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“The Good Lord Bird”, come John Brown e Cipollina hanno combattuto la schiavitù

“The Good Lord Bird”, come John Brown e Cipollina hanno combattuto la schiavitùStati Uniti, 1850. La Ferrovia sta già portando avanti la sua battaglia ma la schiavitù è ancora considerata una cosa normale tanto dai bianchi quanto dai neri, soprattutto da quei neri che tutto sommato hanno trovato una buona sistemazione, una sorta di equilibrio per avere salva la pelle senza patire troppe vessazioni.

Qui, James McBride ha deciso di ambientare il romanzo The Good Lord Bird, che nel 2013 gli è valso il National Book Award per la narrativa. Il libro che ha definitivamente consacrato il successo dello scrittore e sassofonista americano, in Italia è arrivato però solo nel febbraio 2021 nella traduzione di Silvia Castoldi grazie ai tipi di Fazi Editore, ma il pubblico italiano aveva già potuto affezionarsi al caro John Brown e a Cipollina con l’omonima serie tv andata in onda su Sky nell’autunno del 2020.

 

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The Good Lord Bird narra la storia del Capitano John Brown, yankee, abolizionista e fervente cattolico che gira in lungo e in largo per gli Stati Uniti con il solo, sacro scopo di liberare i neri dalla schiavitù trasmettendo la parola del Signore, e anche qualche colpo di fucile. Arrivato a Osawatomie, nel territorio del Kansas, si imbatte nella Taverna di Henry l’Olandese dove inevitabilmente finisce per scatenare un duello in cui, per un bizzarro colpo del destino, perde la vita il Pa di Henry Shackleford, da qui in poi conosciuto come Henrietta “Cipollina” Shackleford. Sì, perché il Vecchio John Brown non ha potuto perdere occasione di liberare due anime dalla schiavitù e il povero Pa non ha avuto il tempo di spiegare che «Henry è...», lasciando così che quella frase sospesa venisse scambiata per un nome accennato, «Henrie... tta» appunto.Ed è forse per un vago senso di colpa che il Capitano decide di farsi carico di Henry/Henrietta, soprannominato “Cipollina”, che da quel giorno seguirà l’eccentrica e sgangherata banda di John Brown in tutte, o quasi, le sue avventure.

“The Good Lord Bird”, come John Brown e Cipollina hanno combattuto la schiavitù

A raccontarci la storia del Vecchio e dei Fucilieri del Pottawatomie è proprio Cipollina, con le sue parole zoppicanti e il suo sguardo ironico e tagliante che le permette di spiattellare con precisione le incongruenze dell’uomo bianco che vuole a tutti i costi salvare gli schiavi: «Credeva che tutti quelli di colore volevano combattere per la loro libertà. Non gli è mai venuto in mente che potevano pensarla in un altro modo». John Brown agisce spinto da un’ideale encomiabile, ha il fervore dei fanatici religiosi, crede solo a quello che vuol credere e lo difende a suon di spada e fucili ma ha un cuore grande e buono, ed è anche questo che impedisce a Cipollina di abbandonarlo.

The Good Lord Bird è un romanzo dai toni western che per certi aspetti mi ha ricordato i migliori film di Tarantino: gli eroi sono poveri diavoli mossi dalla fame tanto quanto dall’ideale della Libertà e i cattivi sono solo altri poveracci che «non trattavano i negri peggio di come si trattavano tra di loro».

“The Good Lord Bird”, come John Brown e Cipollina hanno combattuto la schiavitù

Il Vecchio John Brown e Cipollina cavalcano su e giù per gli Stati Uniti, su e giù, senza una vera meta, in attesa che Dio, altro grande personaggio del romanzo, indichi loro la strada da seguire, il piano da attuare, e le situazioni in cui finiscono sono tanto surreali, e a tratti grottesche, da suscitare più di una risata ma tra le righe appare chiaro che tutta l’umanità è miserabile e anche i bianchi migliori, in fin dei conti, parlano per gli oppressi invece di lasciare che gli oppressi parlino per se stessi. Un messaggio ancora più forte se ascoltato insieme ai più recenti fatti di cronaca.

 

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James McBride non è stato bravo solo a narrare una storia esilarante e ricca di colpi di scena, gli va anche riconosciuto il merito di aver trasportato su carta un linguaggio tipicamente orale come il black english, di cui noi possiamo avere un assaggio grazie al puntiglioso lavoro di traduzione di Silvia Castoldi. La traduttrice ha infatti spiegato di aver compiuto degli scarti rispetto alla norma dell’italiano per ricreare nel miglior modo possibile le scelte compiute senza cadere in effetti caricaturali alla “sì badrone”.


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