Speciale Don DeLillo – “L’uomo che cade”
Articolo pubblicato nella webzine Sul Romanzo n. 6/2013 Racconto della crisi.
«Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. […] Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili. Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino».
Questo l’incipit del libro L’uomo che cade, dell’autore italo-americano Don DeLillo – edito da Einaudi nel 2008, con la traduzione di Matteo Colombo –, che parla del crollo delle Torri Gemelle di martedì 11 settembre 2001, per opera di diciannove affiliati all'organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica al-Qā'ida, in cui persero la vita migliaia di civili. Ben quattro aerei si scagliarono nel cuore finanziario e politico degli Stati Uniti d’America. A partire da quella data, l’11 settembre è divenuto sinonimo, antonomasia oserei dire, di terrorismo e di crisi e, di conseguenza, di vulnerabilità dell’America e dell’Occidente tutto. Di tramonto dell’Occidente aveva già parlato Oswald Spengler negli anni Venti del Novecento, intendendo il crepuscolo culturale che stava vivendo l’Europa in quel tempo. Durante il secondo conflitto mondiale, l’America aveva soccorso e liberato l’Europa, nonostante l’attacco di Pearl Harbor da parte dei Giapponesi nel 1941: questo era stato l’unico attacco diretto che avessero ricevuto gli Stati Uniti fino all’inizio del terzo millennio.
Le Torri implodono e crollano su se stesse. Riescono a salvarsi solo in pochi, quelli che lavorano ai piani bassi. Tra questi vi è Keith Neudecker, protagonista del libro, che, valigetta in mano, esce dalla Torre nord in fiamme, cosparso di polvere, ferito a una mano e ricoperto di schegge di vetro. Sopra di lui fluttuava una camicia, che «agitava le braccia come nulla in questa vita». Quelli che lavorano ai piani alti, invece, non trovano via di fuga e si gettano nel vuoto, macchioline scure che piombano verso la distruzione. Keith si fa accompagnare a casa della ex moglie Lianne, dalla quale ha divorziato quasi due anni prima. Il tetto coniugale come porto sicuro e riparo da quella catastrofe di cui è stato, allo stesso tempo, protagonista e superstite.
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Lianne porta il marito in ospedale, le ferite sono lievi, gli vengono asportate le schegge di vetro dal viso e gli viene medicata la mano. Gli dicono che potrebbe avere addosso delle schegge organiche, resti, cioè, di sostanze umane schizzate nell’aria a causa dell’impatto degli aerei sui grattacieli. La parola schegge organiche è terribile, gli ronza nelle orecchie: l’afasia è lo schermo evidente dello shock subito. La valigetta che Keith stringeva e che riporta a casa non è sua, appartiene a Florence, sopravvissuta anche lei all’attentato. Tra i due nasce una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che entrambi hanno vissuto. Come naufraghi sull’isola del comuni ricordi, Keith e Florence si vedono e parlano ripetutamente del crollo delle Torri, delle persone accalcate che premevano l’una sull’altra per uscire dall’edificio, dei cumuli di polvere attaccati ai vestiti, delle giacche che usavano come turbanti per ripararsi dai calcinacci che piovevano sulla testa. È soprattutto Florence a parlare, ad atomizzare i ricordi e le sensazioni che anche Keith ha vissuto, ma che restano inespresse, sebbene rivissute con pathos durante le chiacchierate con la donna.
Keith, terminata la storia con Florence, cerca di ricucire il suo matrimonio in crisi, prendendosi cura del figlio Justin e trovando la maniera adatta per fargli capire la portata di quanto successo quel maledetto 11 settembre. Justin, infatti, assieme ai suoi amichetti, si chiude in camera e scruta il cielo con un binocolo per avvistare gli aeroplani. Osama Bin Laden viene “infantilizzato”, nonché americanizzato in Bill Lawton: questo il nome usato dal bambino per indicare il terrorista numero uno di al-Qā'ida.
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