“Sulle spalle dei miei personaggi”. Douglas Stuart e “Storia di Shuggie Bain”
Douglas Stuart irradia serenità e pacatezza. È questa la prima impressione quando compare davanti allo schermo durante l’incontro online programmato per discutere di Storia di Shuggie Bain. Parlare di un romanzo con la persona che lo ha ideato, modellato e gli ha poi dato vita è sempre un po’ complicato. Per assurdo, somiglia a quando i genitori vanno a fare i colloqui con gli insegnanti dei loro figli: c’è eccitazione mista a tensione, mista a una smodata curiosità, anche se qui la situazione è ribaltata perché siamo noi a fare domande a Douglas a proposito della sua creatura.
Storia di Shuggie Bain, ne abbiamo già parlato, è il romanzo d’esordio di Douglas Stuart, scrittore scozzese che vive e lavora negli Stati Uniti. Il romanzo ha avuto un successo immediato e travolgente, tanto da vincere il Booker Prize nel 2020 e ricevere numerose candidature a premi altrettanto prestigiosi. Nel gennaio 2021 esce la traduzione italiana per Mondadori, che promette di riscuotere altrettanta popolarità. È difficile non crederci perché è impossibile dimenticarsi di Shuggie.
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A cominciare dal suo nome. “Shuggie Bain” suona bene, è intraducibile e porta con sé un certo alone di mistero: non sappiamo di che si tratta finché non iniziamo a leggere. Sono queste le ragioni che hanno spinto Douglas a scegliere “Shuggie Bain” come titolo per la sua opera monumentale, anche se, alla fine della fiera, si parla molto più di Agnes che di Shuggie. Potremmo dire, anzi ce lo dice proprio Douglas, che il romanzo ci racconta della fine di Agnes e dell’inizio di Shuggie. Ecco perché abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a un finale aperto. Vorremmo saperne di più, vorremmo continuare a fare il tifo per il suo protagonista.
È un volume imponente quello che ci troviamo davanti, ben 528 pagine, e rimaniamo di stucco quando Douglas ci racconta che, in origine, il romanzo ne prevedeva oltre 900! Il suo approccio alla scrittura è stato qualcosa di spontaneo e fortemente voluto, seppur travagliato. Douglas Stuart e Shuggie Bain condividono il medesimo background socio-culturale, ovvero quello della classe operaia scozzese dei primi anni ’80. Una situazione di estrema povertà e discriminazione che ha sviluppato nell’autore (così come nella sua creatura letteraria) un forte senso di inadeguatezza: «Chi sono io per mettermi a scrivere un libro?» Per molto tempo, dunque, l’estro creativo di Douglas ha migrato verso altri lidi e il nostro autore si è dedicato alla moda che, a suo dire, ha sempre vissuto come «un diversivo, un modo per raccontare storie in modo diverso, in un modo più visivo». Il trauma, la sua sofferenza, non se n’è mai andata, ci dice, ma l’Arte è certamente un bel modo per provare a superarla.
Nel 2008, la svolta: Douglas inizia a scrivere e non riesce più a smettere. Per dieci lunghi anni continuerà a lavorare a Storia di Shuggie Bain, perché, in fondo, lo abbiamo capito, questa è anche la sua di storia. Lo percepiamo tra le pagine, nel modo in cui il romanzo è scritto, che non si tratta del tutto di un’opera di fantasia. I grandi autori del passato parlavano di “flusso di coscienza”, qui si tratta, piuttosto, di un flusso di memorie nato dal desiderio di far sentire la propria voce, di celebrare e validare tematiche e personaggi che, spesso, nella letteratura, come nella Storia, sono rimasti nell’ombra. Pochi sono gli autori che riescono a ritrarre con tale precisione e accuratezza ciò che succede nelle comunità industriali una volta che subiscono il processo inverso di disindustrializzazione, esattamente come esistono pochissime opere che mettono al centro le donne che appartengono alla comunità operaia.
Storia di Shuggie Bain appartiene senz’altro a quella tradizione letteraria britannica – nata nella seconda metà del XIX secolo – che si presenta come scritta dalla classe operaia per la classe operaia e a cui appartengono autori come D.H. Lawrence, Elizabeth Gaskell, George Orwell, Alan Sillitoe e Frank McCourt, per citarne alcuni. Pochissimi però hanno scelto di raccontare le loro storie dal punto di vista femminile, come invece fa Douglas Stuart.
Noi leggiamo e vediamo le cose attraverso gli occhi di Shuggie, naturalmente, ma prima ancora le vediamo attraverso gli occhi di Agnes, sua madre. Le donne erano (e sono ancora) le colonne portanti della società e, se ci facciamo caso, ogni volta che un uomo soffre e combatte le sue battaglie, sono sempre le donne e i bambini a soffrirne di più.
Agnes Bain è un personaggio straordinario, un vero e proprio omaggio alla femminilità. Agnes è allo stesso tempo una donna fragile – pensiamo alla sua dipendenza e alle angherie che subisce da tutti i partner – e una donna molto forte e coraggiosa. Poteva arrendersi a un destino già scritto, a un matrimonio tranquillo e una vita noiosa, ma lo rifiuta: lei vuole di più per sé e per i suoi figli.
Douglas Stuart pone l’accento sui suoi personaggi prima ancora che sulla trama, è proprio lui a raccontarcelo. Leggendo Storia di Shuggie Bain si ha l’impressione che questi personaggi siano vivi, siano reali e che, in qualche modo, facciano parte delle nostre vite. Noi non solo capiamo Agnes, ma la viviamo. L’empatia è un elemento fondamentale per Douglas, è ciò che ama di più sia come lettore sia come autore. Ecco perché sceglie di partire dai personaggi e sceglie di stare «on the shoulders of his characters» (sulle spalle dei suoi personaggi), perché ogni storia deve appartenere prima ai suoi protagonisti. Ed è un romanzo corale, in fin dei conti, perché abbiamo modo di sentire le voci di una comunità intera. È il fascino un po’ di tutti i cosiddetti “working-class novels”, che contengono una dimensione di coralità e solidarietà che è difficile da replicare in altri contesti.
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Storia di Shuggie Bain può tranquillamente essere definito un classico contemporaneo. Nonostante sia ambientato negli anni ’80 del secolo scorso, infatti, riesce a mettere in luce una tematica come quella del disagio sociale che è oltremodo rilevante anche ai giorni nostri. La classe operaia non si è ancora liberata del tutto da quello stigma sociale che non la rende abbastanza interessante agli occhi della classe media e, allo stesso tempo, è fonte di vergogna per i suoi stessi membri. La tragicità della situazione di Shuggie è qualcosa che ancora esiste: negli Stati Uniti e nel Regno Unito ci sono bambini che fanno fatica a sopravvivere sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista sociale perché stigmatizzati a causa della classe sociale a cui appartengono.
Non tutto è perduto, però. Il messaggio che l’autore ci vuole lasciare è che nessuna situazione è mai troppo buia da impedire anche alla più fioca e piccola delle luci di splendere. Il contesto in cui viviamo non determina chi siamo. Douglas Stuart, come Shuggie, ne è la prova vivente.
Per la prima foto, copyright: bruce mars su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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