“Stati di grazia” di Davide Orecchio
Il romanzo Stati di grazia di Davide Orecchio, edito da Il Saggiatore nei primi mesi del 2014, è la dimostrazione che la letteratura può testimoniare, con una lingua ricercata e visionaria, gli orrori della dittatura in Argentina e contemporaneamente denunciare le aberranti condizioni di lavoro dei carusi nelle zolfare siciliane: la storia, infatti, si svolge tra Italia e Argentina e narra le vicende di tanti personaggi che si muovono tra la Sicilia, Buenos Aires, il Nord dell’Argentina e Roma.
Orecchio parte da precisi eventi storici, sui quali si documenta con perizia certosina, segnalando le sue fonti e costruendo un ordito narrativo di complessa impostazione. La denuncia sociale vibra nell’accadimento tragico del singolo, per inserirsi nella tragedia collettiva di tanti desaparecidos, che hanno un’identità grazie al racconto che ne hanno fatto i testimoni che sono sopravvissuti all’abominio della dittatura. È qui che entra in gioco il potere della letteratura che dà voce a tutte queste storie di emigrati, esuli, rivoluzionari, in cui non ci sono vincitori, ma solo vittime. «Chiede: “Cosa succede là fuori? Chi vince”. Rispondo che vincono loro. E noi che siamo le vittime siamo i testimoni di loro. Della battaglia. Della sconfitta. Della vittoria che si chiama strage. Se sta ai macellati riferire il macello, siamo fottuti».
Non vi è un solo protagonista, vi sono le vite di molti personaggi che si intersecano: il libro ha una diacronia che dà ai singoli capitoli una loro autonomia narrativa e una sincronia che sussume tutte le parti in un insieme armonioso, sebbene complesso. Ogni personaggio ha un registro linguistico diverso, una sintassi che si fa veste verbale. Si passa dal racconto diaristico in prima persona alla terza persona, con la disinvoltura del narratore onnisciente che spunta, a volte con timidezza a volte massicciamente, nel racconto. Una paratassi sincopata lascia poco spazio al discorso diretto; allitterazioni, assonanze e pleonasmi non sono casuali, hanno la cadenza di un ritmo musicale. Vi sono pause riflessive, accelerazioni vertiginose, che incatenano il lettore alla pagina, grazie a una malia ipnotica.
Si inizia con Paride Sanchis, maestro siciliano che si trova a insegnare in una classe che si svuota, poiché bambini decenni vanno a lavorare in miniera, costretti dalla miseria e da un analfabetismo ancora molto frequente nel Sud Italia degli anni ‘50. La vita familiare di Paride è alienante, non ha più dialogo con la moglie ed è un estraneo per la figlia. Uno dei suoi scolari muore in una solfara di Enna. «Muore Bartolo Giugno. Un masso lo prende. Lo scovano nella coccola di una roccia. La miniera non è una carezza, però. Il freddo non riscalda, l’odio non ama, un bambino non è un gigante. Il bambino non merita zolfo. Neppure il gigante lo merita. Nel mondo finisce Bartolo Giugno. Questo mi spezza».
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È troppo per Paride: decide di lasciare Enna e acquista un biglietto per l’Argentina. A partire sarà un altro al posto suo, l’altro Paride. Siamo nel ‘54 ed Evita Perón è morta da pochi anni. Paride l’altro si stabilisce a Hölderlin assieme alla moglie Ximena e lavora in uno zuccherificio. «La vita di Hölderlin: dal sottosuolo con le sue scaglie e ossa fino ai vertici di fabbrica e canne; ma tutto quello che c’è in mezzo, gli spiega, è destinato alla risulta e nel villaggio trovi già il suo futuro come sedimento e gli uomini come relitti, il cascame della speranza, il salario carcassa.
La sussistenza della vita dipende da un lavoro che la sottrae: ecco il paradosso di Hölderlin». Anche il medico Diego Wilchen si trasferisce a Hölderlin, per curare gratuitamente i braccianti malati. Il tipografo Arturo Coloccini stampa clandestinamente manifesti rivoluzionari e aiuta la militante Aurora ed espatriare in Italia. La sincronia degli eventi fa sì che il tipografo, il medico e l’emigrato si incontrino proprio a Hölderlin e diventino amici. Il climax narrativo si raggiunge nel 1976, quando Ximena e Diego vengono catturati e torturati.
Orecchio inventa invece la biografia di Matilde Famularo, poetessa siciliana che emigra in Argentina, dove partecipa alla lotta armata contro la dittatura. Stati di grazia è, appunto, un quaderno di poesie della Famularo,«dove iniziano ad affiorare gli scomparsi: gente sparita da mesi torna a farsi vedere e i testimoni assistono al ricomporsi delle fattezze». Il titolo del quaderno della poetessa diventa il titolo del romanzo in una mise en abyme letteraria che fa di Davide Orecchio uno degli autori più interessanti del panorama letterario italiano odierno.
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