Taranto, morti e tangenti
Se girassi un film su Taranto, lo titolerei Morti e tangenti e lo ambienterei nell’Ilva e nella Marina Militare: i due cancerosi polmoni produttivi della devastata città pugliese.
In pochi giorni un operaio è morto nell’Ilva schiacciato da un carrello, mentre due pezzi da novanta della Marina sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza per tangenti su una serie di appalti. Questa è la fotografia dell’affarismo tarantino: cadaveri e corruzione.
La città – che dai Tamburi a Paolo VI rivela il suo declino sociale e culturale, afflitta da una disoccupazione dilagante, dalla criminalità sempre più organizzata e violenta, da un governo locale inesistente e incapace – viene ora scossa da una prima ondata di arresti nel cuore dell’amministrazione militare.
Non si tratterebbe di casi isolati ma della punta di un iceberg, del primo tentacolo di una piovra dei colletti bianchi di cui tutti, a Taranto, dicono a mezza voce di sapere da decenni. E in effetti è inspiegabile che una città così grande possa essere stata stuprata e deprivata in modo così brutale se non fossero circolate tangenti. Del resto, è pratica nazionale di cui si parla poco.
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La coincidenza temporale tra morto e arresti ci consente di fare due più due. L’Ilva sembrerebbe ormai alla sua fine, trascinando con sé il peggio del Novecento meridionale e una lunga scia di morte che durerà almeno mezzo secolo ancora; la Marina non ha più grande motivo di sostare a Taranto dal momento che i conflitti nel Mediterraneo non necessitano più di un grande dispiegamento di mezzi e di uomini, ma di intelligence.
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Pertanto, il morto e gli arresti ci portano a riconsiderare la plausibilità di un progetto alternativo per il futuro della città. E lo facciamo dicendoci innanzitutto che Taranto non ha più bisogno di un’economia pesante (acciaio e armi), ma di un'economia sostenibile (energie rinnovabili e pace). Può davvero diventare la capitale mediterranea della sostenibilità, a patto che cresca la consapevolezza civica.
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Purtroppo visitando il centro storico e le summenzionate periferie, ci si rende conto che il civismo qui non alberga, che i cittadini contribuiscono, e non poco, alla decadenza locale. Abbandono scolastico, immondizia, sporcizia, microcriminalità, tossicodipendenza, prostituzione, truffa e lavoro nero. Tutti ingredienti autoprodotti, non importati dall’Ilva o dai militari. Tutti comportamenti che rendono Taranto invivibile, a tratti insopportabile. Allora dobbiamo davvero provare a seppellire i morti e bruciare le tangenti con fierezza, senza l’autocommiserazione che contraddistingue l’antropologia tarantina. Con austerità, se vogliamo, e con il rigore di una rinnovata vitalità.
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