Storia di un’odissea contemporanea. “La Sublime Costruzione” di Gianluca Di Dio
Cosa farebbe un Odisseo nei tempi moderni? Verso quali orizzonti si spingerebbe? Dove dirigerebbe la sua mente polutropos? Dove si incarnerebbe la sua curiositas? Con quale mezzo si muoverebbe?
Questi e altri interrogativi sono sottesi a La Sublime Costruzione di Gianluca di Dio, romanzo apocalittico e distopico edito da Voland nell’ottobre del 2021.
Una città distrutta da un’inondazione e da una guerra: gli uomini superstiti vagano come ombre senza una direzione. Sono annichili, hanno smarrito memoria e senso:
«C’era stata una guerra, appunto, e come sempre nessuno era riuscito a vincerla. La città dove mi trovavo era stata inghiottita come una bustina di zucchero dalla fame escandescente dell’acqua di una diga. Da mesi, da quando le acque si erano ritirate, eravamo… rimasti prigionieri del grembo stracciato e naufrago di quella città. Nessuno possedeva altro che sé stesso e come tale si nascondeva al mondo nel terrore di far gola alla natura o di veder specchiato in qualcun altro il ghigno mostruoso del soccombente…»
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Così si apre il romanzo odissiaco nel capitolo Dopo la catastrofe che ben descrive con toni incisivi e stranianti lo smarrimento che coglie una città alla fine di una guerra, che come sempre non ha vinto nessuno, perché nelle guerre siamo tutti sconfitti: non ci sono guerre giuste, ma solo quelle che distribuiscono a piene mani morte e distruzione.
Cosa fare adesso? Dove rivolgere lo sguardo accecato dalla fame e dalla disperazione? A un certo punto il miraggio, il varco nella rete che stringe: si sente parlare della Sublime Costruzione, un cantiere dove le luci sempre accese creano giorni senza tramonti.
Andrej e l’amico fidato Arvo (allusione al cane Argo di memoria omerica?) si imbarcano in questo viaggio nella nebbia, si pongono alla guida di una corriera lattea, sostituzione della zattera di Odisseo, e si muovono in un vagare dai contorni sfumati verso la Sublime Costruzione, un luogo in cui ognuno porta a realizzazione i propri progetti, in cui tutti trovano benessere, realizzazione e lavoro. Il viaggio assume connotati omerici, come si desume dalle frequenti similitudini e dai versi omerici posti a esergo in ogni capitolo; non si tratta di un nostos, non di un ritorno in patria, ma di un viaggio alla ricerca del nuovo, di una panacea, di un paradiso in cui rinascere a nuova vita, come avviene nel sentire dei Greci, per i quali le città arrivano a farsi guerra una volta raggiunta l’acme del loro sviluppo (la guerra del Peloponneso docet). Dopo la guerra, gli uomini, alla fame e allo stremo delle energie, rinascono a nuova vita e danno inizio a un nuovo ciclo di progresso che li porterà alla grandezza per poi ricadere nella guerra, nella devastazione e nella successiva rinascita, secondo un andamento ciclico. Qui, nel romanzo si tratta di una rinascita, dell’adempimento di un desiderio comune, perché ognuno degli uomini ha diritto di sognare una svolta dopo un periodo buio, perché non è giusto vagare su questa terra senza tetto e senza memoria.
Si tratta della realizzazione di un sogno, per conseguire il quale occorre affrontare delle prove: le sirene ammaliatrici, Circe, i Lotofagi, Polifemo, il regno dei morti, nei quali Andrej e l’amico fanno tappa, in approdi simbolici, mentre arrancano alla guida della bianca corriera verso il luogo dell’utopia. Ma cosa è la Sublime Costruzione? Ben poche notizie si hanno: si erge come un faro; una torre bianca ai limiti di un mondo ormai distrutto.
I riferimenti alle tappe di Odisseo e il ricorso frequente alla figura della similitudine ci danno la cifra di quanto sia imponente il progetto dello scrittore: una vera e propria riscrittura dell’Odissea, da cui costantemente è ripreso il tono epico e favolistico.
Anche qui l’epicità non esclude la bestialità e la brutalità (si veda l’episodio della maga Circe); per cui si può dire che il tessuto narrativo è ibrido, come lo è lo stile, con repentini azzardi verbali che si alternano e affondamenti linguistici che ne fanno un testo vivo, denso e saltellante. Oserei dire, un colpo di genio è quello del giornalista-scrittore Gianluca Di Dio, nativo di Parma, trasferito a Bologna, già pubblicato da Voland, in cui sono presenti anche riferimenti ai poemi cavallereschi e alle res gestae degli eroi del passato, cui Di Dio ricorre con scaltrita dimestichezza.
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Un’opera colta con la catarsi del lieto fine: la soddisfazione del sogno di benessere e confort per tutti, dopo l’annebbiamento della coscienza, la perdita di senso e memoria. Arvo ha perso le speranze di trovare ancora un posto vivibile, ma Andrej lo sprona e infine la meta si avvicina e anche il recupero della memoria, perché senza di questa non è dato vivere: di questa si va alla caccia, non solo di un luogo in cui abitare, ma anche di una situazione reale in cui si concretizzi la coscienza.
Il romanzo post-apocalittico ci apre una faglia di speranza, perché tutti abbiamo diritto a rinascere dopo il recupero della nostra storia.
Un messaggio positivo si offre al lettore attratto dall’ondivago viaggio dei nostri protagonisti alla ricerca della Terra Promessa, che coincide con la Sublime Costruzione, perché la vita è una costruzione davvero.
Per la prima foto, copyright: Andreas Wagner su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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