“Suburra” di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo
C’erano una volta il Libanese, il Freddo e il Dandi e i fatti della Banda della Magliana che ispirarono il Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, edito da Einaudi nel 2002. Il libro ebbe notevole successo, tanto che nel 2005 uscì l’omonimo film diretto da Michele Placido e nel 2008-2010 la fortunatissima serie televisiva SKY ideata da Stefano Sollima.
De Cataldo poi scrisse, nel 2007, Nelle mani giuste e, nel 2012, Io sono il Libanese, sempre per i tipi di Einaudi: rispettivamente il sequel e il prequel di Romanzo criminale. Ora, in sinergia con Carlo Bonini – autore di Acab. All Cops Are Bastards, adattato per il grande schermo lo scorso anno da Stefano Sollima – De Cataldo ha scritto Suburra, uscito nella collana Stile Libero Big di Einaudi. Il crimine qui si fa caricatura e pantomima, in un crescendo di violenza in cui buoni e cattivi si confondono, in una cupidigia del nulla che confonde assassini, politici, spacciatori, mafiosi e alti prelati.
Libanese, Freddo e Dandi non ci sono più, sono morti. Di criminale sono rimasti solo i continui ammazzamenti di una guerra per il controllo di Roma: «Ostia assale Cinecittà, e Cinecittà risponde: è cominciata la guerra. Guerra di mafia. Perché le cose bisogna chiamarle con il loro nome». E del romanzo invece cosa è rimasto? Direi molto poco. Per me che ho amato e divorato Romanzo criminale, Suburra è stato poco meno di una delusione. Il sequel del sequel infiacchisce anche il dialetto romano che non risulta efficace nella narrazione. I personaggi sono stereotipati e la trama poco convincente.
A capo dei cattivi vi è il Samurai, «alto, con i capelli grigi cortissimi. Vestiva sempre con eleganza sobria, il suo colore preferito era il nero. Amava indossare, sotto le giacche di Kiton, magliette stretch che mettevano in risalto una muscolatura agile e naturale. Non pippava coca, non fumava sigarette, e soltanto in rare occasioni si concedeva un dito di whisky di puro malto. Il Samurai non era schiavo di niente e di nessuno. Il Samurai non si lasciava controllare da niente e da nessuno. Era lui a controllare ogni cosa. Era lui il padrone».
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Era stato soprannominato così proprio dal Dandi e aveva cercato di esserne degno. Ha un Grande Progetto in mente: un affare edilizio di gigantesche proporzioni che trasformerà le periferie romane, soffocandole sotto una colata di cemento. Casinò, alberghi, ristoranti, palestre, yacht, negozi. Ostia come Atlantic City. Il Waterfront di Roma. Perché ciò divenga realtà, è necessaria una delibera che stravolga il piano regolatore, moltiplicando le cubature già esistenti o in licenza fino a cinque volte oltre i limiti fissati dalle norme paesaggistiche, purché ogni ventimila metri cubi sia costruito un edificio di culto.
Dall’altra parte, il colonnello Marco Malatesta si adopera perché questo non accada, smascherando i caporioni del crimine, le mele marce all’interno della polizia e le connivenze con la politica. Vi è un sottoproletariato culturale che trova il suo corrispettivo nel crimine in uomini che non hanno la stoffa del capo e ne sono solo la caricatura grottesca. Vi è un sottoproletariato politico che sta per crollare, facendo l’eco a vicende recenti che tutti conosciamo: da quel 15 ottobre di pochi anni fa in cui Roma fu devastata dai black bloc a quel 12 novembre che fu l’alba e tramonto di un governo tecnico. È la Suburra dell’essere, «immagine eterna di una città irredimibile. Casa di una plebe violenta e disperata che secoli prima si era fatta borghesia e che della città occupava il centro geografico. Perché ne era e ne restava il cuore. La Suburra, l’origine di un contagio millenario, di una mutazione genetica irreversibile. Era quello il luogo. Come non averci pensato prima».
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