“Storia di chi fugge e di chi resta” di Elena Ferrante
Pubblicato da Edizioni e/o, Storia di chi fugge e di chi resta è il terzo volume de L’amica geniale (il prossimo autunno è prevista la pubblicazione del quarto volume). E se l’autrice, Elena Ferrante, è fantasmagorica, nascondendosi dietro a uno pseudonimo, i suoi personaggi sono di carne e ossa, tanto appaiono reali e non solo realistici, com’è tipico della letteratura. Il romanzo, popolato da così tante figure ben definite, offre l’opportunità di ritrovarcisi, come in un assunto universale, tale per cui gli animi si dividono tra coloro che fuggono e coloro che restano.
Elena Greco, Lenù per chi l’ha vista crescere nel rione di Napoli, indossa, apparentemente, le vesti della protagonista della storia di chi fugge, mentre Raffaella Cerullo, Lila, ha le movenze di colei che resta. La distinzione netta è vera solo in parte. Sì, geograficamente parlando, Lenù è fuggita, a Pisa dove ha frequentato la Normale, a Firenze dove si è sposata e ha avuto figli, a Milano e Torino per presentare il suo romanzo che l’ha resa scrittrice, un po’ per merito della suocera, e un po’ per merito suo e di un passaggio sulla sporcizia al femminile. Lila ha ridisegnato di poco la geografia della sua infanzia, si è scostata più che spostata, e ha lasciato la vita agiata per una da operaia nel clima degli anni ’70.
In ultima analisi, tuttavia, è Lenù a restare mentre Lila fugge, perché ciò che fa la differenza è la presenza o l’assenza dell’Io del passato. Lenù se lo trascina appresso, anche se ora ha la password per accedere al mondo degli intellettuali e di coloro che contano, grazie al matrimonio con Pietro Ariota, docente universitario. Si trascina, nella vita adulta, la bambina del rione di Napoli, un po’ intimorita dalla vita tanto da guardarla spesso come spettatrice, più che viverla veramente. Lila vive, invece, rinnovandosi di continuo, abbandonando l’Io del passato e qualsiasi nuovo Io possa nascere per intromettersi nella sua evoluzione, nella sua presa di coscienza. E lotta, Lila, contro le ingiustizie che la investono come donna, lavoratrice, figlia. Lenù subisce, reagendo solo per autodifesa o per difendere l’amica. Lila ha fatto la signora, l’operaia, la sindacalista, ha suscitato l’amore nel cattivo ragazzo del rione, tenendogli testa, ha aperto le porte all’uso della tecnologia ancora nascente. Lenù ha studiato, molto, ha scritto un libro e si è sposata con un uomo un po’ goffo, ma bravo, e con una famiglia solida alle spalle.
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Se Lila evolve di continuo, come un fiume che accoglie continuamente i torrenti, Lenù involve lungo le pagine del romanzo. Dalla cima all’onda che l’ha resa scrittrice di fama nazionale, il matrimonio con Pietro la rinchiude dietro le mura domestiche, togliendole gli studi e la scrittura e dandole in cambio i panni della madre e della moglie. Non riesce più a scrivere, Elena Greco.
Il testo, scorrevole nel suo fluire, si dispiega come una risorsa eccezionale di metafore e riflessioni scritte magistralmente. Dice la Ferrante, dando voce al popolo: «quanta deferenza c’era verso chi aveva studiato, studiare era un trucco per i ragazzi più svegli per sottrarsi alla fatica». Ed è di una lucidità sorprendente, quando Elena Greco scruta dentro se stessa, come per esempio nel momento in cui incontra Nino, padre del figlio di Lila, nonché suo amore adolescenziale che ha preferito l’amica, in contrapposizione col futuro marito, Pietro, uomo colto ma del quale non è innamorata: «Nino […] veniva dall’infanzia, era costruito con desideri bambini, non aveva concretezza, non si affacciava sul futuro. Pietro invece era di adesso, massiccio, una pietra di confine».
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