To cult – Portici di Carta
[La Donna Blu, blu per via del trittico occhiali smalto e borsa, arrivata in città alla stazione Porta Nuova, persa nel circolo magico della cultura libraria che trapassa in quella cinematografica, seduta poi tra il pubblico del Premio Calvino, ritorna sui luoghi di Santa Maradona alla Libreria Fontana e trova una chicca alla Libreria L’angolo Manzoni. Viene l’autunno e…]
“Dimmi ciò che leggi e ti dirò chi sei” è vero; ma ti conoscerei meglio se mi dicessi quello che rileggi.
François Mauriac
Quindi basta osservare chi osserva i libri. Decidere per l’acquisto dipende da altro: dalla disponibilità di soldi; di spazio; di tempo. Molti dicono: «Non mi basterebbe una vita da ergastolano per leggere tutti i libri che ho». Scherzano, ma rende l’idea. C’è chi mette il libro al centro dell’acquisto compulsivo, chi aspetta le occasioni. C’è chi aspetta e basta. Che un libro, come succede a volte, chiami.
Quindi è sufficiente osservare chi c’è, in giro per Torino, questi due giorni di Portici di Carta. Di cosa parliamo quando parliamo di Portici di Carta?
A vista, la più grande libreria all’aperto. Mettici d’Europa, del mondo, di quello che vuoi: da piazza Carlo Felice (compresa) a piazza Castello (esclusa), lungo i portici di via Roma: bancarelle colme di libri (e cd, e dvd) pronti per essere venduti. Oppure osservati. Sfogliati. E dopo: letti. E riletti. Pronti perché gli altri ci conoscano meglio.
«Scusi, di che razza è?»
La donna pensa al cane. Assiepata attorno a una bancarella, a pochi metri dalla stazione di Porta Nuova, il cane le slingua la caviglia. Lei si innamora. Del cane. E domanda al padrone.
Perché, prima di tutto, Portici di Carta è la festa di chi ama i libri, una festa all’aperto, molto più del Salone del Libro. Perché al salone un cane ti può leccare sì i piedi, ma al salone non si fuma e qui sì, e può dar fastidio e quindi ti metti in comunicazione con l’essere fumatore, magari non glielo dici ma basta agitare la mano davanti al naso perché quello allontani il tizzone, al salone non devi sistemare la sciarpa e qui, al primo freddo, sì, al salone non puoi scartare e uscire dal circuito dei libri e magari mangiare un piatto di pasta, prima di ricominciare a perlustrare il paradiso. E, soprattutto, al salone non ci sono le bancarelle con le occasioni.
Le occasioni di rileggere qualcosa che pensavi non esistesse più. Che credevi perso e invece eccolo, un libro degli anni ‘60, o ‘70, fuori catalogo da una vita, rientrato nel circuito della possibilità dell’acquisto.
È capitato a tutti di sgomberare una casa. O una stanza, quella di quando eri bambino, o ragazzo, o universitario, è capitato a tutti di gettare via una raccolta di fumetti, di giornali, di prestare libri all’amico fidato, poi hai perso l’amico e hai perso il libro. Ora: qui si sgomberano cantine. E i rigattieri hanno un cuore: ecco il libro che gettasti via vent’anni fa; lo abbiamo preso in una casa. Di solito da un morto, ma non te lo dicono.
Ci sono quelli che sanno quello che fanno, e quelli che no. Come metafora, converrete, ha il suo fascino. Intendo dire che di tutti quelli che vendono, qualcuno ha chiara la merce, altri no. Prendi l’autobiografia autografata di Erik Priebke: costa 10 euro. Per qualcuno ci vorrebbe al tatto l’amuchina, per altri 10 euro sono un affare. Soprattutto se il rigattiere non si è accorto della firma dell’autore – a confrontarla con altre viste in rete si direbbe originale – e soprattutto se quattro giorni dopo, nemmeno a tirargliela, il nazistaccio muore. Per dire: quello è un affare. Prendi il libro del giornalista letterato Vladimiro Caminiti, juventino nelle viscere, tutti i libri fuori catalogo, autore dello Juventus ‘70 nemmeno in esposizione su un banco anonimo: 40 euro. Alla faccia. Contratti un po’ e viene via per 35, ma il bancarolo ne sa: quella è un’introvabile chicca.
