Spigolature sulla vita. “Finché splendi amore” di Anna Buoninsegni
Se è vero (per dirla con Fabrizio Caramagna) che «il verseggiatore ama giocare con l’invisibile: prende l’aria intorno a una farfalla e costruisce il sorriso di un bambino», la forza paradigmaticamente evocativa della forma d'arte nata prima della scrittura consiste proprio nella capacità di duettare con l'ignoto e trascendere, esplorando l'immateriale, la mera finitezza terrena. E tanto gli esperimenti più sfrontati dell'odierna avanguardia contemporanea, quanto la primigenia oralità, testimoniata dagli antichissimi canti a batocco dei contadini, suggellano la sua recondita vocazione.
Questa (tutt'altro che illusoria) bramosia di scalpellare l'eterno, emerge dirompente nell'ultima opera di Anna Buoninsegni, Finché splendi amore (Le Farfalle).
La poetessa e giornalista – di origini toscane – percorre da sempre gli accidentati sentieri dominati dalla metrica, denotando una sensibilità (emersa nitidamente nelle raccolte di versi La stanza di Anna del 1997 e Ad occhi aperti del 2005, entrambe edite da Crocetti e introdotte da una prefazione di Mario Luzi) che ora rivela un’organica maturazione espressiva. Figlia di un perfezionamento stilistico ed estetico elegante e compiuto, non disgiunto da un ormai più che solido background speculativo, simbolizzato egregiamente.
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Anna Buoninsegni circumnaviga sapientemente l'arcipelago frastagliato dell'amore, del dolore e della stessa parola. In un connubio tra significato semantico dei fonemi e loro intrinseca musicalità, che annichilisce, non mancando di spiazzare anche i lettori più avvezzi al genere.
L'irrimediabile perdita della propria metà, l'imperitura presenza di chi è scomparso, l'attimo in cui svanisce il battito della vita: non vi è cruciale snodo esistenziale che Anna Buoninsegni non vivisezioni, innervando i suoi chiaroscuri con accenti di sconfinata dolcezza. E trepidante stupore. E ancora: i colori silenziosi dell'estate, i giochi (talvolta feroci) del destino, le suggestioni oniriche del vissuto, l'attesa di scoprire l'eternità in ogni attimo. Il tutto incastonato in una dimensione in cui realtà e sogno, fisicità ed etereo, sgomento e beatitudine magicamente si conciliano, convivendo e dando vita a una prefigurazione tangibile e insieme traboccante d'infinito.
Per Davide Rondoni, l'autrice «è diventata una testimone della dismisura». Ma non è forse oltremodo smodata e incandescente la materia trattata? Che affonda fino alle viscere sanguinolente del mal di vivere di montaliana memoria? Non sono permeati di un’insopportabile eccessività gli strazi, le fratture, le dicotomie dell'animo, che non di rado puntellano la nostra cavalcata esistenziale? Anna Buoninsegni non può far altro (consapevole com'è della solidità del suo ostico avversario) che attrezzarsi di tutto punto, e rispondere colpo su colpo alle frustate. Menando fendenti a destra e manca, con la forza di una guerriera illuminata.
Una guerriera però che mai cede a quella venatura inquieta, disillusa e tormentata che agli albori del Novecento prese il sopravvento. Nulla la accomuna all'autore di Ossi di seppia, e men che meno alla sua concezione negativa della vita e della poesia.
Lungi dal fornirci risposte definitive e dall'elaborare ricette salvifiche, purtuttavia riesce a delineare un quadro di sistema valoriale, con riferimento al senso esistenziale dell'immanente, sufficientemente robusto e convincente. Preannunciando, in un mix di simboli e allusioni – che a dispetto della forma, poco hanno di evanescente – un orizzonte spazio-temporale non privo di asperità, ma risolto e fortemente rigeneratore.
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Pur facendo tesoro dell'ammonimento che amava ripetere Alda Merini, «non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita», talvolta – e ancor di più in tempi massimamente omologati come quelli attuali – afferrare le ciambelle di salvataggio che a noi appare ci vengano da loro lanciate può costituire un esercizio se non dirimente, quantomeno utile. Per almeno provare a dipanare quella matassa aggrovigliata, che è dentro di noi.
Per la prima foto, copyright: Pradeep Ranjan.
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