The Beat Book, il grande libro degli autori beat
Notevole già a partire dalle intenzioni questo The Beat Book (edito in Italia da Il Saggiatore) di Anne Waldman, poetessa americana da sempre vicina alla cultura beat: riunire in un unico volume i testi più rappresentativi degli autori che hanno creato e diffuso quel movimento, facendolo diventare letteratura sin da subito, cioè da quando, nel 1955, si tenne a San Francisco l'ormai leggendario reading Six poets at the Six gallery.
Sfogliando il libro, ecco ciò che potrete trovare in ordine di apparizione: citazione in epigrafe tratta da Per strada di Jack Kerouac (sì, Per strada, e non più Sulla strada: nelle note, il traduttore Luca Fontana spiega con esattezza l'imprecisione storica); premessa di Allen Ginsberg che suona come un manifesto, con informazioni sulla nascita dell'espressione “Beat generation”, pillole sul linguaggio hip, chiarimenti riguardo al significato della parola “beat” (con sorpresa, si scoprono almeno cinque significati diversi, tra cui quello di “al verde, senza soldi”), accenni sulla formazione del gruppo, i temi pregnanti (le sostanze psichedeliche, il sesso, l'ecologia, la contestazione politica, la società, la liberazione gay), gli ideali e i propositi; introduzione della stessa Anne Waldman, che rende subito conto del forte senso di comunità della letteratura beat (in cui, in effetti, gli autori esistono anche nei testi dei colleghi, come protagonisti o comprimari delle loro storie, in un citarsi reciproco e continuo); ed ecco la lunga lista di autori, a cominciare da Gregory Corso per arrivare fino a Gary Snyder.
Si può rimanere su quest'ultimo punto per conferire al volume un altro punto di merito, ovvero quello di aver qui raggruppato autori noti con altri meno noti, persino semisconosciuti nel nostro Paese, come John Wieners e Lew Welch. Dopo il già citato Corso (tra le sue poesie spuntano gangster, giocatori di baseball, indiani d'America, ma anche omaggi a Omero e Rembrandt), si passa attraverso il trio di stelle formato da Kerouac, Ginsberg e Burroughs.
Del primo sono presenti estratti da Per strada, Il dottor Sax, Visioni di Cody, I barboni del Dharma (anche qui, vecchie traduzioni recitano il titolo I vagabondi del Dharma); del secondo si racconta la visione di William Blake che lo iniziò a comporre versi, e poi ci sono le sue poesie erranti, poesie dense di domande e punti esclamativi, spezzoni di Urlo e Kaddish, un canto funebre in memoria di Apollinaire; per quanto riguarda il terzo, infine, si va dall'incidente in cui rimase uccisa la moglie all'accurata descrizione degli effetti di alcune droghe sull'organismo, dalle storie distopiche di poliziotti che controllano la mente al metodo cut-up, una sorta di collage alla maniera dei pittori dadaisti (solo che in questo caso la materia prima è costituita dalle parole, con parti di testo tagliate e ricombinate. Il metodo per la scrittura fu elaborato per primo da Brion Gysin nel 1959, che ricompose articoli di giornale).
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Particolarmente interessante il ritratto di Neal Cassady, che difatti cambiò il destino di Kerouac, della sua scrittura, delle storie che avrebbe raccontato (riguardo al loro legame, oltre al film L'ultima volta che mi sono suicidato di Stephen Kay, da vedere anche Love always, Carolyn, documentario svedese narrato dalla sua seconda moglie). Cresciuto in un ambiente malfamato, Cassady faceva la spola tra carcere e riabilitazione, ma fu trascinatore e personalità affascinante, al punto da ispirare l'amico Kerouac per il celebre personaggio di Dean Moriarty e per l'intero romanzo Visioni di Cody. In una sua lettera ad Allen Ginsberg se ne comprende tuttavia il carattere mutevole e contraddittorio: da una parte le paure e le insicurezze, il senso di costante incapacità e la difficoltà a buttare giù le idee e a scegliere le parole, mentre dall'altra la presuntuosa certezza di essere al pari di uno scrittore come Fitzgerald. All'interno di The Beat Book anche il capitolo iniziale del suo unico libro, l'incompleto Il primo terzo.
Da segnalare la presenza di alcune autrici beat, come Dianne di Prima (buddista come molti altri esponenti del movimento), Joanne Kyger (moglie di Gary Snyder) e Lenore Kandel (per la quale «La poesia non è mai un compromesso»). A completare il già ricco quadro, anche Peter Orlovsky (che fu per quarant'anni il compagno di Ginsberg) e ovviamente Lawrence Ferlinghetti, con la sua storica City Lights.
A conclusione del testo, un'utile guida letteraria ai luoghi beat: dalla California di Berkeley, Big Sur e San Francisco alla New York del Greenwich Village, del Lower East Side e del Chelsea Hotel; dalla Lowell di Jack Kerouac alla Denver di Neal Cassady; dall'India fino al Giappone.
Infine, in una nota del traduttore, l'innegabile riconoscimento al movimento beat: «...un'apertura spregiudicata verso ogni forma di sperimentalismo linguistico a tutti i livelli – semantico, fonetico, sintattico, prosodico e metrico». Più che mai vero. Che la letteratura beat piaccia o meno. Un collettivo unito di giocolieri di parole, anticonformisti, jazzisti della penna, profondi innovatori.
Qualche personale spunto delirante e un linguaggio a dir poco esplicito costarono svariati processi per oscenità. Ma a conti fatti ne risultò sempre, indiscutibilmente, ciò che doveva essere già in principio: letteratura. Dunque sono molti i motivi per leggere The Beat Book di Anne Waldman, una sorta di volume enciclopedico di un fenomeno mai tramontato.
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