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Tiziano Terzani e il “momento giusto” per leggerlo: quando l’allievo è pronto il maestro compare

Tiziano TerzaniArticolo pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 2/2014.

Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo di Tiziano Terzani ebbi modo di leggerlo quando uscì, , edito da Longanesi nel 2004, all’indomani di un evento personale che mi segnò profondamente. Non avevo letto niente di suo fino ad allora, anche se ne avevo sentito parlare come di un reporter “santone”, uno che aveva viaggiato in lungo e in largo per il mondo, portandoci notizie da luoghi esotici. Terzani amava l’antica civiltà cinese; soffrì quando lo espulsero dalla Cina, a metà degli anni Ottanta, con l’accusa di “crimini controrivoluzionari”. Era nella sua natura essere critico verso tutto e tutti, e non solo un aspetto della sua etica professionale. «Critico perché amo questo paese. Critico perché questo è il mio mestiere. Sono pronto a discutere e a vedere il punto di vista altrui». Terzani era pronto a cambiarlo, il suo punto di vista, se acquisiva nuovi elementi. Era ed è una lezione che ho fatto sempre mia, su questo mi sono sentito fin da subito in sintonia col suo pensiero.

Di cosa parla Un altro giro di giostra? Dopo il successo dei suoi libri precedenti (tra i quali, Un indovino mi disse (Longanesi, 1995), e Lettere contro la guerra, (Longanesi, 2002), Terzani non pubblica uno dei suoi lucidi e vigorosi testi di denuncia e di forte impatto sociale, ma racconta di un suo viaggio intorno al mondo, intrapreso dopo che nel 1997 gli viene diagnosticato un tumore allo stomaco. Per uno che aveva fatto del viaggio la sua condizione e la sua propensione naturale, viaggiare nel mondo equivaleva a farlo in se stesso. Mettersi in viaggio alla ricerca di una soluzione per la sua malattia, e forse anche ai grandi quesiti dell’esistenza, è stata una risposta istintiva. Una permanenza a New York, poi un centro “alternativo” in California, e nasce un ritratto inquietante dell’America. Poi l’India, il tentativo di coniugare la medicina tradizionale (l’Occidente) con le medicine “altre” (l’Oriente): medicina tibetana, cinese, ayurveda, ki gong, reiki, yoga e pranoterapia. Ma rimane sempre un toscano, Terzani, e il “dubbio” che ha nei geni gli impedisce un’adesione acritica e completa. «[…] non ci sono scorciatoie, tanto meno quella di un guru che ti apre la via […] mettere in guardia futuri viaggiatori dal restare intrappolati da questa idea che c’è bisogno di uno che fa luce. Che la faccia, ma poi tocca a noi giudicare, valutare, fare la nostra esperienza».

Nel 2004 non mi riuscì di ultimare la lettura del libro. Io e la mia compagna avevamo appena perduto, al sesto mese, colui che avrebbe dovuto essere il nostro “primo figlio”. Lei era stata ricoverata in ospedale, per delle complicazioni successive all’interruzione della gravidanza, e ricordo che lessi tre quarti di Un altro giro di giostra nel corso di una notte trascorsa a vegliarla. Perché vi sto raccontando di un episodio privato? Ha una sua ragion d’essere, riguardo a certi aspetti di cui leggerete più avanti. Esercitai, allora, uno dei “diritti imprescrittibili del lettore” propugnati da Daniel Pennac nel suo Come un romanzo, ovvero “il diritto di non finire un libro”. Non è dipeso – come potrebbe rilevare ciascuno di voi – dal fatto che, forse, quel libro di Terzani non fosse il più adatto da leggersi in una simile circostanza. Ho, per così dire, un rapporto quotidiano con la sofferenza; per molti anni ho lavorato negli ospedali. Questa volta era diverso: ero coinvolto di persona, è naturale, ma la mia propensione alla lettura è stata sempre quella di considerare un testo, anche i più perturbanti, come un’esperienza di vita a tutti gli effetti, come un incontro reale con una persona (in certi casi più profondo): coi suoi pensieri, con le sue emozioni e il suo peculiare sguardo sul mondo. Sono sempre stato ricettivo, da “lettore onnivoro”, a questo genere d’incontri. E quali alchimie prodigiose ne sono scaturite, quanti libri mi porto ancora “dentro” attraversando la mia vita! In quel caso e in quello specifico momento, il mio incontro con Tiziano Terzani non ebbe luogo.

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Tiziano TerzaniPerché? La risposta può trovarsi anche nelle motivazioni addotte da Pennac nell’opera che ho citato più sopra; non è che non mi prendesse la vicenda raccontata, che non condividessi le tesi dell’autore, che l’argomento non mi fosse congeniale. Sentiamo cosa dice Pennac: «Tuttavia, fra le ragioni che abbiamo di abbandonare una lettura, ce n’è una su cui val la pena di soffermarsi: la vaga sensazione di una sconfitta. Ho aperto, ho letto, e ben presto mi sono sentito sopraffatto da qualcosa che percepivo come più forte di me». La visione di Tiziano Terzani mi era per certi versi preclusa, permaneva a una considerevole distanza. C’era troppa comprensione in lui, non c’era la rabbia che sentivo dentro di me per quanto mi era accaduto, o la consapevolezza, pur disgregante, che certe storture accadono e che si deve fare un lungo percorso di elaborazione, di comprensione e integrazione delle stesse nel proprio io. E lo rifiutai.

