“Ti strappo e ti getto in pasto ai cani” di Alessio Viola: un urlo contro il cancro
«Ti strappo e ti getto in pasto ai cani» è l’urlo lucido di chi inizia una battaglia, e non ha nessuna intenzione di lasciarsi sconfiggere dal nemico. Fuor di metafora, Ti strappo e ti getto in pasto ai cani è la sfida lanciata dal protagonista del nuovo libro di Alessio Viola (CaratteriMobili), quando si trova a dover combattere un cancro.
Lo scrittore pugliese (che Sul Romanzo ha conosciuto in questo articolo), dopo Dove comincia la notte, un romanzo noir che è sbarcato anche in Francia, passa a maneggiare con cura il tema difficile della malattia. Non una malattia qualsiasi, ma la bestia sempre più in agguato, sempre più diffusa, che è diventata il male del nostro tempo. Comunque lo si voglia chiamare, che si usi il termine cancro, o che vi si giri attorno con termini più tecnici e meno diretti, il carico di bruttezza e orrore che si porta dietro resta lo stesso. Il lui protagonista a cui viene diagnosticato il male, e di cui non viene dato il nome, lo sa; lui riflette a lungo e spesso sul senso dei termini quando di mezzo c’è un cancro. Le parole finiscono per fare più paura della realtà che sono chiamate a raccontare. Sembrano portarsi addosso quell’aria da disinfettante e sale d’aspetto degli ospedali. Sanno essere circospette quando se ne parla in famiglia, politicamente corrette quando devono illustrare il decorso della malattia, lo svolgimento delle operazioni, le eventuali conseguenze dell’intervento. Il lui protagonista scopre una vera e propria «letteratura descrittiva di una inconsapevole spietatezza», che «maneggia parole incomprensibili ed altre terrificanti con leggerezza e algida efficienza».
E se, si chiede il lui che ha gridato al cancro «Vaffanculo, pezzo di merda, bastardo, figlio di puttana! Ti strappo e ti getto in pasto ai cani!», invertissimo i significanti con i significati, e cominciassimo a chiamare il “cancro” “amore”, si attenuerebbe l’orrore che scatena quell’idea? Una proposta ingenua sul piano filologico e linguistico, ammette lo stesso proponente, ma se non altro utile a sviscerare il fondo tematico che riposa nel romanzo: l’esistenza di un’unione inestricabile di amore e morte, che compone e dà senso alla vita.
Se nella prima parte a parlare è questo protagonistaindefinito, malato e combattivo, nella seconda parte si affollano le cinque donne che l’uomo ha amato negli anni, in un suo funerale immaginario, forse sognato o forse da esorcizzare, eppure così reale. In uno stile tutto suo lui ha trovato il modo di reagire e soprattutto rivivere in un ultimo e amarcord «simposio degli addii».
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In una Puglia color miele, protagonista come nei romanzi di Desiati, anche la scenografia convoglia verso il ricordo: «La terra del ricordo e dei rimpianti: coltivazioni selvagge e spontanee che non hanno bisogno di essere innaffiate, crescono e inseriscono i loro pungoli sotto la pelle del presente senza storia». Sull’orizzonte in fuga si compongono le tante facce dell’uomo, con i pezzi delle testimonianze di ciascuna delle donne convenute (canzoni ascoltate all’alba, viaggi in Provenza, abbandoni prematuri, contestazioni politiche, invecchiamenti). L’incastro dei flashback offre un gigantesco campo/controcampo sulla vita dell’uomo, come nel corto di Jean Epstein, La glace à trois faces, e i pezzi man mano si completano. Questi frammenti tuttavia non bastano a definire il personaggio, e restano parte di un tutto alla fine sconosciuto e inconoscibile. Una personalità sfuggente e cangiante come la vita stessa.
Si parla di Amore in questo romanzo, declinato in tutti gli occhi e le bocche delle donne qui riunite, ma anche di morte, inevitabile, in agguato nel passare del tempo, nell’arrivo di una malattia, nella fine di una storia: «La parola intorno a cui tutto ruota», quella che cerchiamo sempre di ignorare ma con cui a un certo punto dobbiamo fare i conti. Questo è il momento per le cinque donne, pure vive, pure ancora belle, di farci i conti. E il lettore è chiamato a farli con loro. Ciò che va affrontato, il cancro, simbolicamente non è altro che la fine possibile di tutto.
Con le canzoni (Incontro di Francesco Guccini che percorre tutto il romanzo), con i ricordi, con la bellezza, le cinque donne e l’uomo che le ha unite sembrano voler dire proprio questo, un loro urlo personalissimo per esorcizzare il male: «Ti strappo e ti getto in pasto ai cani». E Alessio Viola lo grida insieme a loro, con la sua penna.
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