Teatri occupati: la situazione italiana
Parliamo di una situazione italiana scomoda: i teatri occupati.
Da circa tre anni una nuova realtà nel panorama culturale italiano si è fatta strada per diversi motivi.
I due principali sono sicuramente il fallimento economico delle precedenti dirigenze e il bisogno di spazi comuni che possano essere utilizzati anche da realtà minori che non hanno accesso alle grandi distribuzioni.
L'accusa più frequente riguarda certe politicizzazioni delle occupazioni, come intervento perpetrato storicamente da associazioni o gruppi vicini a ideologie di “sinistra” che vengono additate come semplici occupazioni abusive.
Ogni realtà, tuttavia, merita un'analisi approfondita delle cause che hanno portato a occuparla e l'invito è di leggere i manifesti di questi teatri per farsi una propria opinione.
Il primato per il maggior numero di teatri autogestiti spetta alla Sicilia con il Teatro Pinelli Occupato (attualmente sgomberato dalle forze dell'ordine), il Teatro Coppola dei Cittadini e il Teatro Garibaldi Aperto.
Il secondo posto va alla regione Lazio e in particolare alla città di Roma con il celebre Teatro Valle Occupato, che nell'ultimo anno ha creato un'offerta invidiabile di spettacoli e dibattiti sulla situazione teatrale italiana (grazie anche alla collaborazione gratuita di molti attori e compagnie), e L'Angelo Mai che sta vivendo anch'esso un periodo travagliato.
Nel nord est, in particolare a Venezia, troviamo il SALE , che prende il nome dai vecchi magazzini del sale, ora rivisitato come spazio culturale a 360 gradi.
Altri casi sono presenti a Pisa, con il Teatro Rossi Aperto, e a Napoli, con l'ex Asilo Filangieri.
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Un caso emblematico è accaduto a Milano: la benevola invasione da parte del collettivo Macao della torre Galfa, un palazzo quasi in centro che per anni è stato disabitato. Un fulmine a ciel sereno che ha alzato un grosso polverone culturale e ha creato una forte divisione fra chi la considerava un'azione positiva per la città o e chi negativa perché lesiva della proprietà privata. Lo scontro istituzionale fu forte e la partecipazione dei cittadini fu molto intensa. Ma finalmente dopo tanti anni, a Milano, si è parlato di cultura pubblica, cosa che fra i giovani succedeva di rado. Il collettivo fu costretto ad abbandonare quel grattacielo, quel simbolo del potere finanziario che non poteva essere occupato sotto gli occhi di tutti, ma l'onda di artisti che fu sollevata doveva infrangersi da qualche parte. E così hanno trovato una nuova sede in un ex mattatoio, un po' meno centrale, un po' più lontano dagli quotidianità. L'offerta tuttora è molto ampia e spazia dalle mostre fotografiche a spazi per dibattiti, a laboratori di ogni sorta e ovviamente a spettacoli teatrali.
La questione che si pone è questa: è giusto occupare spazi privati inutilizzati per creare beni comuni? Come si può istituzionalizzare questo tipo di realtà senza cadere nell'illegalità?
Prima di rispondere a queste domande vi rendo noto un piccolo aneddoto: persino il grande regista Strehler e il suo produttore Paolo Grassi, occuparono lo spazio dove mettere in scena i loro primi spettacoli. Ora quel teatro si chiama Piccolo e vanta di essere il primo teatro stabile nel dopoguerra italiano; un baluardo che ha portato una ventata nuova e che ora rappresenta l'Italia in tutto il mondo.
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