Dal 2004 a oggi non lessi più alcun libro di Tiziano Terzani, anche se mi capitò di “spizzicare” (è sempre Pennac!) in libreria qualche estratto da Buonanotte, signor Lenin (Longanesi, 1992) e In Asia (Longanesi, 1998). O leggere qualche articolo o intervista. Poi accadde un fatto: qualche mese fa la redazione di Sul Romanzo mi propose di recensire Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria, pubblicati da Longanesi e curati dalla moglie Angela Terzani Staude, nella ricorrenza del decennale dalla morte del celebre e compianto reporter e scrittore. Sulle prime pensai di declinare l’invito; forse non ero il collaboratore più adatto a scrivere dei diari, per la mia poca frequentazione dell’opera di Terzani e per i motivi che ben sapete. Ma poi mi convinsi e raccolsi la sfida, complice e rea pure la mia forte curiosità di sapere cosa contenevano i diari di un uomo che aveva avuto il privilegio di confrontare tra loro grandi civiltà, che aveva assistito allo schianto dell’Unione Sovietica e alla nascita del mondo globalizzato. E nel mezzo era stato pure un viaggiatore, un marito, un padre, un mistico e uno scettico insieme. A distanza di una decina d’anni disponevo di una seconda possibilità d’incontrare Tiziano Terzani. Provai un singolare sentimento di attrazione e repulsione nel dispormi a leggere i diari, ma alla fine ne sono caduto dentro.

Personalmente non ritengo che esista un “destino”, ovvero un senso telelogico da rintracciarsi nell’esistenza, già tracciata da un intelletto superiore, nella quale come esseri umani ci limitiamo a timbrare le tappe intermedie del percorso e procediamo dritti in direzione del traguardo, fissato da Dio o chi per esso. Mi seduce, tuttavia, pensare al destino come a un’idea, una serie di possibilità insite nel nostro “esistere nel mondo”, un ricombinare in modi sempre nuovi e singolari queste opportunità, affinando abilità e consapevolezza. In questa prospettiva non tutto è preda del caso, ma il faber est suae quisque fortunae (“ciascuno è artefice della propria fortuna”) è in grado di istituire collegamenti tra elementi noti così come tra quelli non sempre evidenti, tuttavia presenti nella sua sfera d’influenza, che si caricano di ulteriori e inedite valenze nell’ottica di un processo di crescita e ricerca personale. Tornando al libro-incontro disertato, sentite cosa scrive Terzani nei diari: «Mi sveglio e leggo Siddharta di Hesse. Sono impressionato dalla similarità di un processo di pensare che mi ha portato a conclusioni simili. Le frasi sul fiume sono quelle che mi vennero a proposito dell’Amur. È un libro che ho avuto a giro dai tempi di Pechino, da quando mi fu regalato da quella strana ragazza italiana a cui avevo fatto da guida al Tempio del Lama; ma non l’avevo mai letto con l’idea che era un “libro culto” per i giovani viaggiatori. Non ne ero stato attirato. Poi, come in tutte le cose, il tempo giusto viene. Eccolo: in treno da Mosca a Minsk, con dietro un mese attraverso l’Asia. A mio modo, un cercatore».

Il tempo giusto viene. E, pur nella mia “minutaglia”, farò la mia esperienza di lettore in cerca di risposte ora, 2014, ripercorrendo i suoi libri a ritroso. C’era bisogno di vivere un altro po’, di essere forse un poco più saggio per ingaggiare una nuova sfida e non soccombere. Tiziano Terzani ci ha insegnato ad accogliere il cambiamento, a considerare la transitorietà, a stare nel mezzo, tra un mondo vecchio che non si vorrebbe perdere e uno nuovo di cui ci pare assurdo fare a meno. Questa è la sua lezione, il punto di vista che ci lascia in eredità. E non è un caso, in questa accezione (come ci racconta Angela Terzani Staude nella sua prefazione ai diari) che Tiziano, fin dal suo arrivo in India, fosse rimasto impressionato dalla forte spiritualità che coglieva nelle persone incontrate. Non è stato un caso, quindi, se proprio un indiano è riuscito a mettere fine al suo lungo cercare indicandogli l’ultimo tratto di strada da percorrere, a conferma che c’è del vero nel detto indù secondo cui “quando l’allievo è pronto il maestro compare”.

«Parliamo del dolore. Secondo Vivek, “l’atteggiamento dell’uomo moderno è di evitare a tutti i costi il dolore e la sofferenza, ed è per questo che non si rende più conto del loro lato positivo. Il dolore rafforza l’uomo e se non soffre gli manca quella forza. Non voglio dire che tutti debbano soffrire, ma se la sofferenza viene, potrebbe avere un significato e ha senso armonizzarsi con essa». Sull’alta catena dell’Himalaya, a 2300 metri di altitudine, senza elettricità né acqua corrente, non raggiungibile se non a piedi, nel cuore di una foresta antichissima, il coltissimo Vivek Datta si rivela un intellettuale acuto e un abile provocatore. Quando Terzani gli chiederà dei problemi del mondo e di cosa può fare uno yogi per risolverli, Datta assumerà un atteggiamento molto distaccato. Non c’è nulla da fare, dice. Ogni cosa deve fare il suo corso e finché l’umanità non prenderà coscienza del suo essere sarà inutile correre qua e là a tappare dei buchi. «Il miglior lavoro è quello su di sé: se ognuno facesse quello, il problema sarebbe risolto». Anche comprendere, aggiungo io, quando è il momento giusto per leggere un certo libro. Meglio ancora se il suo autore è Tiziano Terzani.


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