Sylvia Plath e Ted Hughes, storia di un dramma esistenziale. “Tu l’hai detto” di Connie Palmen
Tu l'hai detto è il libro della scrittrice olandese Connie Palmen, nel quale si indaga e ricostruisce la relazione d’amore e il dramma esistenziale intercorso tra Ted Hughes e Sylvia Plath. Il testo, edito da Iperborea, è un vero e proprio omaggio alla memoria della coppia di poeti scrittori più importante e nota dello scorso secolo.
Sylvia Plath, come è risaputo, fu una poetessa dall’animo sensibile e complicato, che in vita produsse opere di prosa e poesia. Si sa anche della sua morte precoce, avvenuta nel 1963 a soli trent’anni, per suicidio. Il libro di Connie Palmen affronta la relazione dells coppia Plath-Hughes, dal punto di vista del marito. L’autrice si cala, nel vero senso del termine, nei panni dell’intellettuale europeo che nel 1956 incontrò la ragazza americana – Sylvia – e la sposò. Un matrimonio, quello tra Hughes e Plath, che per un po’ di tempo i due mantennero segreto proprio per permettere alla giovane Sylvia di continuare il percorso scolastico e di godere delle borse di studio.
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Giorno dopo giorno, il lettore è trascinato nella vita di Sylvia e Ted che racconta, in una specie di confessione molto personale, il loro amore tragico. Ted e Sylvia erano due letterati e la loro vita trascorreva tra la necessità di avere un lavoro, da un lato, e il bisogno di potersi affermare come autori di poesie dall’altro. Una vera e propria ossessione che animava entrambi e li portava a soffrire quando la loro scrittura si bloccava a causa della mancanza della giusta ispirazione.
Tu l’hai detto però non si limita a raccontare il lavoro poetico, la voglia di farcela e di farsi apprezzare per i propri versi. Nel libro della scrittrice olandese c’è la quotidianità della vita di coppia. Ci sono i loro soggiorni in America, tra il 1957 e il 1959. Periodo durante il quale entrambi lavorarono e studiarono per avere una maggiore competenza nel “sentire” le emozioni e tradurle in versi. In questo soggiorno americano, Sylvia Plath, oltre allo studio, insegnò allo Smith College e poi, dopo il trasloco a Boston, la donna, come racconta il marito, seguì dei seminari di scrittura sotto la supervisione di Robert Lowell, scrittore e poeta fondatore della Poesia Confessionale, ossia quella poesia che prendeva la linfa vitale dalle esperienze delvissuto personale dei poeti. Qui, la Plath conoscerà Anne Sexton, più che amica, una rivale e compagna di confessioni sui vari tentativi di suicidio messi in atto.
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Sylvia e Ted e Ted e Sylvia, sempre assieme, sempre pronti a stimolarsi a vicenda per dare libero sfogo alla creatività che li animava. La coppia era come le metà di una moneta, due facce simili e allo stesso tempo diverse. La vita di entrambi di certo non fu facile. Ted cominciò a trovare un po’ di stabilità economica quando decise di accettare, senza particolare entusiasmo, il lavoro di scrittura di romanzi e di testi teatrali propostogli dall’amico Hobsbaum. Solo n seguito, dopo il matrimonio con la Plath, si aprì per lui la strada dell’insegnamento e cominciarono ad arrivare le prime pubblicazioni. Sylvia, poetessa precoce (pubblicò la sua prima poesia da bambina), era una giovane studentessa geniale con grande estro, minata però da una costante sofferenza emotiva, dovuta alla morte precoce del padre, scomparso nel 1940, quando lei aveva otto anni. Da non scordare il primo tentativo di suicidio in età adolescenziale e i primi disturbi depressivi che non la abbandonarono mai, nemmeno quando sposò Hughes, e che la accompagnarono come dei fantasmi.
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Dall’America, a Londra, fino alla campagna del Devon, Tu l’hai detto, tradotto da Claudia Cozzi e Claudia di Palermo, rendiconta il quotidiano della coppia, dove il male di vivere e i tormenti interiori della Plath incisero molto non solo sulla sua produzione letteraria, ma anche sul suo umore e sulla vita di coppia. Nemmeno la nascita dei due figli, Frieda e Nicholas, riuscirono a mettere pace e tranquillità nell’animo di Sylvia, assillato dai demoni personali del passato e anche dal tradimento del marito. Eventi che la torturarono in modo continuo, logorandola piano piano e la portarono a scrivere le poesie (le ultime) finite nella raccolta Ariel, che però non servirono a tenerla lontana dalla morte, arrivata per asfissia l’11 febbraio del 1963.
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Quella che emerge dal libro della Palmen è una ricostruzione dettagliata della vita coniugale, narrata da una voce maschile, quella di Hughes, poeta, marito e padre dei figli della Plath. Un uomo che, a quanto emerge dal libro, dopo il fatto drammatico che lo travolse, spesso venne accusato di aver portato la moglie all’esasperazione fino al tragico epilogo. In questo romanzo, il personaggio di Hughes appare come colui che amava Sylvia e che cercò, magari non sempre nella giusta maniera, di aiutarla ad affrontare i suoi spiriti maligni. Un voler fare qualcosa per lei che non portò a nulla di buono, visto che a un certo punto Hughes tradì Sylvia con una vicina di casa e lei la fece finita. A questo punto sorge una domanda: e se l’adulterio di Hughes fosse stata una via di fuga da una donna che lui sì amava, ma che non riusciva più ad aiutare perché il loro era, da sempre, un legame malato?
Non lo sappiamo, e non lo sapremo mai, certo è che la Palmen, nei panni di Hughes ci fa sentire i tormenti e i sensi di colpa di un uomo che non riuscì a fare abbastanza per salvare la donna amata, anche quando la relazione tra loro era finita. Non solo, perché in Ted si percepisce anche una sorta di opprimente senso di impotenza e di mancanza di difesa davanti a tutte le cattiverie e cose dette e scritte sulla loro relazione da quelle persone che, solo per apparenza e per comodità, si erano dimostrate loro amiche.
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Tu l’hai detto di Connie Palmen è un autoscatto della dimensione più intima della vita della coppia Palth-Hughes e, allo stesso tempo, incarna la volontà di fare un po’ di chiarezza su un amore che fin dal principio ebbe in sé il germe del dramma: «Uno di noi era spacciato fin dall’inizio. Era o lei o io. Nella furia divoratrice chiamata amore, avevo trovato la mia pari».
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