Storie di donne operaie nella Foggia del dopoguerra
Ogni città ha uno stabilimento, una fabbrica, un’azienda con la quale identifica il suo vissuto. Se Torino ha la Fiat, e Taranto è tristemente associata all’Ilva, la città di Foggia è stata spesso abbinata dai suoi abitanti allo stabilimento dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di via del Mare, che ne è diventato un simbolo. A Foggia è per tutti la “Cartiera”. Mara Cinquepalmi, giornalista e blogger, ha dato vita a un interessante progetto che sarà presentato il 7 marzo nel capoluogo dauno presso l’Archivio di Stato nell’ambito dell’evento Donne di Carta. Si chiama Via del Mare racconta questo progetto, prendendo a prestito il nome della strada dove sorge lo storico stabilimento.
«Questo progetto nasce durante le mie vacanze nell’agosto 2012 – spiega Cinquepalmi –. Sono i giorni dell’Ilva di Taranto. I giornali raccontano di una fabbrica e di una città che hanno diviso lo stesso cielo, la stessa tragica sorte. In quei giorni, leggendo le cronache dei quotidiani, mi viene in mente che anche Foggia ha diviso il suo cielo, il suo destino con una fabbrica che ha dato lavoro a uomini e donne, ha disegnato, soprattutto nel dopoguerra, una nuova mappa sociale, ambientale ed economica della città. Non una storia della Cartiera di Foggia, ma le storie della Cartiera – precisa –, come quelle delle ex operaie che ho incontrato nei mesi scorsi. O quelle che ho ricostruito, grazie anche agli strumenti del datajournalism, a partire dalle carte ritrovate nell’Archivio di Stato di Foggia. In questo percorso ho scelto, infatti, il punto di vista delle donne, di ieri e di oggi. Una lettura di genere della Cartiera di Foggia». Che cosa è emerso in questo lavoro? Ad esempio che le operaie sono la forza lavoro più numerosa rilevata nell’elenco dei dipendenti.
«Ho lavorato dal 1963 al 1999 – si legge in una delle interviste raccolte –. Inizialmente ho lavorato al reparto allestimento, la carta comune, sette anni, poi il resto al reparto valori, più di trent’anni. Molto faticosi. Non c’erano sollevatori… tutte piegate per terra a prendere le risme di 25 chili. È stata dura. Entro le 7 dovevamo marcare il cartellino, poi si incominciava a vedere cosa si doveva fare, distribuire il lavoro. All’epoca c’era una signora anziana che ci distribuiva il lavoro nella scelta della carta, nel contare, nell’impaccare. Erano tutti mezzi rudimentali. Non c’era lo scotch. Prima avevamo una carta… con il pennello, l’acqua, si strisciava questa carta, si bagnava e la mettevamo su i pacchi. Facendo 700/800 pacchi al giorno, quando erano di media grandezza, le dita si rompevano… a strisciare quella carta, le dita spellate. Si attaccava la colla alle dita, una puzza. Non potevamo nemmeno dare la mano al fidanzato perché le mani puzzavano. Anche se le lavavi, ti improfumavi, quella puzza rimaneva. Poi dopo è venuto lo scotch ed è andata un pochino meglio. Per quanto riguarda la carte, per i pesi no».
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«So bene che questo è un progetto ambizioso, se non impossibile per tanti aspetti – aggiunge Cinquepalmi –, ambizioso perché da un lavoro giornalistico vuole diventare racconto collettivo per fare memoria. Come giornalista sento, infatti, la responsabilità di non dimenticare e di fare in modo che, soprattutto, le nuove generazioni possano essere messe nella condizione di ricordare. Come quelle delle ex operaie che ho incontrato nei mesi scorsi. Sia nella ricerca d’Archivio sia nelle interviste ho privilegiato questo aspetto. Si parla poco del lavoro femminile e questa mi è sembrata una buona occasione per dare voce alle donne che hanno trascorso quarant’anni della loro vita nello stabilimento di via del Mare».
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