Su web, donne e affini: intervista a Elena Torresani
Si definisce scrittrice, prosivendola, viaggiatrice e blogger seriale, pur occupandosi contemporaneamente di comunicazione strategica, branding e social media management per l’agenzia Brand-it-up.it. Elena Torresani cura un blog molto seguito (ha tra i suoi estimatori anche Michela Murgia che l’ha consigliata in più occasioni anche via Twitter). L’abbiamo intervistata per sapere come la pensa su comunicazione via web, donne e affini.
Com’è cambiata la comunicazione in questi ultimi anni? Non soltanto dal punto di vista degli strumenti utilizzati, ma anche dello stile e dei risultati ottenuti...
Il cambiamento più significativo è quello tra la comunicazione unilaterale di una volta e il dialogo di oggi. Non mi riferisco solo ai messaggi a senso unico della televisione o dei giornali cartacei, ma anche all’atteggiamento che si adottava nelle prime esperienze sui social media: penso a MySpace, dove comunque tutto era poco più che un’esposizione di sé, un palco di prova per tutto quello che sarebbe venuto dopo. Oggi se non ti metti in relazione, non ottieni risultati di sostanza, se non ascolti e non segui non hai grosse possibilità di essere ascoltato o seguito, a meno che tu sia una personalità che gode di fama e reputazione a prescindere dai social media. Non si può più parlare solo di numeri e di follower, ma occorre prestare attenzione all’engagement, al coinvolgimento che si è in grado di creare e alle relazioni che si è capaci di instaurare.
Che soddisfazione può darti un blog? Riesci a raggiungere meglio i tuoi lettori e le tue lettrici?
Il blog, per quanto mi riguarda, è la spina dorsale di tutto, il custode dei contenuti, il miocardio di ogni attività. Non dà solo soddisfazioni, ma lavoro e credibilità.
A partire dal tuo lavoro di Giulietta prega senza nome, come si possono raccontare le donne di oggi in modo efficace e non banale?
Andando nel profondo, come sempre. Solo che oggi è più difficile rispetto a prima. Perché le persone si vestono dei personaggi che vogliono incarnare, a volte anche di fronte a se stesse, e spesso questo significa vestirsi di niente. Bisogna riscoprire i capelli arricciati, le occhiaie del mattino, la maglietta non stirata, la faccia senza botox, la solitudine di alcuni momenti. Bisogna rianimare la verità, e raccontare il coraggio, il talento e la forza.
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«Le piaghe da decubito che fanno più male non sono quelle della carne, ma quelle di cui abbiamo lasciato ammalare i nostri sogni». Parola di Giulietta. Dove stanno andando i sogni in questa fase storica? Li stiamo mettendo da parte?
In realtà, sono stati i decenni precedenti che ci hanno fatto accantonare i sogni, i decenni in cui bisognava solo produrre e consumare. L’affermazione di sé passava attraverso il PIL, l’industria pesante, la cementificazione furibonda, lo shopping, il lavoro sfrenato anche se faceva schifo, il posto fisso anche quando significava morte cerebrale. Niente letteratura, niente poesia o passione, niente arte, né musica: roba da falliti, percorsi da perdenti. Oggi che questo sistema è in putrefazione (anche se stiamo facendo finta di non accorgercene), qualcuno ha iniziato a ripescare i propri sogni sopiti per inventarsi un futuro nuovo. Il nostro Paese ci ha abbandonato, il sistema ha espulso molti di noi, e l’effetto positivo di cui mi sto rendendo conto (e provando sulla mia pelle) è il tentativo di rinascita attraverso le proprie passioni. Sono circondata da persone che cercano di guadagnarsi da vivere facendo cose che non immaginavano fino a poco tempo fa: cucinando, scrivendo, promuovendo la propria terra.
Recentemente hai iniziato una nuova avventura sul web con Brand-It-Up, in cui ti occupi anche di turismo, un’altra delle occasioni mancate dell’Italia di oggi . Che opinione ti sei fatta al riguardo?
Che l’Italia è piena di ragazzi che cercano disperatamente di non emigrare, e che amano questo Paese molto più di politici e burocrati. Mettono capacità e competenze al servizio della promozione turistica, del racconto delle eccellenze, della valorizzazione dell’Italia. Lo fanno spesso da soli o facendo rete tra loro, con poco o nessun supporto da parte di Istituzioni ed Enti. Il discorso è molto ampio, e toccherebbe tasti dolenti come la mancanza di cultura digitale o la totale assenza di una strategia comune che possa rilanciare questo Paese attraverso le uniche risorse che nessuno può copiarci: il turismo e la cultura, nel senso più ampio del termine. Brand-it-up è un’agenzia che si occupa di comunicazione strategica, branding, consulenza 2.0, content curation e molto altro: lavoriamo con aziende di settori diversi, ma il turismo è quello che sicuramente ci appassiona di più. Ce la stiamo mettendo tutta, anche noi pericolosamente in bilico tra l’andarcene e il restare.
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