Sveva Casati Modignani ci racconta “Il falco”
Il falco (Sperling&Kupfer, 2020) è l’ultimo romanzo di Sveva Casati Modignani, appena arrivato in libreria per la gioia dei numerosi e fedeli lettori della prolifica scrittrice milanese.
Chi è “il falco”? Rocco Di Falco è un mega imprenditore di successo, che partendo da un’umile famiglia siciliana ha creato dal nulla un colossale impero economico per la produzione di occhiali. È un uomo bello e affascinante, ma al grande successo ottenuto nel mondo del lavoro non se ne accompagna uno uguale in quello degli affetti: quattro matrimoni, uno più disastroso dell’altro. E questo perché Rocco non è mai stato in grado di dimenticare il suo primo amore, Giulietta Brenna, che lo ha lasciato il giorno in cui ha scoperto che lui la tradiva.
Quarant’anni dopo, Giulietta è una sessantenne serena, con una vita appagante anche se è rimasta vedova presto: ha una figlia, un nipote che adora, le amiche con cui condividere il tempo libero. C’è però anche in lei un lato oscuro da cui non riesce a liberarsi, ed è il ricordo di Rocco, di cui ha seguito suo malgrado le vicende pubbliche e private, che compaiono spesso nei media data l’importanza del personaggio.
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Giulietta vorrebbe voltare pagina e cancellare per sempre dalla sua vita certi ricordi, ma non basta bruciare vecchie lettere e fotografie o cambiare look: proprio quando si decide a farlo, ecco che il destino la rimette faccia a faccia con Rocco, dopo quarant’anni di separazione, ed è ovvio che dal loro incontro non possano che scaturire scintille, nonostante la perplessità di quasi tutti coloro che li circondano.
Sveva Casati Modignani si dimostra come sempre attenta ai cambiamenti della società contemporanea, raccontandoci da un lato l’ascesa di Rocco nel mondo dell’economia e della finanza, dall’altro due protagonisti che, superata la soglia dei sessant’anni, si ritrovano a vivere la terza età in un modo completamente diverso dalla generazione precedente: sessantenni dinamici, per nulla intenzionati a ritirarsi dalla vita attiva e ancora in grado di gestire complesse vicende sentimentali.
In tempi di restrizioni, Sveva Casati Modignani ci ha parlato del suo nuovo romanzo nel corso di un incontro che si è tenuto su una piattaforma online.
Quanto c’è di lei nella sua protagonista Giulietta?
La casa di Giulietta è sicuramente un po’ la mia, così come lo stile di vita e in parte il carattere, anche se io non sono stata così fortunata da incontrare un magnate. Magari ho avuto altre fortune, non lo nego, ma lei ha sessant’anni e io ne ho ottantadue.
E di Rocco cosa ci può dire?
Raccontandolo l’ho amato tantissimo, perché di certi imprenditori si parla spesso e si sa tutto dei loro affari, ma è facile che del loro percorso interiore e della loro vita intima non si sappia nulla, perché riescono a garantirsi una privacy quasi assoluta. Io mi sono divertita a romanzare la personalità di una figura complessa, che rispetta le persone che lavorano con lui senza mai dimenticare le sue origini.
Si è ispirata in qualche modo a Leonardo Del Vecchio, l’imprenditore italiano che ha appunto creato un impero fabbricando occhiali?
Non l’ho mai conosciuto, ma seguo da anni le sue vicende sulle pagine economiche e lo ammiro molto. Rocco nasce dalla mia immaginazione dopo aver letto tanti articoli su di lui.
In questo romanzo i legami familiari hanno un’importanza decisiva nella vita dei personaggi.
La famiglia è la base della società, se si sfascia rovina la vita di tutti. Rocco soffre per le vicende dei suoi genitori, ma passa la vita a inseguire il sogno di formarsi una famiglia felice, continuando a sposarsi anche se sceglie sempre donne sbagliate.
In effetti, le quattro mogli di Rocco sono descritte con un pizzico di cattiveria.
In realtà, queste poveracce si legavano a un uomo che non poteva amarle perché tra loro c’era sempre il fantasma di Giulietta. Quello tra Rocco e Giulietta non è un amore senile nato per caso ma un ritrovarsi dopo essersi pensati per tutta la vita.
