Speciale Premio Campiello Giovani 2018 – Intervista ad Alma Di Bello
Il racconto di Alma Di Bello getta luce su un tipo di persona in cui ci siamo imbattuti spesso: il procrastinatore, cioè colui o colei che tranquillamente rimanda a domani ciò che può fare oggi.
Ma Blackout non è l’ironico resoconto di una persona che fa del rimandare la sua ragione di vita, no, Alma Di Bello scrive di un uomo, Domenico, che una mattina si sveglia e si accorge che molte cose nella sua vita non funzionano e che suo figlio Leo è cresciuto senza che lui se ne accorgesso. A furia di ritardare e rimandare, il treno per essere padre è passato definitivamente.
Secondo la giuria del Premio Campiello, Blackout «un racconto che indaga sul valore della giovinezza, l’arrivo della vecchiaia, e il senso della vita.»
E proprio da qui siamo partiti per la nostra intervista ad Alma Di Bello.
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Blackoutè, secondo le motivazioni della giuria, un racconto «sul valore della giovinezza, l’arrivo della vecchiaia, e il senso della vita». Perché è importante riflettere su questi temi già quando si è giovani e si pensa di avere tutta la vita davanti?
Ogni cosa che incrociamo, sul nostro percorso di vita, puo' avere infinite interpretazioni differenti a seconda della persona. È il background del lettore, in questo caso, che può leggere nel mio racconto più di quanto io abbia voluto intendere; e ciò, a meno che il significato della storia non venga completamente stravolto, è sempre un piacere. Il mio messaggio era quello di non perdere tempo, mai, di darsi dei piaceri, delle soddisfazioni nella vita, non solo di fare il proprio dovere, ma non smettere mai di essere attivi, per se stessi e per gli altri. La vita passa veloce, io avevo quattro anni e tenevo in braccio mia sorella appena nata giusto l'altro ieri, ora invece mia sorella ha l'età che a me sembra di aver avuto ieri e io ho quella che non ho mai voluto: Diciannove anni. Non possiamo fermare il tempo e Domenico è li per ricordarmelo, perché a me tutto questo fa un'immensa paura e lui nasce come oggetto dell'esorcizzazione della mia paura.
Lei ha definito Domenico, il protagonista del suo racconto, un procrastinatore. Quali sono i rischi insiti nel rimandare sempre? E soprattutto cosa spinge verso questo comportamento?
Non ho la minima idea di cosa spinga a diventare un procrastinatore, se lo sapessi probabilmente avrei già risolto il mio problema, anzi la mia malattia, perchè trovo che sia ancor più difficile da sradicare rispetto a una semplice pigrizia, è come l'edera, non se ne va e ti soffoca, è una cosa insita dentro determinate persone; il procastinatore a differenza del pigro non è mai fiero di sé, fiero di ciò che rimanda, il pigro invece ama la sua vita molle, sonnecchiante, come un vecchio gatto che si coccoli davanti al camino, ecco, la pigrizia è una coccola. L'essere un procrastinatore è una tortura.
I rischi di essere un procrastinatore sono quelli, ad esempio, di assomigliare a me: tanto appassionata alla scrittura ma talmente procrastinatrice da essere brava a inventare soltanto titoli; ho scritto Blackout in un anno nonostante ne avessi ben chiara la trama e lo sviluppo nella mia mente e ogni volta che decido di mettermi a scrivere un libro alla fine ne esce una poesia, che é notoriamente più veloce da concludere.
Il tempo passa, Domenico sacrifica nel nulla la sua vita per dare la possibilità al lettore di capire che ci sono due tipi di persone: quelli che vivono e quelli che si lasciano vivere.
Il tempo è lo stesso, entrambi questi due tipi di persone potrebbero nascere e morire lo stesso giorno, la differenza si vede in poche cose, ma io sono certa di sapere quale dei due se ne andrebbe fiero e con un sorriso sul volto.
«Domenico sono io», così ci ha detto. Cosa intende di preciso? Perché lei è Domenico, pur essendo ancora così giovane?
Da quando, quattro anni fa, la mia psicologa mi ha detto che ero un'inconcludente e che non avevo la capacità di portare nulla a termine mi sono messa a fare la collezione di tutte le penne Bic che consumavo dall'inizio alla fine. A distanza di quasi cinque anni le Bic sono dieci e rimangono la sola cosa che abbia mai concluso nella mia vita oltre a Blackout e a un piccolo libro scritto assieme alla mia migliore amica quando ero in terza elementare. Non avendo avuto amici in un periodo in cui l'amicizia era importante per lo sviluppo dell'individuo ho sempre avuto l'impressione di essermi persa una parte dell'infanzia. Nonostante la vita a casa fosse immensamente bella quand'ero una bambina mi è mancato qualcosa che i miei genitori non potevano darmi. Quando mi sono ritrovata quindi in piena crisi adolescenziale io, per assurdo, mi sentivo più vicina alla crisi di mezz'età. E spiegare agli adulti che mi sentivo per davvero così non è stato facile!
Domenico é l'esorcizzazione, come già detto, di una grande paura che ho: ossia di restare una procrastinatrice per tutta la vita. Non l'ho scritto per il Campiello, nemmeno sapevo dell'esistenza di quel concorso o di altri. Ho iniziato a scrivere di Domenico perché avevo e ho bisogno che lui esista, per farmi paura, per indicarmi con grosse luci a led verdi e rosse dove IO, Alma, non voglio finire.
