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“Stella del Nord”, un thriller sul regime nordcoreano. Intervista a D.B. John

“Stella del Nord”, un thriller sul regime nordcoreano. Intervista a D.B. John10 giugno 2018, ultime notizie dalla Corea del Nord: Kim Jong-un è atterrato a Singapore per incontrare il presidente Donald Trump. È la prima volta che un leader nordcoreano incontri il presidente degli Stati Uniti.

Chissà come D.B. John avrebbe inserito questo incontro nella trama del suo romanzo, Stella del Nord, un thriller mozzafiato pubblicato da DeA Planeta con la traduzione di Luca Fusani e Sara Prencipe. Ma nel thriller di D.B. John Kim Jong-un non appare che alla fine, quando è chiamato a capo del regime come erede del padre. Il resto di Stella del Nord è infatti ambientato durante il regime del Caro leader Kim Jong-il, quando la Corea del Nord era più che mai inaccessibile a occhio occidentale.

L’azione prende il via con la scomparsa di due studenti, una ragazza metà coreana metà afroamericana, Soo-min, e un ragazzo coreano, Jae-hoon, dall’isola di Baengnyeong, non poco distante dalla Corea del Nord. I ragazzi sono creduti annegati e i loro parenti perdono ogni speranza di rivederli. Solo Jenna, sorella gemella di Soo-min, non ha mai smesso di sperare e continua a credere che sua sorella sia viva da qualche parte del mondo. Un altro filone narrativo è quello della storia di Cho, un generale nordcoreano, che perde progressivamente fiducia nel regime e apre gli occhi verso le sue atrocità. Poi troviamo la storia della signora Moon, un’ajumma, cioè un’anziana nordcoreana forte e laboriosa che non si fa coinvolgere nella propaganda e nelle idee del regime.

Ma nelle sue 507 pagine, Stella del Nord non ci mette solo davanti tre storie intriganti che si intrecciano tra loro creando una suspense crescente, ma ci trascina all’interno del regime dei Kim, aprendoci le porte ad alcuni dei suoi più inaccessibili segreti.

 

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Grazie a Sul Romanzo, ho avuto la possibilità di incontrare D.B. John a Roma lo scorso mercoledì, e di fargli alcune domande su Stella del Nord.

“Stella del Nord”, un thriller sul regime nordcoreano. Intervista a D.B. John

Per iniziare, mi parli della genesi del suo romanzo. Com’è nato Stella del nord?

I regimi tirannici hanno sempre suscitato un grande fascino su di me. Sono affascinato dalle persone che usano la forza della massa per spazzare via le leggi, i diritti umani, la libertà di stampa; cosa che oggi si può notare in Russia e negli Stati Uniti. Questo è il secondo romanzo che ho scritto in cui un dittatore appare tra i personaggi. Inoltre, credo che abbia a che fare con il mio processo di crescita. Sono andato a scuola nel Galles del sud, dove ci si sentiva quasi obbligati a conformarsi, specialmente nello sport, il rugby. In questa cultura chiunque avesse un interesse verso la musica o i libri si sentiva diverso; questo tipo di persone fa subito caso agli abusi di potere, come succede per il bullismo, e io ero senza dubbio una di queste. Volevo quindi tre personaggi che uscissero in qualche modo fuori dai canoni sociali. Jenna è afroamericana, e per questo non viene accettata dalla società coreana, Cho ha dei problemi con la sua estrazione sociale e la signora Moon è un’emarginata. Oltretutto è stato un esercizio letterario, mi sono chiesto: come posso avere tre completi sconosciuti e far sì che le loro vite si connettano? Tutti questi elementi hanno contribuito alla nascita di Stella del nord.

 

La letteratura è un potente modo di informare intrattenendo. Come mai, quindi, la scelta del genere thriller? Forse un modo per sensibilizzare un vasto numero di lettori riguardo la situazione nordcoreana?

