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Storia di un papà prete. “Priestdaddy” di Patricia Lockwood

Storia di un papà prete. “Priestdaddy” di Patricia LockwoodTra le uscite di agosto si segnala l’opera di Patricia Lockwood, Priestdaddy (sottotitolo: Mio papà, il sacerdote) per Mondadori, collana Strade Blu, tradotto da Manuela Faimali.

L’autrice, americana, si è sempre definita “poeta per mestiere” e, stando al suo ritratto sul «The New York Times», che ha nominato Priestdaddy tra i libri migliori del 2017, la sua principale attività è stata sempre quella di «scrivere per ore ogni giorno, vivendo in modo proustiano». Tra le sue opere, nate anche grazie ai suoi pensieri in centoquaranta caratteri scritti sul suo account Twitter, annoveriamoRape joke (2013) e The Pinch (2017).

Il padre in questione è Greg, prete cattolico “sui generis”, che ha la sua canonica a Kansas City. Prima di leggere l’opera (che non è un romanzo, direi più un memoir) ho fatto delle ricerche, incuriosita dalla sua figura che non conoscevo: Lockwood padre ha trovato la vocazione durante la Guerra Fredda, impegnato come sommergibilista a bordo del USS Flying Fish. Per la sua ordinazione si è resa necessaria la dispensa da parte di Joseph Ratzinger, futuro papa emerito con il nome di Benedetto XVI. Come dice la figlia, l’uomo, infatti, ha «eluso la definizione di cattolico mentre il dizionario dormiva»: Lockwood è l’unico sacerdote cattolico sposato con figli, perché, dopo un passato da ministro luterano, il Vaticano gli ha concesso di poter mantenere legami con la famiglia che aveva costruito nel frattempo.

 

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L’opera inizia con quella che potremmo definire una “cornice”: Patricia, trentatré anni, e il marito Jason sono costretti per problemi economici a tornare nella canonica, per otto mesi di convivenza forzata. È da qui che parte, per la figlia, l’urgenza di raccontare la figura del padre, che da giovane era «angelico, satanico» e soprattutto «ateo e sprezzante».

Storia di un papà prete. “Priestdaddy” di Patricia Lockwood

La narrazione della Lockwood procede per metafore, come quella del mare (dove il giovane marinaio Greg si trova immerso, e matura la sua nuova consapevolezza) inteso come nuovo liquido amniotico: la conversione del padre al cristianesimo è, a conti fatti, una rinascita a nuova vita, dal sommergibile-utero d’acciaio uscirà un uomo nuovo. S’intuisce fin da subito come il rapporto tra il padre e la figlia Patricia sia particolare, rispetto a quello che Greg ha con gli altri quattro figli, che sembrano gravitargli intorno senza coglierne mai davvero l’essenza. Spetta dunque a Patricia tracciare per noi un quadro di questa strampalata famiglia («Siamo noi quelli anormali» dice la sorella minore, a un certo punto).

Storia di un papà prete. “Priestdaddy” di Patricia Lockwood

La sensazione che si prova, pagina dopo pagina, è che l’autrice sia una sorta di lepre marzolina che ci scorta nel suo mondo e a un certo punto, per festeggiare il nostro non compleanno, ci porga una tazza fumante di tè profumato e saporito, ma che poi si premuri di darci una martellata sulle dita: lo stile, infatti, è lapidario e secco; frasi brevi e nette si stagliano come coltellate nella mente del lettore, come se l’intero racconto fosse una raccolta di aforismi. Così sintetizza, per esempio, la conversione del padre: «Era stanco del succo d’uva. Voleva il vino». Ho trovato fantastica la metafora con la quale descrive il primo, impacciato bacio con Jason, definendo lo scontro delle due bocche giovani e pieni di denti l’incontro «tra due gabbie per uccelli». L’autrice alterna passato e presente in molti aneddoti, mescolando questo stile fulminante a quello che potrebbe essere definito “black humour”, facendo riferimenti sulle religioni che, spesso, sinceramente, ho trovato poco gradevoli.

 

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Alcune battute strappano una risata (contrazione dei muscoli facciali che è particolarmente gradita soprattutto di questi tempi!), altre non mi sono neanche sforzata di capirle. Greg Lockwood è sicuramente un personaggio (pardon, un uomo!) che sarebbe piacevole incontrare almeno una volta nella vita, per farsi due chiacchiere sul suo divano, anche se lui, di certo, ci accoglierebbe in mutande.


Per la prima foto, copyright: Shalone Cason su Unsplash.

Per la terza foto, la fonte è qui.

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