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Storie romene, dette in italiano. Intervista a Ileana M. Pop

Storie romene, dette in italiano. Intervista a Ileana M. PopDa buona figliuola bilingue, mi sono spesso soffermata su alcune espressioni tipiche del mio paese, ma di difficile traduzione in italiano. Per non parlare delle tante volte in cui mi sono ritrovata a riprodurre barzellette romene a un auditorio italiano, con risultati davvero pessimi. Che manchi io d’umorismo? Impossibile, io ridevo. Ancora da buona figliuola, mi sono chiesta: come agisce un traduttore, alle prese con la mia lingua natia (stupirò pochi dicendo di essere affascinata e convinta che certe emozioni posso esprimerle solo in madrelingua) e un pubblico italiano? Ileana M. Pop mi ha spiegato qualche retroscena di questo laborioso processo, che è la traduzione.

 

Perché e quando hai scelto di dedicarti alla traduzione? 

In realtà io ho sempre avuto l'impressione che sia stata la traduzione a scegliere me e non viceversa. Prima ancora di finire le elementari facevo da ponte tra la mia famiglia e le istituzioni o gli amici. Mia madre ha sempre insistito tantissimo perché non dimenticassi la lingua delle mie origini, non ha desistito dal parlarmi in romeno nemmeno quando io mi intestardivo a risponderle in italiano, è stata paziente e generosa, c'era da aspettarsi che il risultato di questa sua scelta educativa sarebbe stato il bilinguismo. Quello che invece non si poteva prevedere è il fatto che io mi sarei rivelata un terreno estremamente fertile e avrei avuto una curiosità morbosa nei confronti delle questioni linguistiche e grammaticali: una volta cresciuta passavo il tempo libero a sfogliare dizionari, ad arrovellarmi su come rendere in italiano certi detti o certe espressioni che sentivo in casa, notavo quando qualcuno intorno a me produceva frasi buffe, innaturali e cercavo di risalire al costrutto originale che doveva averle prodotte e di trovare una soluzione che non stridesse in italiano. Insomma, non conoscevo ancora la parola "calco", ma sapevo che dovevo difendermene come dalla peste. E poi è arrivata l'età della maturità, la laurea in tedesco e inglese, e alla fine lo spagnolo, che il mio compagno ha portato nella mia vita con enorme naturalezza e che con tutta probabilità diventerà la prima lingua dei miei figli. Sono nata in Germania da genitori romeni, sono cresciuta in Italia e mi sento italiana, ma ora come ora vivo più in Spagna che altrove. Cos'altro avrei potuto fare nella vita? La traduzione è semplicemente la conseguenza – o la causa? – di quel che sono.

 

Quali sono gli ingredienti necessari per poter accedere a questo tipo di professione?  E l'iter per diventare traduttori, come e qual è?

Prima di tutto ci tengo a specificare che nel mio caso parliamo di traduzione letteraria, che è solo uno dei tanti rami della traduzione. Io sono sempre stata per le cose ben fatte e credo fermamente che non convenga improvvisarsi idraulico la mattina, dentista il pomeriggio, avvocato la sera e giocoliere la notte. Certo, ci sono sempre ottimi esempi di professionisti che col tempo e l'esperienza riescono a fare bene più di una cosa, soprattutto se si muovono all'interno di un unico settore come può essere quello dell'editoria, ma in linea generale penso che agli inizi sia indispensabile specializzarsi e avere la pazienza di fare un passo alla volta. Detto questo, per risponderti comincerò da un sondaggio lanciato recentemente dalle colleghe Francesca Cosi e Alessandra Repossi e secondo il cui responso la stragrande maggioranza dei traduttori pecca di pignoleria e puntualità. Penso che questi due ingredienti siano veramente fondamentali per svolgere il lavoro di traduttore. A costo di commettere peccato. A essi va indubbiamente aggiunta una buona dose di talento per le lingue, un'ottima conoscenza tanto della lingua di partenza quanto – e soprattutto – di quella d'arrivo e delle rispettive culture, l'amore per la scrittura e la lettura e anche un pizzico di masochismo. Sì, masochismo, perché penso sinceramente che per essere traduttori sia imprescindibile avere la propensione a trasformare ogni cosa in una piccola ossessione della quale, allo stesso tempo, non si può fare a meno di godere. A parte questi requisiti che oserei definire doti innate, credo poi che sia imprescindibile acquisire e perfezionare un modus operandi proprio, una o più tecniche da adoperare una volta che ci si trova davanti al testo da tradurre.