Sì, è un potente strumento per trasmettere informazioni reali. La letteratura riesce in cose che non si ottengono leggendo i giornali. La letteratura ci fa entrare nella mente dei personaggi, ci fa percepire i loro sentimenti, ci fa sentire la loro paura. La letteratura ci permette di cogliere le atmosfere e ho voluto costruire i personaggi in modo da dare al lettore un’idea autentica di cosa significhi veramente vivere in Corea del Nord. Riguardo al genere thriller poi, sì, ovviamente volevo tenere i lettori attaccati alle pagine, ma spero non si riduca solo a questo. Molti thriller che ho letto hanno personaggi che si possono definire bidimensionali, io, invece, ho voluto rendere i miei un po’ più profondi, più strutturati e quindi più verosimili per il lettore, così che anche i loro sentimenti e i loro pensieri risultassero più realistici.

 

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Il suo è un thriller perfettamente strutturato. La tensione crescente tiene il lettore attaccato alle pagine fino alla fine del libro. A livello narrativo, quali sono stati i suoi modelli?

Sicuramente George Orwell, la sua influenza è in ogni pagina del libro. Non lo stimo solo per il tipo di società che, in 1984, aveva previsto si sarebbe avverata, ma anche perché è stato un maestro della lingua inglese. Era profondamente convinto che una lingua poco chiara confondesse i pensieri delle persone e che la lingua potesse essere uno strumento di manipolazione se non usata nel modo giusto. Per un breve periodo ho esercitato la professione di avvocato e, anche se non faceva per me, quest’esperienza mi ha insegnato una cosa: come scrivere con chiarezza, senza ambiguità o confusione. Oltre a Orwell, un’altra grande influenza è stata quella di Margaret Atwood e in questo romanzo, quando si parla del progetto Semina, il tema della genetica entra nella storia e il controllo del regime non resta solo mentale ma diventa anche genetico. Un’altra fonte di ispirazione è stato William Boyd. In quattro dei suoi romanzi compaiono personaggi femminili dalla personalità forte e io volevo fare lo stesso. Una volta gli ho chiesto: da uomo, cosa ti dà la sicurezza per scrivere di donne? Lui mi ha risposto che si concentra sul personaggio, quello viene prima, e poi segue tutto il resto.

 

Ricollegandoci a George Orwell, la descrizione che lei dà del sistema scolastico e, in particolare, dell’insegnamento della lingua straniera è a dir poco scioccante.

Sì, i ragazzi all’università di Pyongyang imparano i tempi verbali inglesi in questo modo: uccidemmo gli americani, uccidiamo gli americani, uccideremo gli americani. O, per esempio, nei libri di matematica a scuola, i bambini hanno esercizi di questo tipo: durante una battaglia della Guerra patriottica di liberazione, 33 compagni dell’Armata del popolo coreano uccisero 30 bastardi imperialisti inglesi. Qual è la somma dei soldati che combatterono? E ancora, nei libri di geografia, vengono mostrate le immagini di una fatiscente azienda agricola dal terreno sterile e nella descrizione si legge: un terreno agricolo in Corea del Sud, dove non cresce il riso. La propaganda penetra a fondo in ogni aspetto del sistema scolastico e, in generale, della vita.

“Stella del Nord”, un thriller sul regime nordcoreano. Intervista a D.B. John

Non ho trovato una vastissima quantità di informazioni sulla sua biografia e questo mi ha resa molto curiosa. Com’è arrivato un aspirante avvocato e poi editor di libri scientifici e per bambini a diventare coautore, insieme a Hyeonseo Lee, e poi autore di due libri sulla Corea del Nord? Com’è nato l’interesse verso questo paese?

Prima di tutto, sono un appassionato di storia e sono molto attratto dai regimi dittatoriali, come ho già detto. Inoltre, ho riflettuto a lungo sul fatto che la Corea del Nord, al giorno d’oggi, è come un fossile vivente; come quel pesce che si credeva fosse estinto milioni di anni fa e poi è stato trovato di nuovo. È un fossile della guerra fredda che avrebbe potuto cessare di esistere venticinque anni fa, e invece no, è ancora lì. È impossibile non essere intrigati da tutto questo! Oltretutto il fatto che è così misterioso e impenetrabile, a differenza della nostra società dove le informazioni sono alla portata di mano di tutti. Uno scrittore non può fare a meno di scrivere di un posto così!

