“Sulla Francia” di Emil Cioran: lucida analisi della Grandeur francese
Nel 1941 Emil Cioran scrisse Sulla Francia, un opuscolo pubblicato postumo in terra francese nel 2009 e tradotto in Italia nel 2014 da Giovanni Rotiroti, per i tipi di Voland. Le armate tedesche avevano già sfilato sugli Champs-Élysées, occupando Parigi. Lo scrittore romeno era arrivato nella capitale francese ufficialmente nel 1937 grazie a una borsa di studio, per approfondire i suoi studi filosofici su Bergson. «Esteta dei tramonti delle culture, getto uno sguardo tempestoso e trasognato sulle acque morte dello spirito…Nell’onda così calma della Senna vedo riflettersi la mia mancanza d’avvenire insieme a quella della Città, e lascio al fiume indifferente la mia stanchezza tremante», confessa Cioran nelle ultime pagine di questo libro che segna un anello di congiunzione tra le opere giovanili, concepite e pubblicate in Romania, e quelle della maturità, scritte in lingua francese. Il pensatore di Sibiu fa i conti con il Paese che lo ha ospitato fino alla fine dei suoi giorni: dopo aver scritto Sulla Francia, Cioran abbandonerà la lingua romena, optando esclusivamente per l’idioma francese, tanto da venir riconosciuto come uno dei più grandi scrittori in francese del Novecento.
Il fanatismo e lo slancio frenetico delle opere precedenti svanisce e lascia il posto a una profonda dichiarazione d’amore rivolta alla Francia, dai toni malinconici e dolenti. La nostalgia che prova Cioran, traducibile in francese con la parola cafard, lo porta a sentirsi eternamente lontano da casa, dall’odiata e amata Romania, e ad ammirare, seppur tra le lacrime, la civiltà francese in declino e in preda alla disgregazione. «Come se non fossimo nati nel nostro elemento, la “patria” è un simbolo di interminabili dubbi, un punto interrogativo che non trova alcuna risposta – né etnica né sentimentale e neanche geografica».
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Non c’è cosa peggiore che vedere una nazione che ha fatto abuso dell’attributo “grand” – grande nation, grande armée, la grandeur de la France – avviarsi al tramonto. La Francia può considerarsi un Paese realizzato, dal destino compiuto: ha avuto un Medioevo, un Rinascimento, una Rivoluzione e un Impero. E una decadenza. Durante il Settecento, essa dettava legge in Europa, ora esercita solo la sua influenza, complice il suo glorioso passato. Qui hanno trovato rifugio tanti stranieri, che l’hanno scelta come provincia universale. I Francesi, al contrario, non hanno mai abbandonato il suolo natio; non sanno cosa voglia dire la nostalgia per una patria incompiuta.
Gli ideali del 1789 creati dalla Francia sono consumati, logori, ormai desueti. «Del fremito rivoltoso delle masse moderne, ha conservato solo le rivendicazioni materiali, facendo rimbombare i suoi bisogni e il suo odio. La Francia non ha più un destino rivoluzionario, perché non ha più idee da difendere. Se anche facesse qualche rivoluzione, non potrebbe avere alcun significato particolare». I salotti francesi del XVIII secolo hanno partorito quelle idee che hanno trainato le rivoluzioni europee e la nascita delle moderne democrazie.
Tutti gli scrittori francesi scrivono bene, poiché hanno un’innata raffinatezza formale che permette loro di esprimersi con stile e chiarezza. Ciò che manca, invece, è la metafisica, la tendenza al sublime e all’infinito. La Francia non possiede la tragedia shakespeariana né la musica tedesca.
Cioran paragona continuamente le sue ferite a quelle della Francia, descrivendo quel tramonto dell’Occidente, di cui Spengler scrisse nel 1923. Ne nasce un incontro fatale, drammaticamente lucido, oserei dire profetico, se riletto nella postmodernità, che si dibatte tra nichilismo e assenza di prospettive. Consiglierei la lettura di Sulla Francia di Emil Cioran a tutti quelli che concionano sul ruolo svolto dall’Europa nello scacchiere mondiale.
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