Storia di una custode di peccati
Lo scorso gennaio è comparso nelle librerie italiane un volumetto dalla copertina accattivante e dal titolo ancora di più curioso: La custode dei peccati di Megan Campisi. Dopo aver giustamente apprezzato le vincenti strategie marketing di Editrice Nord, casa editrice che si è occupata della sua traduzione e pubblicazione nel nostro paese, siamo pronti a scoprire qualcosa in più su questo romanzo d’esordio e sulla sua autrice.
Prima ancora di definirsi “romanziera” Megan Campisi è, innanzitutto, una drammaturga e insegnante. Formatasi a Yale e poi a Parigi nella celebre École Internationale de Thêatre del Maestro Jacques Lecoq – uno dei maggiori esponenti del concetto di teatro fisico – la nostra autrice riesce a infondere nella sua narrazione d’esordio tutta la sua esperienza in campo teatrale. È impossibile, infatti, non riconoscere un certo tipo di teatralità in questa prosa scorrevole e dal ritmo incalzante che fa immediatamente pensare a una sceneggiatura televisiva.
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La storia ruota intorno a May, una giovane ragazza accusata di furto e costretta a diventare una Mangiapeccati il cui unico compito è quello di farsi carico delle colpe di uomini e donne in punto di morte mangiandone, appunto, i peccati e consentendo, così, un più semplice passaggio in Paradiso. A ogni peccato, infatti, è associato un cibo o una bevanda e c’è davvero tanto da imparare. È un mondo pieno di insidie e non sarà facile per May inserirsi e accettare di essere emarginata da tutti, perché essere una Mangiapeccati significa essere quasi figlia del Diavolo stesso.
Campisi ha fatto i compiti: la figura della (o del) Mangiapeccati non è frutto della sua invenzione, ma appartiene alla Storia. Un personaggio che si colloca a metà tra un confessore e una strega e che fa riferimento a un simbolismo interessante e poco rappresentato, come può essere quello che associa il cibo alle azioni dell’uomo. Qui, un cuore di cervo può rappresentare un omicidio, esattamente come il caso in cui May si troverà coinvolta, a suo malgrado, e che riguarda nientemeno che la Regina stessa.
È difficile collocare La custode dei peccati in un genere letterario ben definito. Sebbene si faccia menzione di una figura storica realmente esistita, molti sono gli elementi che ci fanno allontanare dal definirlo interamente un romanzo storico. Pur essendoci evidenti riferimenti all’Inghilterra e ai momenti salienti della storia della dinastia Tudor – basti pensare alla scelta di “Bethany” come nome per la regina e che ci ricorda immediatamente Elisabetta I – l’autrice sceglie di creare un mondo fittizio, semplicemente colorandolo di sfumature anglosassoni. L’effetto generale è quello di un universo in cui i personaggi, l’ambientazione e persino la religione assumono una connotazione distorta, se non distopica.
Ci sfugge il motivo, a dirla tutta, perché in fondo sappiamo benissimo a chi e a che epoca storica sta alludendo la nostra autrice, tuttavia, sarebbe ingiusto non riconoscere il merito di Campisi nel mettere in primo piano una figura minore, quasi dimenticata, come quella della Mangiapeccati e che ci fa sicuramente venire voglia di approfondire. Senza contare poi che la sua eroina principale, per quanto estremamente irritante ci possa sembrare, è un altro bell’esempio di donna forte, che non accetta il ruolo impostole dalla società, ma lotta per avere una vita dignitosa o quantomeno serena. May, infatti, è per la Storia un personaggio doppiamente secondario: non solo è una donna, ma è anche una Mangiapeccati.
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Definire La custode dei peccati un “pastiche” sarebbe forse un po’ azzardato, ma le rocambolesche avventure della sua protagonista, per quanto interessanti, non sono sempre del tutto credibili e sfociano quasi nella farsa e nell’assurdo. Spesso in letteratura si parla di intertestualità quando si riconoscono le influenze di opere o autori “esterni” al romanzo che stiamo leggendo; a volte, è lo stesso autore a dichiarare le proprie fonti d’ispirazione, mentre in altri casi sono i critici ad individuare particolari assonanze e/o affinità con altre opere. Nel nostro caso, purtroppo o per fortuna, non riusciamo a fare a meno di pensare ai romanzi distopici di Margaret Atwood e, perché no, ai romanzi storici (o quasi) di una giovane Philippa Gregory, ma anche a Nathaniel Hawthorne e alla sua Lettera scarlatta mentre sfogliamo i capitoli de La custode dei peccati.
Un romanzo leggero, dunque, estremamente piacevole e senza troppe pretese – o almeno così sembra – che riesce a intrattenerci fino alla fine, seppur lasciandoci ben poco a cui pensare.
Per la prima foto, copyright: maxime caron su Unsplash.
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