Storia di un libro mutaforma. “Il camaleonte” di Samuel Fisher
Si chiama John ed è il protagonista del romanzo d’esordio di Samuel Fisher, Il camaleonte. È un libro, ma non uno di quelli che siamo abituati a conoscere noi, è un mutaforma capace di assumere le sembianze di qualsiasi libro, ma è anche più di questo: contiene tutto il conoscibile e può assumere qualsiasi forma della carta stampata e offrire al lettore di turno il contenuto corrispondente, sia esso un quotidiano, l’ultimo best seller in testa alle classifiche o un manuale di chimica. John ha imparato che può intervenire sul testo di cui si appropria e proprio attraverso questi atti di indipendenza si è costruito un’identità.
«Ora – a parte il mio breve soggiorno nella pelle di un assassino – avevo sempre indossato libri già pubblicati. Posso averli modificati un po’, aver aggiunto una parola qui, tolto un paragrafo là, ma in genere rimanevano riconoscibili per le persone che li avevano scritti. Fu attraverso questi gesti di espressione, piccole deviazioni rispetto a ciò che già esisteva, che mi sono fatto. E fu ciò che mi diede dei limiti.»
Dunque sono gli occhi e le parole di John che ci accompagnano per tutta la lettura e che ci raccontano la storia di Roger, il suo attualeproprietario.
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Dalla cima dello scaffale in cui è stato riposto, John assiste impotente alle ultime settimane di vita del suo amico, la persona con cui ha trascorso più tempo da che ha memoria, e proprio di questo tempo ci narra, legando la sua storia a quella di Roger con salti nel tempo e digressioni a volte un po’ destabilizzanti. Scopriamo così della capacità di John di vestire il libro giusto in base alle proprie esigenze ma anche del periodo in cui Roger ha lavorato in Russia come spia. Incontriamo Ruth, Jess e infine Margery, il grande amore di Roger.
Ma mentre seguiamo in modo abbastanza lineare la vita di un uomo ordinario con un impiego straordinario, compiamo dei salti avanti e indietro nel tempo per seguire i cinquecento anni di John. Passiamo per le mani di Alexander Graham Bell, veniamo seppelliti nel cimitero ashkenazita di Brady Street a Whitechapel, ascoltiamo le preghiere di una giovane anacoreta mentre John prende coscienza di sé stesso e facciamo la conoscenza di un altro giovane mutaforma, oltre ad assumere altre sembianze e incontrare altri personaggi più o meno noti.
Man mano che leggiamo, inizia però a farsi strada una domanda: quanto di quello che leggiamo corrisponde a verità? Possiamo fidarci di John quando sappiamo benissimo che può manipolare le storie a suo piacimento?
«Se fossi un altro genere di libro, allora Margery avrebbe forse iniziato a cantare con voce leziosa. Si sarebbero voltati piano a guardarsi, palmo contro palmo, aprendosi in sorrisi smaglianti. Se fossi un giallo, allora Margery sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe confessato a Roger un oscuro segreto di famiglia che li avrebbe uniti, un segreto che il detective non svelerebbe finché il mistero non fosse risolto. Se fossi un thriller, Roger sarebbe caduto in avanti nel lago, tenendosi il collo, dopo che un dardo avvelenato gli avesse colpito la giugulare. Se fossi una storia d’amore, sarebbero corsi palpitanti verso la fila di alberi, spogliandosi a vicenda, la pelle accaldata contro il freddo. Ma non ho intenzione di fare questi giochetti con queste persone. Quindi, rimasero seduti a guardare le anatre e non dissero altro.»
Fin dalla prima pagina, il lettore del Camaleonte di Samuel Fisher accetta il famoso patto di sospensione dell’incredulità e si immerge senza remore in questa realtà alternativa dove un libro può mutare forma a suo piacimento e scegliere di entrare in contatto con il lettore in cui intravede una prospettiva di vita più avventurosa. Accettando questo patto leggiamo due storie, una più ordinaria e l’altra perfetta per gli amanti dei libri. Nel mezzo troviamo alcune riflessioni sulla natura e sulle relazioni umane che sono delle vere perle di saggezza ed eleganza. In fondo John ha osservato l’umanità per cinquecento anni e ha tutto il diritto di ergersi a giudice delle nostre scelte, eppure ora che si è consegnato nelle nostre mani non possiamo esimerci dal notare certi atteggiamenti supponenti tipici della nostra razza.
Samuel Fisher è un libraio che per la prima volta si è cimentato nella scrittura e innegabilmente ha saputo inventare una storia piacevole, adatta a un pubblico trasversale di lettori. Personalmente in alcuni punti ho patito un po’ le lunghe divagazioni e i cosiddetti salti “di palo in frasca” e, lo ammetto, avrei fatto a meno del risvolto a tema spionaggio che pure capisco serva a dare nerbo a una vita, quella di Roger, altrimenti fin troppo comune.
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Il camaleonte è arrivato in Italia nella traduzione di Cristina Cigognini grazie alla giovanissima 8tto edizioni che lo propone ai lettori con una raccomandazione, a mio parere molto azzeccata:
«Indicato: per chi ama saltare da una lettura a un’altra con una certa sfacciata disinvoltura alla ricerca di verità nascoste.
Effetti collaterali: una impellente e irrefrenabile necessità di circondarsi di libri di qualsiasi genere essi siano.»
Per la prima foto, copyright: Muhammad Haikal Sjukri su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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