Per quanto riguarda l'iter da seguire, invece... non penso che ce ne sia uno ben definito. C'è chi inizia a studiare traduzione già dall'università, c'è chi si accorge di voler diventare traduttore solo dopo aver capito di non poter lavorare in un normalissimo ufficio, chi impara da quelli che saranno i futuri colleghi seguendone i corsi e chi preferisce avvicinarsi a questa disciplina lavorando direttamente sui testi preferiti. Personalmente ho toccato tutte queste tappe, ma non credo che saltare uno di questi passaggi o aggiungerne di altri possa nuocere alla formazione del traduttore. Direi piuttosto che ciò che conta è scoprire di avere una vocazione talmente grande da riuscire a resistere durante i primissimi anni, una vocazione che non vacilli di fronte ai silenzi e ai rifiuti delle case editrici, una vocazione che sia in grado di consolare l'orgoglio ferito nei momenti di insicurezza o quando si realizza che a “pagina x” di un libro tradotto anni prima si è preso un granchio, una vocazione che stimoli l'umiltà e la voglia di imparare e allo stesso tempo argini la presunzione. In linea di massima una buona tattica per iniziare a lavorare e dimostrare quanto si vale è quella di proporre un libro ancora non pubblicato in Italia a una casa editrice che per orientamento o scelte editoriali possa sembrarci azzeccata, ma non è l'unica, dato che molte delle variabili in gioco cambiano in base tanto alla lingua di lavoro quanto all'editore contattato o al libro prescelto.

 

Qual è il romanzo che hai tradotto che ti è rimasto nel cuore? 

Difficile dirlo: ogni libro è un mondo a sé, ogni autore è un mondo a sé! Uno dei vantaggi del tradurre da una lingua cosiddetta minore è che dovendo fare da agente agli scrittori si finisce per conoscerli di persona, per instaurarci veri e propri rapporti di amicizia. Capirai quindi che mi risulta davvero impossibile parlare di un libro che ho tradotto senza ripensare in concreto, non so, alla voce di Lucian Dan Teodorovici, all'intelligente ironia di Dan Lungu, all'energia travolgente di Nora Iuga... Ecco, dovendo proprio farlo, sceglierei forse Nora Iuga e il suo La sessantenne e il giovane, un romanzo che, con quella scrittura che sembrava volermi tendere imboscate a ogni paragrafo, mi ha messo veramente a dura prova. Sì, il motivo per cui l'ho amato in modo particolare è dato probabilmente dal fatto che mi ha fatto penare più di tutti gli altri messi assieme: l'ho detto io che per fare questo lavoro bisogna essere un po' masochisti!

 

Ti occupi principalmente di traduzioni dal romeno all'italiano, come accolgono i romanzi romeni gli italiani? 