Riguardo a come sono diventato uno scrittore, invece, ho esercitato per pochissimo tempo come avvocato e poi ho lavorato per più di dodici anni come editor di libri per bambini; ho pubblicato libri su insetti, pianeti, stelle, antichi romani… praticamente su ogni cosa! Dopo dodici anni passati a riscrivere libri di altre persone mi sono stancato e ho detto: sai che c’è? Forse posso scrivere un libro anche io! Così, nel 2007, mi sono iscritto a un master di scrittura creativa alla City University di Londra. Questo è, credo, l’unico corso di questo tipo che richiede il completamento di un romanzo previo il rilascio del diploma. Nel 2009 sono quindi andato a Berlino per tre mesi a scrivere il mio primo romanzo. Ho affrontato la cosa con molta tranquillità, anche perché non pensavo sarebbe mai stato pubblicato e il mio scopo era solo di finire il corso. Invece, è stato pubblicato. È così che ho iniziato a fare lo scrittore. In seguito, quando il mio editore ha saputo che stavo lavorando su un thriller ambientato in Corea del Nord, mi ha chiesto se volessi diventare coautore di Hyeonseo Lee, una disertrice del regime e ora attivista per i diritti umani. Insieme abbiamo redatto le sue memorie in un libro, La ragazza dai sette nomi, che è poi stato inserito nella lista di bestseller del «New York Times».

 

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Il suo libro parla in maniera approfondita della struttura del regime, della propaganda, delle missioni segrete e del rapporto che intercorre con gli Stati Uniti. Dove ha tratto le informazioni per il suo romanzo? Quanto ha influito, in questo senso, il suo viaggio in Corea del Nord?

Non mi sono basato solo sul viaggio, ma anche sui molti colloqui che ho avuto con i disertori in Corea del Sud. Tante piccole cose che ho notato durante la mia permanenza sono state poi inserite nel romanzo, per esempio che nessuno si riferisce mai al leader senza recitare il suo appellativo completo: non verrebbe mai in mente di dire Kim-Jong Il, ma il Caro Leader Kim-Jong Il. E anche per esempio nel Yanggakdo, l’hotel per stranieri, c’è un pulsante per ogni piano ma non per il quinto. Quel povero studente americano, che è stato arrestato, aveva provato a rubare un cartellone di propaganda proprio da quel piano, il quinto, che è un mito urbano, il piano segreto. Sono piccoli dettagli come questi che ho inserito nel libro. Ma la maggior parte dei particolari che hanno poi dato vita ai personaggi, provengono dai colloqui con i disertori e con Hyeonseo Lee, lei mi ha fatto luce su molte cose: su cosa significhi veramente vivere e crescere sotto il regime, sul sistema scolastico e su cosa facevano le persone per sopravvivere alla carestia.

 

Un’altra parte del romanzo molto interessante è quella in cui viene descritta la morte di Kim-Jong Il. A quel punto il confine tra finzione e realtà diventa molto labile e quasi scompare.

È proprio da questo fatto che è venuta fuori l’idea del romanzo. Quando ho letto che Kim- Jong Il era morto mentre stava viaggiando sul suo treno, ho riso al comunicato della propaganda ufficiale che diceva: il Caro leader è morto a causa dell’eccesso di lavoro fisico e mentale dopo una vita interamente dedita alla causa del popolo. A quel punto ho pensato: e se invece non fosse stato un attacco cardiaco? Se qualcuno lo avesse in realtà ucciso? Ammiro moltissimo i romanzi di Robert Harris, perché utilizza sempre eventi storici e reali, nei quali trova un punto oscuro, misterioso attorno cui costruisce la sua storia. E questo in parte è stato anche il mio intento.

 

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Il suo romanzo ha una struttura che si potrebbe definire quasi circolare, la fine riprende l’inizio. Come mai questa scelta?

Perché volevo dare al romanzo una nota di speranza. Sono i primi giorni di primavera e la bella stagione si respira nell’aria, ma ci sono anche i segni che la fine del regime è possibile. Se il regime subirà dei cambiamenti è grazie alle informazioni che riescono a varcare i confini del paese e che possono trasformarsi in un fiume in piena.


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