Ci ha confidato di essere stata vittima di bullismo e che questo l’ha spinta ad abbandonare la scuola. A distanza di qualche anno, cosa vorrebbe dire ai responsabili di queste azioni? E ai suoi ex insegnanti?
Ho certamente confessato che i miei problemi di bullismo hanno contribuito a formare un blocco nei confronti dell'istituzione Scuola; non voglio però esordire dicendo che la colpa sia del bullismo se io ho abbandonato. Non lo faccio per due motivi, il primo è che non ho nessuna intenzione di conferire a persona alcuna un simile potere sulla mia vita; di conseguenza, nel momento in cui ho scelto di prendere davvero la mia vita in mano sono divenuta la sola e unica resposabile per le mie azioni e questo è il secondo motivo.
A distanza di quattro anni vorrei dire a quelle persone che non si ricorderanno mai di me, e che grazie alle loro cattiverie e all'avermi esclusa dal gruppo io non gli assomiglio, e questa è una delle mie più grandi fonti d'orgoglio. Io non vi assomiglio, non vi sono mai assomigliata né mai lo farò; e alle professoresse vorrei dire che, purtroppo, aver preso un diploma e poi una laurea, non significa saper insegnare o essere umanamente preparati a gestire un gruppo di adolescenti, direi che le frustrazioni di una professoressa che aspirava a diventare una scienziata e invece è finita a insegnare matematica e sienze alle medie o di una che sognava di diventare musicista e ora insegna musica nello stesso posto, quelle frustrazioni, farebbero bene a lasciarle a casa perché la colpa non è nostra e la disoccupazione è un'altra scelta plausibile.
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Ci ha raccontato di aver avuto un’infanzia molto particolare, educata come Heidi, senza cellulare, Tv e computer, e tra i regali più belli che ha avuto ci ha indicato un trapano, una macchina per cucire e un saldatore. In cosa l’ha aiutata questo tipo di educazione? E in cosa invece le ha creato qualche problema?
La mia educazione mi ha aiutato sicuramente in una serie di cose pratiche, so riaggiustare gli oggetti, so cambiare le lampadine, so stuccare, ho insegnato al mio ragazzo e al suo coinquilino a imbiancare e nella loro casa ho appeso una serie di quadri, adoro usare chiodi e martello.
Ne ho migliaia in mente di esempi che si rifanno a quella che è stata la mia educazione un po' “spartana” se vogliamo dire, so cucire, mangiare dal piatto con le mani senza sporcarmi minimamente, e odio profondamente le scarpe, anche per girare in paese.
La verità è che tutto questo ha fatto di me Me e io sono orgogliosa di chi sono, con alti e bassi.
E mi ha creato dei problemi quando ero piccola perché ero diversa, ora non lo so, non so cosa sono, è pieno di persone che si dicono diverse ma lo sono come tutti, la realtà è che la vera diversità non è sempre così piacevole, sei diverso quando il gruppo decide che sei diverso, quando il gruppo decide che per una qualche ragione non hai il diritto di essere come loro. Questa è la diversità, ed è un po' la solitudine che mi ha cresciuta a scuola. Non cambierei una virgola del mio passato, o non sarei più io.
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Come e perché si è avvicinata alla scrittura?
Ho sempre osservato e ammirato il lavoro di papà, lui e mia mamma mi raccontano che a tre anni ho inventato la mia prima poesia, ma nonostante sia sempre stato mio padre a lavorare con la scrittura io l'ho scoperta come sfogo per la prima volta grazie a mia madre. Eravamo nel ricovero di mio nonno, ormai anziano, e ricordo che mia madre caricò velocemente me e mia sorella in macchina, così tutto d'un tratto, poi mi guardò con una faccia che non posso dimenticare, come di qualcuno che avesse appena masticato un limone anche con la buccia. Mio nonno era morto. Io non piansi, non ero capace, come non lo era mia mamma, ci veniva a tutte e due quella faccia da limone. E ricordo che la sera prima che mi addormentassi è venuta vicino al mio letto assieme a mio padre, mi hanno dato un quadernetto e lei ha detto: “Se non puoi piangere, scrivi.”
Da quel giorno non ho mai smesso, pigrizia permettendo, di utilizzare la scrittura come mezzo di sfogo, tramite di arte, videocamera sui miei pensieri.
Per me la scrittura significa mostrare a tutti il film che ho nella mia testa, più ciò che il lettore immagina leggendo assomiglia a ciò che ho immaginato io scrivendo più sento che il mio lavoro funziona.
Il Premio Campiello Giovani rappresenta per molti aspiranti scrittori la prima prova pubblica. Come sta vivendo queste giornate e come si sta preparando alla serata finale?
Io sono Domenico, lui non si aspetta nulla dalla vita, non ha raccontato di se stesso con la speranza di poter vincere un concorso ma semplicemente tra sé e sé, davanti allo specchio, per incutersi paura, per potersi migliorare, nella speranza che possa esistere un treno che passa due volte e non un treno solo perso. Ho imparato nella vita che non sono un voto e comunque vada Domenico ha portato a termine un percorso e non potrei essere più fiera di lui.
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