Ne stavo giusto parlando su "Traducendo Mondi" (rubrica della rivista del Sindacato Nazionale Scrittori "Reti di Dedalus") la settimana scorsa: nonostante non sia sulla bocca di tutti – diciamo la verità, non sarebbe nemmeno credibile che lo fosse – esiste effettivamente una mezza dozzina di autori romeni che finora è riuscita a far parlare un po' di sé in Italia. L'ancora limitata diffusione della letteratura romena è però un problema all'ordine del giorno e il fatto che essa venga spesso snobbata dalla stampa e dalle grandi case editrici non fa che contribuire ad accrescere i pregiudizi che il lettore medio nutre nei suoi confronti. Per quanto mi piacerebbe avere torto, infatti, la letteratura romena non si è ancora fatta un nome sul mercato italiano, ci prova, certo, ma a mio parere, finché, si tenderà a collegare un buon romanzo alla provenienza geografica di chi l'ha scritto, il rischio di cadere in improbabili generalizzazioni sarà sempre troppo grande. Che io sappia, chi acquista un romanzo romeno raramente rimane deluso. Ma questo avviene perché il lettore che si avvicina a uno scrittore "alternativo" parte già dall'idea di voler conoscere qualcosa di nuovo, di diverso. L'ideale sarebbe che a questi libri venisse data la possibilità di lottare ad armi pari contro i concorrenti d'oltreoceano. Speriamo che la presenza della Romania come paese invitato al Salone Internazionale del Libro di Torino nel 2012 raddoppi, triplichi, quadruplichi la vetrina sul mondo letterario romeno, e allora un altro passo sarà stato compiuto. Per il resto, chi vivrà vedrà.

 

Tanti filosofi, un esempio Quine, si sono interrogati attorno alla traduzione convenendo, spesso, che una traduzione "assoluta" sia un compito impossibile, colpa principalmente della mancata totale corrispondenza tra gli idiomi. Mi viene in mente la parola romena "dor", tradotta solitamente con "nostalgia", e il risultato ottenuto è soltanto un'analogia di concetti lacunosa di quelle sfumature intrise nel termine originale.

In che modo riesci a ovviare queste problematiche di corrispondenza e quanto è importante conoscere, non solo le due lingue coinvolte in una traduzione, ma anche le loro società? 

La conoscenza di una lingua non può non includere, a mio parere, la conoscenza degli usi e dei costumi di chi la parla. Un'affermazione come questa rappresenta di certo una vera e propria sfida per chi lavora con lingue di grande diffusione, ma penso sinceramente che lingua e società, nella stragrande maggioranza dei casi, siano davvero inscindibili. Ora, sta al buon traduttore discernere le occasioni in cui fidarsi di ciò che ha studiato o vissuto, o optare per un lungo e meticoloso lavoro di ricerca o, peggio, per un coraggioso salto nel buio. Mi è stato spesso detto che chi ha la fortuna di lavorare con autori ancora in vita ha una chance di riuscita in più rispetto a chi non ha nessuno da disturbare o interrogare. Verissimo, ma allora bisogna anche dire che spesso la disponibilità dell'autore non serve che da triste ricordo di una speranza morta sul nascere perché, a differenza delle scelte linguistiche dei traduttori, sempre ponderate, quelle compiute dagli scrittori sono spesso involontarie. Sono sicura di non essere l'unica che in certe situazioni ha creduto di poter mettere fine alle proprie sofferenze traduttorie chiedendo una mano allo scrittore e che ha ricevuto per risposta un "veramente non saprei perché ho scritto così invece di cosà".

Sono state scritte pagine e pagine di teoria della traduzione su come non soccombere di fronte a un vuoto linguistico o culturale nella lingua o nella società della lingua d'arrivo laddove la lingua di partenza prevede invece un folto ventaglio di significati con tanto di ricco immaginario annesso e io non ho e non avrò mai la presunzione di dire di aver elaborato un piano di salvataggio infallibile. Magari! Per quanto mi riguarda, ripongo tutte le mie speranze sul contesto e nell'intelligenza del lettore e mi avvio lungo quello che mi pare l'unico cammino percorribile, il compromesso meno doloroso.

 

Ileana M. Pop, giovane cagliaritana di origini bucarestine, lavora come traduttrice editoriale dal romeno e dallo spagnolo. Dopo la laurea in lingue e letterature straniere, studia letteratura romena all’Università di Padova e traduzione a Madrid, Milano, Roma e Bucarest. Si occupa principalmente di narrativa contemporanea e alla traduzione affianca un lavoro sistematico di scouting e promozione della letteratura romena. Tra gli autori tradotti e portati in Italia: Dan Lungu, Lucian Dan Teodorovici, Liliana Corobca, Adrian Chivu e Nora Iuga. (http://www.poptrads.com)

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