Tanti romanzi per un unico romanzo. “Le condizioni atmosferiche” di Enrico Palandri
Mentre una raccolta di racconti rientra nella normalità del panorama editoriale e i lettori ne sono abituati, imbattersi in una raccolta di romanzi è cosa più insolita. Invece è proprio di questo che parliamo con Le condizioni atmosferiche, dello scrittore e critico veneziano Enrico Palandri, per Bompiani in libreria da oggi. Una riscrittura di sei opere pensata nel 2010 e dovuta alla necessità di semplificarne le scelte stilistiche, come specifica lui stesso in un’apposita postfazione.
L’arco di ambientazione va dai primi anni Settanta al 2016 e le storie sono collegate una all'altra da un filo che le tiene saldamente unite: il tempo e tutto ciò che esso si porta dietro, e dietro il quale ci ritroviamo tutti con i ricordi, i rimorsi, i rimpianti, l’inevitabile nostalgia e l’importanza della memoria storica, con un titolo che possiamo definire onnicomprensivo. Difatti, se con esso può venire in mente per primo il tanto abusato argomento meteorologico troviamo, a livello di contenuti, non solo una metafora esistenziale ma altresì una preziosa fonte di storia italiana ed europea, da cui possiamo attingere a piene mani: dal comunismo alla fuga degli ebrei dal nazifascismo, dallo spionaggio alla strage della stazione di Bologna, dalle Brigate Rosse alle rivoluzioni giovanili, dalla caduta del muro di Berlino fino a temi più attuali come le migrazioni, la corruzione o la violenza negli stadi. E non poteva mancare uno sguardo che si fa attento e sensibile verso i grandi fenomeni atmosferici, perché anch’essi fanno parte della storia e aiutano a comprenderla per migliorarla. In aggiunta, se pensiamo a quanta poetica è stata dedicata alle stagioni dettata dalla necessità degli artisti sia di esprimere la vita con la sua caducità sia per dare un senso a certi eventi che altrimenti non lo avrebbero o non lo avrebbero avuto (la guerra, ad esempio) intuiamo subito l’importanza di un siffatto titolo. Da ultimo, ma non ultimo, c’è ancora un altro punto, che da Proust in poi non ha mai smesso né di affascinare né di interrogare, ed è il seguente, o i seguenti: cos’è il tempo? È possibile darne una definizione? Esso è nelle cose o nel nostro modo di percepirle? Il compito della letteratura non è fornire delle risposte ma semmai fare delle domande, scavare dei solchi. Saranno i lettori a rispondere a queste domande e a chiudere per quanto e se loro possibile, questi solchi.
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Le narrazioni in esame, pur avendo un inizio e a una fine ben precisa, costituiscono un unico ciclo: i personaggi sono i medesimi che affrontano diversi momenti della loro vita, privata o professionale, e medesima è la voce narrante: il giornalista Marco Ivancich – dietro il quale si cela Palandri – che per motivi di lavoro viaggia spesso. Grazie al suo sguardo acuto ma umile, vediamo il trascorrere del tempo attraverso numerose incursioni nel passato dei personaggi coinvolti e in lui stesso, partecipe in via diretta o indiretta ai fatti. Non troverete tante trame ma luoghi e personaggi in movimento. E i luoghi e le persone che si spostano, a prescindere dal motivo per il quale lo fanno, muovono saperi, culture e lingue.
Vediamo infatti che già nel primo romanzo, Le pietre e il sale, il narratore vive da forestiero a Venezia, città con una doppia anima: aperta e cosmopolita da un lato, e cupa e refrattaria ai cambiamenti, dall’altro. Nel capoluogo veneto ritrova un vecchio amico d’infanzia, di nome Herbert Markus. E rivedersi e confrontarsi da adulti è un atto meno semplice di quel che può sembrare a prima vista, soprattutto quando si è diversi per livello sociale, per indole e quando c’è stata di mezzo una donna che ha preferito uno rispetto all’altro. Cresciuto fin da piccolo con i libri a fargli compagnia, di madre ebrea polacca, scappata come tanti suoi connazionali negli anni della Seconda guerra mondiale, è un accademico esperto di storia contemporanea; al momento di quest’incontro Markus però fa l’insegnante in un liceo classico ed è forte solo all’apparenza. Le proprie inadeguatezze infatti le proietta sugli alunni più deboli o che lui considera tali, con i quali diventa inutilmente tiranno, in particolare su Luca, figlio di un grande tenore sempre in giro per il mondo, che tra i banchi di scuola incontra la donna della sua vita, Nina, che proviene invece da una semplice famiglia veneziana.