La passione fisica dei sessantenni è ancora un argomento un po’ tabù, ma lei affronta un tema reale.
Quello di Rocco e Giulietta è un ritrovarsi, un riprendere un rapporto interrotto. Magari, se fossero rimasti insieme per tutta la vita, arrivati a sessant’anni sarebbero stati già stanchi uno dell’altra, ma il fatto di aver vissuto separati per tanto tempo ha preservato questo loro amore.
Un altro personaggio interessante è Ruggero, il fratello sacerdote di Rocco.
Anche a me piace molto. Alla fine si tratta sempre di personaggi positivi: in questo romanzo manca un vero cattivo, perché non mi piace raccontarli. I cattivi agiscono nell’ombra, senza volto: sono quelli che impediscono a Rocco di realizzare i suoi progetti, oppure Gaetano, il fratello maggiore che abbandona Rocco e Ruggero quando la famiglia si sfascia, anziché fare fronte comune con loro. I cattivi sono sempre infelici.
Visto che i personaggi sono tanti, qual è stato quello più facile da sviluppare?
I personaggi sono tutti facili: devi prima passare del tempo a farteli amici, a cercare quello che c’è di buono in loro. Ho notato che ci sono tanti autori che scrivono solo di persone malvagie, così che il lettore arriva alla fine del libro senza aver trovato un personaggio in cui identificarsi. Io devo convivere con i miei personaggi per mesi e non riuscirei a farlo se fossero tutti perfidi e cattivi. Per raccontarli devo amarli.
Non le mancano poi, quando scrive la parola fine?
A quel punto ci salutiamo perché io devo andare incontro a nuove avventure. È questo il bello della scrittura: si vive in simbiosi con i propri personaggi per qualche mese, poi si cambia.
I suoi romanzi sono tutti autoconclusivi. Non le è mai venuta voglia di ritrovare certi personaggi a distanza di anni per scoprire che fine avevano fatto, nel senso di continuare a raccontare le loro vite?
No, di solito no. È nato solo per caso il sequel di Festa di famiglia, che era un romanzo breve con quattro amiche protagoniste. Quando l’ho finito ho pensato che valeva la pena parlare ancora di quei personaggi e ho scritto Segreti e ipocrisie. Forse ne scriverò altri due con questi personaggi, ma per il resto quando una storia è finita non desidero più riprenderla in mano.
Qui si parla tanto di cioccolata, con vari riferimenti. Come mai?
Io amo tantissimo la cioccolata e spesso me ne bevo una la sera prima di dormire. La cioccolata in genere è legata a tanti bei ricordi, come quando mio padre mi portava a berne una da Motta o Alemagna nel centro di Milano, dopo aver visto un film al cinema.
Io sono convinta che Dio abbia voluto fare un grande regalo agli uomini creando la pianta del cacao, che per me è qualcosa di sublime.
Leggendo il libro la storia scorre benissimo, soprattutto nella conclusione di tutte le storie. Durante la scrittura le è capitato di cambiare strada oppure era già tutto previsto fin dall’inizio?
In realtà, quando inizio a scrivere non so mai come sarà il finale, quello si scrive da solo e non è precostituito.
Questo libro è nato prima o durante il confinamento, o ne è stato influenzato?
Avevo iniziato a pensare a questa storia circa due anni fa e mi sono messa a scriverlo nel mese di gennaio, prima che partisse il lockdown. Nei mesi di confinamento devo dire che, dopo un momento iniziale di smarrimento, mi sono dedicata alla scrittura e ho finito il romanzo in due mesi.
Arrivata alla sua età, si sente di poter dire che nella vita le cose trovano sempre una soluzione?
Questa è una domanda impegnativa. Io credo di sì: ogni situazione, per quanto ingarbugliata, in un modo o nell’altro arriva a una sistemazione, anche se non è sempre la migliore. Certo, nei romanzi le cose vanno a posto perché sono io a costruirle così…
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Dopo tanti romanzi, ha ancora qualche timore ogni volta che ne esce uno nuovo?
Ogni volta sono convinta di aver scritto la mia storia peggiore, ma non appena esce sono comunque ansiosa di sapere come vanno le vendite, perché il vero banco di prova non sono i commenti e le recensioni, ma l’andamento nelle librerie.
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Per la prima foto,copyright: Gustavo Fring su Pexels.
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