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Stoppard vs. Tabucchi: una partita a tennis con le parole

Tom Stoppard, Antonio Tabucchi[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 6/2013, La gioia dell’incontro]

Immaginate un campo da tennis  racchiuso nella sala di un antico palazzo.
Immaginate una rete posticcia attaccata a due bastoni tremolanti. E poi immaginate due uomini, abbigliati come se fossero due giovani mandriani da spaghetti western scelti per recitare in un pomposo dramma elisabettiano.
I due uomini si dispongono ai bordi opposti del campo, sono pronti a cominciare. Le bocche sono le loro racchette e le parole le loro palline.

Per il quarto numero della nostra rubrica Voglia di Protagonismo entreremo a testa bassa e a mente aperta nel mondo del teatro e dei suoi protagonisti nascosti, perché piccoli, ignoti e spesso ignorati, dietro le cui parole possono germogliare dubbi così grandi da tessere un’intera vita o forse molte decine, quante possono essere le rappresentazioni di uno spettacolo che si basa sempre sullo stesso testo, ma mai davvero sulle medesime parole. Parleremo di teatro nel teatro e, quindi, di metateatro, parleremo di personaggi-attori e di attori-personaggi, permettendoci di attaccare i nostri occhi e le nostre emozioni alle iperboli verbali di Tom Stoppard e Antonio Tabucchi, passando per Pirandello, che molto ha fatto per gli splendidi protagonisti non protagonisti che Stoppard e Tabucchi hanno creato.

Di parole preziose e scoppiettanti si nutrono i primi protagonisti non protagonisti di cui vorremmo parlarvi: i due uomini per cui vi chiedevamo uno sforzo d’immaginazione all’inizio del nostro racconto. Li avevamo lasciati ai due bordi del campo pronti a giocare. Una partita di domande fra Rosencrantz e Guildenstern. Ve li ricordate? Due nomi insoliti dalle sonorità esotiche per l’italico palato. Due personaggi minori scappati dall’Amleto di Shakespeare, “amici” del tormentato principe di Danimarca, incaricati dal re Claudio (che ha ucciso il padre di Amleto e sposato sua madre Gertrude, per diventare re di Danimarca) di indagare sullo stato mentale del principe: finiranno uccisi in Inghilterra, dove erano stati mandati per far uccidere Amleto.
L’uno assorbito e confuso nell’altro, tanto da non poter essere analizzati disgiuntamente, poco delineati e sviscerati da Shakespeare che ne fa personaggi strumentali all’evoluzione della narrazione, meritano un unico e sbrigativo commiato da parte del bardo: «Rosencrantz e Guildenstern sono morti» (Atto V, scena II).

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Ed è proprio da questa rapida sentenza che Tom Stoppard (“britannicissimo” drammaturgo, nato, però, nell’ex Cecoslovacchia del 1937 con il nome di Tomáš Straussler) è partito per creare una delle pièce teatrali più famose e rappresentate del XX e anche del XXI secolo. Un testo che porta il metateatro pirandelliano e beckettiano a nuovi e rocamboleschi traguardi semantici. Nella mente di Stoppard, Ros e Guil (come vengono indicati Rosencrantz e Guildenstern dallo stesso Stoppard nel suo script) diventano osservatori di una storia (quella di Amleto) che da principale e assorbente diviene minore e spesso priva di senso ai loro occhi, impegnati a guardarsi dentro e a cercare di capire la ragione della loro permanenza in scena (senso che non troveranno).

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