave è l’atto d’accusa alla generazione dei loro padri che assecondano, anzi «comodamente approvano» l’atteggiamento di rifiuto per lo studio dei loro figli, molte volte costretti a frequentare il liceo perché socialmente edificante. Di qui l’eccessiva licealizzazione che ha solo trasformato i licei in luoghi dequalificati e vuoti. Assistiamo, inermi, alla morte di tre parole: studio, cultura e letteratura, in altre parole, alla fine della conoscenza.
Nella seconda parte del saggio l’autrice ci regala una breve storia del non studio, un excursus interessante sul concetto di scuola anti-nozionistica che vede come capisaldi il donmilanismo e il rodarismo. Nel 1967, con Lettera a una professoressa, don Milani si scagliò contro una scuola d’èlite; dopo sei anni, Gianni Rodari con La grammatica della fantasia, rivoluzionò il modo di imparare con un metodo didattico alternativo, basato sulle parole e il loro libero gioco. A distanza di quarant’anni, la scuola attuale è diventata «di massa, popolare, inclusiva, ma immiserita nei contenuti, alleggerita di cultura e apparentemente superdotata di mezzi tecnologici».
Quale antidoto a questo scempio? Nell’ultima parte - la pars costruens - Paola Mastrocola invita i giovani a seguire la propria inclinazione, sempre, senza condizionamento alcuno, ignorando ogni pressione sociale e famigliare: il figlio di un notaio può scegliere di non studiare e di diventare un tecnico audio e viceversa, il figlio di un operaio può diventare ingegnere. Fondamentale la responsabilità delle famiglie, che hanno il compito di osservare con consapevolezza l’indole dei propri figli e assecondarla. Dopo una preparazione solida per tutti fino ai quattordici anni, ogni ragazzo dovrebbe scegliere fra tre scuole differenti - l’utopia delle tre scuole - : work-school, la scuola del lavoro pratico, per chi vuole imparare subito un mestiere; communication-school, la scuola della comunicazione e della Rete, per chi vuole studiare cose subito utili; Knowledge- school, la scuola della speculazione teoretica, per chi vuole studiare seriamente.
La triade lavoro, comunicazione e scuola come alternativa alla scuola odierna che non serve più.
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