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“Sul corno del rinoceronte”, la missione di Francesca Bellino per il dialogo interculturale

“Sul corno del rinoceronte”, la missione di Francesca Bellino per il dialogo interculturaleQuanto dialogo interculturale sarebbe necessario al giorno d’oggi? Per Francesca Bellino, giornalista e scrittrice, esperta di incontri tra Oriente e Occidente, è una vera e propria missione. Il suo romanzo Sul corno del rinoceronte (L’Asino d’Oro Edizioni), vincitore del Premio Mariateresa Di Lascia 2015, è il condensato dei pilastri su cui poggia la solida cultura e professione, ma anche la straordinaria sensibilità della salernitana Bellino, affinata nel corso di decine di viaggi e di suggestioni.

Questo romanzo è di un’attualità sconcertante e proietta il lettore da subito nel cuore della vicenda, ambientata durante la primavera araba, un momento storico che ha ancora notevoli strascichi. Protagoniste sono due amiche, Mary, italiana, e Meriem tunisina, legatissime. Meriem muore e Mary decide di andare a Tunisi al funerale, parte all’improvviso, ma senza tenere conto di tutti i fattori che comporta un viaggio del genere. Mary si imbatte in un taxista, Hedi, che cerca di introdurre la ragazza alle caratteristiche di questa società, dopo la caduta della dittatura, in preda a grandi sconvolgimenti.

Tra ricerca di identità e affetti sinceri, nonostante le differenze, Sul corno del rinoceronte svelerà il suo finale a sorpresa.

 

Quando ha avuto l’idea/ispirazione per Sul corno del rinoceronte?

Non esiste un momento preciso, ma un insieme di momenti che mi ha portato a immaginare innanzitutto i personaggi. Dopo numerosi viaggi in Tunisia ho iniziato a sentire le voci delle due protagoniste, Mary e Meriem, e i loro caratteri e il loro rapporto hanno cominciato a delinearsi. Entrambe contengono tante donne incontrate o conosciute, sia italiane sia tunisine, donne mediterranee. E poi all’origine c’è stato anche un mio shock culturale, quello di scoprire che nei paesi islamici le donne non partecipano ai funerali. Così ho deciso di partire da qui per costruire questa storia che mi ha impegnata cinque anni. Ci sono stati almeno tre momenti di scrittura distanziati nel tempo, che corrispondono ai tre livelli temporali che si intrecciano nel racconto. Solo alla fine, quando la storia era ormai terminata, ho aggiunto il contesto storico – la rivoluzione e la cacciata del dittatore Ben Ali – che per magia ha reso tutto più coerente e più armonico. 

 

Protagonista è l’amicizia tra due donne Mary e Meriem, ma anche l’incontro tra due culture e due modi di vivere. Qual è l’obiettivo che si è posta con questo romanzo?

Inizialmente volevo raccontare le difficoltà e gli ostacoli che esistono nel processo di incontro tra due persone di culture diverse quando la relazione diventa profonda come nell’amicizia e nell’amore. Volevo, inoltre, mettere in evidenza quanto siano spesso ipocriti ed eurocentrici gli italiani quando si parla di migranti e spesso incapaci di andare realmente incontro all’Altro, come capita a Mary all’inizio. Poi la storia mi ha portato a parlare di dittatura, ricerca della libertà e di rivoluzioni interiori, come quelle che compiono le due protagoniste e mostrare che le “dittature interiori” possono essere presenti e anche più forti in persone nate nei paesi democratici e liberi, rispetto a chi nasce e cresce in regimi autoritari. 

 

In questa road novel Mary si accorge e scopre molte cose grazie al tassista Hedi che è un personaggio chiave, non solo perché le svela alcune verità, come l’aspirazione all’unità del mondo arabo, ma anche per la dialettica uomo-donna....

Hedi, come tutti i personaggi maschili del libro, tra cui anche Faruk, il fratello di Meriem, rappresenta la tradizione, il maschile che non riesce a trasgredire ed evolvere, che non riesce a compiere dunque una “rivoluzione” come avviene invece alle protagoniste femminili.

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“Sul corno del rinoceronte”, la missione di Francesca Bellino per il dialogo interculturaleQuando ha iniziato a interessarsi di Medio Oriente e quali sono le difficoltà maggiori che ha incontrato nel raccontare questo “mondo”?

