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Speciale Premio Campiello Giovani 2018 – Intervista a Lorenzo Nardean

Speciale Premio Campiello Giovani 2018 – Intervista a Lorenzo NardeanIl ventenne Lorenzo Nardean è il terzo finalista del Premio Campiello Giovani 2018 che ospitiamo nell’ambito del nostro speciale.

Il suo racconto, che gli è valso l’inclusione nella Cinquina finalista, presenta un titolo che potrebbe indurre a riflessioni pessimiste: Natura morta.

In realtà Lorenzo Narden pone al centro della sua narrazione temi importanti come la vecchiaia, l’omologazione e la solitudine ma lo fa ricorrendo alle armi dell’umorismo che gli hanno permesso di conservare una giusta dose di leggerezza che nulla toglie alla complessità degli argomenti scelti.

 

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Ci ha confessato di aver partecipato al Premio Campiello Giovani per ricevere un giudizio imparziale e sincero su quanto ha scritto. Qual è il suo rapporto con la scrittura?

Questa del premio Campiello è una grande fortuna, perchè ricevere il giudizio di una giuria di letterati è un aiuto prezioso per capire dove e come posso migliorare, e se quello che ho scritto ha del valore.

La voglia di mettermi alla prova con la scrittura nasce sicuramente dal fatto che mi piace molto leggere, e leggendo molti pensieri si accumulano fino a che non viene spontaneo metterli nero su bianco. Perciò è un desiderio del tutto spontaneo quello di riversare le mie idee e i miei pensieri sulla carta.

 

Natura morta è la storia di Arturo Benni, pensionato che si rifugia nel proprio mondo – fatto di oggetti di antiquariato e di lettura – dimenticando tutto il resto, in un’esistenza che la giuria ha definito «vagamente alienata». Perché ha deciso di confrontarsi con un personaggio così?

Portando all’eccesso alcuni tratti caratteristici di certi personaggi si riesce a far emergere in superficie il lato comico che si nasconde dietro al dramma umano.
La storia di un uomo che rinuncia a comunicare con gli altri mette in luce quelli che sono gli ostacoli verbali e fisici che ci sono nelle relazioni tra le persone e dentro le famiglie. Mi sembrava un soggetto interessante, adatto a raccontare la solitudine che proviamo tutti quando ci sentiamo inadatti, fuori posto, e non riusciamo a capire il mondo che ci circonda. 
Il punto su cui mi sono soffermato di più nel mio racconto è quello che riguarda la comunicazione, intesa come filo invisibile che unsce le persone, e che talvolta si spezza inspiegabilmente. Ma anche filo invisibile che mette in realzione una persona con un opera d’arte, come nel caso della pittura o della scrittura, in cui la comunicazione raggiunge il suo più alto livello di astrazione.

 

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Ci ha dichiarato anche di aver voluto esplorare il rapporto tra scelta e omologazione e riflettere su temi come la vecchiaia e la solitudine. Cosa l’affascina di questi argomenti e quali aspetti ha voluto mettere in evidenza?

Ho voluto scrivere un racconto umoristico per poter affrontare alcune tematiche per me importanti con la giusta dose di leggerezza e ironia. Mi sono ispirato a una raccolta di racconti scritti da Ethan Coen (I cancelli dell’Eden): lo stile tagliente e dissacratorio del cineasta americano mi ha colpito fin da subito, e ho capito che era quello l’unico modo per raccontare la storia che avevo in mente senza cadere nel retorico.

Natura morta riflette sull’impossibilità di comunicare con sincerità e sul ruolo che ricoprono le persone anziane nelle dinamiche familiari; parla di omologazione e di conformismo, di ricerca personale e spirituale. È una riflessione sulla vecchiaia e sulla solitudine, sulla ricerca delle fonti della vita morale che un’esistenza ordinaria e razionale tende a insterilire.

La scrittura umoristica mi ha permesso di raccontare questa storia con leggerezza, senza togliere al racconto la necessaria dose di serietà; come nelle novelle di Pirandello, la tecnica dello straniamento permette di vedere il dramma che spesso si nasconde dietro alle situazioni comiche.

Con Natura morta ho voluto descrive la nostra società, esplorare il rapporto tra scelta e omologazione, l’impossibilità di dare un significato alla vita e al dolore e di decifrare i simboli che essi ci mandano.

 

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Il Premio Campiello Giovani rappresenta per molti aspiranti scrittori la prima prova pubblica. Come sta vivendo queste giornate e come si sta preparando alla serata finale?

Non lo definirei una prova pubblica: come ho già detto, ho scelto di partecipare per mettermi alla prova e non ho mai considerato il concorso come una vetrina. Sapere che quello che ho scritto sia piaciuto e possa aver fatto divertire qualcuno è la cosa più importante. Anche grazie a queste considerazioni, in questi giorni sono molto sereno. Forse l’agitazione verrà tutta d’un colpo a settembre prima della cerimonia finale. Per il momento cerco di concentrarmi su altro, e magari farmi venire qualche idea per altri racconti.


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