Il terzo dei romanzi contenuti ne Le condizioni atmosferiche è dedicato proprio a Herbert Marcus con un titolo che dice molto di questo personaggio controverso (il cui nome è ricalcato su quello del filosofo e politologo Herbert Marcuse che scrisse uno dei testi più letti fra i movimenti studenteschi negli anni Sessanta e Settanta del Novecento) ovvero, Le colpevoli ambiguità di Herbert Markus. Incentrato sulla sua incapacità di avere una vita privata, dovrà fare i conti con i cambiamenti: assaporerà pure lui l’amore e poi c’è l’impegno nella stesura di un saggio riguardante l’Europa dopo la guerra fredda, che esprime la crisi di una generazione. Ma parlare di crisi non significa superarla, così come parlare di storia non significa evitarla; significa solo chiarirla:
«Il passato non era mai andato via e si era raccolto, sempre più consistente, clandestino; studiare un evento trascorso, fissare a lungo l’attenzione sui suoi aspetti diversi, era costringerlo ad aprirsi e mostrare una trama da cui il presente discendeva non più univoco e compatto come avrebbero voluto i vincitori, ma ricco di contrasti, delle voci soffocate degli sconfitti, di quelle deboli e laterali degli esclusi, di quelle più lungimiranti di coloro che conoscendo i limiti della propria epoca cercavano di parlare al loro futuro. Restava sotto la soglia della coscienza, in una specie di sogno in cui riusciva a vedere tutto insieme: cosa scrivere e come dirlo. Eccolo il libro sull’Europa dopo la guerra fredda. Cosa siamo stati, cosa diventiamo. Ci voleva ordine, e un piano o forse più piani su cui svolgerne la narrazione. Si sforzava di immaginare un tempo che non andava via ma che al contrario teneva la realtà, la accumulava, un tempo in cui i giorni e i momenti fossero qualcosa di più sostanzioso dei birilli che il giocoliere tira per aria».
Ne Le vie del ritorno e L’altra sera, rispettivamente seconda e quinta opera contenuta, è presente una maggiore introspezione da parte dell’io narrante, con descrizione dei propri affetti. C’è sempre il motivo dell’incontro/confronto con i vecchi amici: oltre a Markus, sono importanti ai fini del dipanarsi degli accadimenti, Carlo e Livio, ma c’è anche la vita a Londra e il “mistero” (le virgolette sono di chi scrive) di due vite che s’incrociano pur avendo poco in comune. Conoscerà infatti quella che diverrà sua moglie, Pauline, scozzese di nascita; anch’ella costretta a girare il mondo essendo un’attrice teatrale. Un matrimonio, i figli, le difficoltà quotidiane, le carriere e infine lo svelamento di una crisi, con un’amara constatazione, difficile da accettare: si cresce, si cambia e i sentimenti cambiano insieme a chi li vive. Ma c’è anche la riscoperta dei sentimenti mutati. Diventa, dunque, una questione di prospettive e di come vediamo le cose, lasciando ancora una volta campo aperto per la definizione del tempo.
Angela prende il volo, il quarto dei testi inseriti, fa un po’ da baricentro a tutto il volume per il carico di valori del quale è portatore e per un’intrinseca completezza: cultura umanistica e cultura scientifica possono trovare e trovano qui una bella conciliazione. D’altronde, chi può dire che l’immaginazione sia una prerogativa della letteratura? La protagonista vive con la madre a Milano, e il padre Carlo è un caro amico di Marco Ivancich, anzi di più, «un fratello maggiore, ammirato e temuto perché mi impegnava a essere all’altezza di qualcosa».
Anni addietro, in una delle occasioni di ritrovo, Marco aveva promesso di aiutare Angela in caso di bisogno e, ora che il bisogno si presenta, onora la promessa con un fare paternalistico misto ad attrazione sessuale verso una giovane che può essere sua figlia, e ne ha specifica contezza. Emozioni e sensazioni descritte dall’autore senza aloni e senza remore.
Carlo è uno scienziato che si è rifatto una vita in Inghilterra dopo la separazione dalla mamma di Angela, e quando gli viene diagnosticato un tumore che gli lascia pochi mesi da vivere, decide di mettere a conoscenza la ragazza dell’esperimento a cui ha dedicato tanti anni e per il quale ha sacrificato molti, forse troppi, affetti: realizzare la macchina del tempo. Dovrà portare avanti lei tale progetto e ad aiutarla ci sarà Marco. Un viaggio fra buchi neri, meccanica quantistica e una definizione più tangibile, proprio perché scientifica, della nozione di tempo espressa tramite una corrispondenza epistolare fra i due amici, conducono chi legge verso terreni difficili ma raggiungibili, difficili ma possibili, e che danno la misura del senso della vita e della morte.
Si conclude con I fratelli minori, dov’è presente il tema – anche questo legato allo scorrere inevitabile del tempo – del confronto generazionale, e dedicato a tutti quei figli la cui sorte è già scritta dalla presenza di un padre “ingombrante”, e a cui il destino dà tanto ma toglie altrettanto, compreso il nome. Sono solamente “figli di”.
«La malinconia per gli anni che sono passati, per la giovinezza che ci ha lasciato dobbiamo fare in modo che diventi allegria»:un bell’auspicio per un libro uscito a inizio di un nuovo anno.
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Le condizioni atmosferiche è un lavoro possente come quello sulla macchina del tempo del papà di Angela. Non c’è fantascienza, come a fine Ottocento fece il grande scrittore britannico H.G. Wells che fu fra i primi ad aver dato “fisicità” alla macchina del tempo. Enrico Palandri parla di realtà, di quella vissuta, di quella da vivere con più intensità possibile e del futuro nelle nostre mani rivelando, con una scrittura lucida e impeccabile, che forse il tempo siamo noi stessi a crearlo.
Per la prima foto, copyright: Harry Cunningham su Unsplash.
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