Ho iniziato a viaggiare nel Maghreb e nel Medio Oriente più di una decina di anni fa. A muovermi è sempre stata una grande curiosità di confrontarmi con le alterità e conoscere il mondo in generale. Poi una serie di incontri mi hanno portato a scoprire paesi sorprendenti, come la Siria che ricordo meravigliosa nel 2006, e poi la Tunisia, un paese davvero ammirevole per le battaglie che in questi anni sta compiendo in cui ho scoperto che cos’è l’identità mediterranea nella quale mi sono ritrovata e riconosciuta. Non ho mai avuto nessuna difficoltà particolare durante i miei viaggi di piacere e di lavoro, anzi spesso mi sono sentita a casa e oggi, mentre impazzano confusione, paura e islamofobia, raccontare e spiegare quello che conosco del mondo arabo e islamico e mediterraneo è diventato una missione, oltre che un dovere professionale.

 

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Il mondo dell’informazione oggi è pieno di luoghi comuni e di stereotipi, spesso linguistici, a proposito degli stranieri, con connotazioni negative: come si fa a invertire questa odiosa tendenza?

Alla base degli errori linguistici e dell’abuso di stereotipi e luoghi comuni ci sono sia l’ignoranza, sia le chiusure mentali che si stanno diffondendo sempre più in questa epoca di paure. Le imprecisioni diffuse nell’informazione in tema di migrazione, però, rientrano anche nelle problematiche che riguardano oggi il giornalismo: professionalità mal pagate, poco tempo dedicato alla scrittura e pochi investimenti nell’aggiornamento, diffusione di blog autogestiti e il fenomeno del citizen journalism in cui qualsiasi cittadino può decidere di fare il cronista. Dunque, per invertire questa tendenza si può cominciare a leggere più libri, cercare di capire cosa succede intorno a noi, dialogare con vicini di casa provenienti da altre culture e rispettare gli altri a partire dal linguaggio usato, perché il linguaggio diventa comportamento e basta una parola per essere razzisti.

 

Il suo romanzo ha vinto il premio Mariateresa Di Lascia 2015: se l’aspettava? Quale pensa sia la forza, se c’è, della letteratura al femminile?

I premi non si aspettano, si ricevono con meraviglia. Ricevere il Maria Teresa Di Lascia 2015 è stato un grande onore. Rispetto e ammiro molto l’autrice a cui è intitolato. Non penso che esista una letteratura femminile, esiste uno sguardo femminile sul mondo. Il mio romanzo non è né femminile, né femminista. Racconta semplicemente un mondo visto da due donne ed è dedicato “a tutte le donne che sono partite” perché partire per rincorrere un sogno non è facile. Ci vuole forza e questo libro è un elogio a questa forza delle donne. 

 

Qual è l’eredità della primavera araba, a cinque anni di distanza?

Le conquiste in Tunisia sono state tante soprattutto nel campo della libertà di espressione e di altre libertà invisibili come quella di coscienza. La Tunisia è l’unico paese del mondo arabo ad aver considerato nella Costituzione questa libertà, così come è l’unico paese ad aver raggiunto un dialogo e un compromesso politico tanto che quattro organizzazioni rappresentanti della società civile hanno ricevuto il Nobel per la pace per questo. Ovviamente la transizione verso una democrazia è ancora lunga e difficile. Oltre la disoccupazione e i problemi economici, oggi si è aggiunto il terrorismo, ma sembra che il popolo non smetta di credere che la situazione possa migliorare.

 

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Che opinione si è fatta sulla vicenda di Giulio Regeni?

Mi dispiace moltissimo per quello che è successo al Cairo a Giulio Regeni e mi auguro che sia fatta giustizia e sia scoperta la verità. Ma questo triste episodio non fa altro che confermare che in Egitto, da Nasser a Sadat, da Mubarak a Sisi, come in tutto il Medio Oriente, è esistito ed esiste un potere che va oltre i rais, ossia i presidenti. Un potere che non sparisce, ma rinasce di volta in volta perché è ramificato nella società attraverso esercito, polizia, bande paramilitari e servizi segreti, i Mukharabat. L’uomo, il singolo, il giovane ricercatore, cosa può fare di fronte a questo Potere? 


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