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Di quelli che ne sanno ce n’è: il tizio con cui scambi battute chiedendo un libro di Bocca e finisci a parlare di Sylvia Plath che, non soltanto dice ma addirittura conferma, «è morta sucida con la testa nel forno». E sono soddisfazioni, specialmente se con fare snobbìno credi di star di fronte a venditori di patrimonio che essi stessi non stimano. Sono tuttavia commercianti.
«Non comperate su internet, fatelo arrivare al vostro libraio».
La scena è questa: siccome Portici di Carta è la più grande libreria d’Europa o del mondo, ci sono gli angoli tematici. Cioè lunghi corridoi di portici, su via Roma, che seguono la logica di un argomento. Quando arriviamo all’esoterismo, e un libro esposto titola Nessun uomo è un maestro, vi garantisco che se aveste un amico che chiamate “maestro” e foste lì, chiunque di voi tirerebbe fuori il cellulare e gli manderebbe la foto della copertina. Soltanto che l’uomo, ignaro, il bancarelliere, crede che sia un appunto per un successivo ordine su uno di quei siti che citarlo qui sarebbe blasfemia. E dice così: «Non comperate su internet, fatelo arrivare al vostro libraio». E allora siamo uomini preda di sensi di colpa, tutti, per cui ci scusiamo e garantiamo che nessuno mai ordinerà più un libro su internet. E però mandiamo la foto all’amico. L’occasione è buona, è questo il bello, per parlare ancora di libri, perché non si fosse capito Portici di Carta è il San Valentino di tutti i bibliofili, è il paradiso delle vergini per un kamizake mussulmano, è la sagra della panna cotta per un diabetico, il paese dei balocchi per tutti noi bambini che abbiamo una passione che sembra una trasgressione finché ci danno il via libera. L’uomo che vede il demonio nel clic più carta di credito e libro a casa dice che vorrebbe ormai andare a Berlino a fare il lavapiatti, perché in Italia la situazione per chi come lui fa il libraio da trent’anni è pessima. Tuttavia l’amore è quella cosa che ti fa giustificare l’ingiustificabile: non se ne andrà mai. Rimarrà qui, deduciamo da come si infiamma al solo comprendere che le utopie esistono, e chi osserva tocca e sniffa libri, alla fine quasi chiede scusa: fotografa pure la copertina, e salutami il tuo amico.
Non so se ho reso l’idea: eppur ci ho messo il link. Dal link capite che cosa c’è in programma – i dibattiti, gli scrittori, etc. –, dal link capite che questo è un avvenimento «collaterale» al salone, e magari se un amico che vive in città, nei giorni di Portici di Carta, vi invita…
Però spero che in qualche modo possa venire la voglia di un gesto rivoluzionario, che possiate ciascuno di voi dare una risposta alla domanda «Perché?». Perché andare a Torino a Portici di Carta?
Perché è una storia d’amore, tra chi ama i libri e l’oggetto dell’amore; in fondo c’è chi si muove, dall’Italia, per andare a Torino alla festa del cioccolato, ed è cosa buona, giusta e meritevole, sbaglia tuttavia chi pensa che i portici che diventano carta ovvero libri sia una cosa locale, regalata da chissà chi ai sabaudi che godono quando toccano libri che furono e quelli che sono, crediamo invece, noi che ci siamo stati, sempre, che questo sia invece l’amore, la possibilità di leggere – facendo capire chi siamo – e di rileggere – facendo capire chi siamo davvero –, all’aperto, al primo autunno, con un cane che ci lecca le caviglie, e libri, di autori spariti e di autori che vanno in televisione, prezzi buoni e le occasioni, ma non è quello, è tutto, sono libri, libri, libri, libri, libri, libri, libri…
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