Speciale Campiello Giovani – Intervista a Mariachiara Boldrini
«Amo leggere e scrivere sin da quando ho imparato a farlo. Attualmente frequento il penultimo anno di liceo linguistico e studio francese, inglese e spagnolo. Ho amici di più nazionalità e più culture e da sempre sono attenta ai problemi socio-umanitari. Nel futuro vorrei frequentare scienze politiche e studiare relazioni internazionali e la lingua araba e specializzarmi nel campo del giornalismo.» Ecco come si presenta Mariachiara Boldrini, una dei cinque finalisti di questa XIX edizione del Premio Campiello Giovani, con Daniele Comunale, Chiara Di Sante, Deborah Osto e Carmelita Noemi Zappalà.
Il suo racconto, Odore di sogni, rielabora in chiave narrativa, una storia vera, quella di Salima, una ragazza saharawi arrivata in Italia per curare un problema di salute e che poi decide di ritornarvi definitivamente «in cerca di un futuro e di se stessa». Attraverso una originale soluzione stilistica che sceglie di procedere per binari sincronici, le voci congiunte dell’autrice e della protagonista ripercorrono insieme emozioni, incertezze, timori e responsabilità, dell’una in quanto testimone e dell’altra in quanto eroina del proprio destino, decisa a dominarlo piuttosto che a subirlo.
Un’opera ammaliante, come l’ha definita la giuria nelle sue motivazioni, pervasa di umori, colori, odori, intrisa di vento, di sabbia, di sogni che non vogliono più essere solo oasi nel deserto ma solidi edifici fatti di autodeterminazione, indipendenza, libertà e rispetto per la propria identità civile e politica anche a costo di pagare un prezzo altissimo.
Un tema per certi versi ingrato, anche per il rischio di cadere in facili stereotipie da cronaca fin troppo quotidiana, e proprio per questo, colpisce, anzi ammalia, il modo accorto, maturo e consapevole in cui Mariachiara lo interpreta, facendo vibrare la pagina di energia, coraggio e tenacia. Le stesse qualità che contraddistinguono la personalità di questa giovanissima donna.
Mariachiara, così giovane ma con molte idee, e ben precise aggiungerei, per l’avvenire. Una giornalista, specializzata in relazioni internazionali e con uno spiccato impegno in ambito socio-umanitario; sembra un progetto molto ambizioso, vuoi parlarcene?
Quando penso a quale facoltà iscrivermi quando uscirò dal liceo, penso a scienze politiche perché mi piacciono la cultura dei popoli, la storia delle nazioni, la geopolitica… ma in realtà più che un progetto il mio è ancora un sogno! Ho diciotto anni, un anno di liceo ancora da frequentare e sicuramente un sacco di cose da scoprire. Per ora mi limito a cercare di capire cosa vorrei fare “da grande”, sicuramente nel futuro mi formerò, maturerò e capirò ancora meglio quali sono i miei interessi.
Ho deciso di studiare le lingue per poter comunicare con gli altri, penso che conoscere la diversità sia in tutti i casi un arricchimento e mi entusiasmo quando mi rendo conto che al mondo esiste davvero chi ha il coraggio di raccontare storie che a noi sembrano impensabili, vivendo spesso lontano da casa e magari a volte rischiando la propria vita. Quando mi chiedo cosa può spingere tanti giornalisti a fare questo lavoro, mi rispondo che un lavoro del genere lo si può fare solo per passione. Io, nel mio piccolo, amo scrivere… e ho sempre pensato che sia fantastico conciliare la propria più grande passione con il lavoro! Vorrei intraprendere questa professione perché ne ammiro, sin da quando ero piccola, la vocazione per le storie e il costante bisogno di trasmettere notizie soprattutto di chi non ha voce e non è visibile ai più.
Non so se sarò in grado di realizzare tutte le mie innumerevoli idee, per ora mi è concesso solo sognare e impegnarmi il più possibile per raggiungere i piccoli traguardi del presente.
Torniamo al presente e al racconto che ti è valso la selezione finale per il Campiello Giovani di quest’anno, Odore di sogni. La scintilla, leggo, è scoccata da una storia vera, capace di accendere il fuoco di un’ispirazione potente; chi è, dunque, Salima e cosa ha rappresentato per te?
Salima è un personaggio di fantasia ispirato a una ragazza e amica saharawi che mi ha raccontato la sua storia. L’anno scorso la scuola ci ha proposto di partecipare come volontari a un progetto di accoglienza estiva di un gruppo di bambini che vivono nei campi profughi e questa esperienza mi ha toccato profondamente! Il breve periodo di stage mi ha aperto gli occhi sulla realtà del popolo saharawi: parlare della sofferenza delle persone, dei problemi di popoli che vivono lontani è abbastanza facile, tutti riusciamo ad avere compassione tramite un televisore; vedere in prima persona il dolore dei Saharawi e dei tanti ragazzi che sin da bambini emigrano in Italia è stato molto più commovente. Il popolo saharawi è, tutt’oggi, dopo anni di estenuante attesa, un popolo senza terra: fu esiliato dal Sahara occidentale prima dai colonialisti europei e poi dal Marocco e, ancora oggi, a dispetto di come questo tema sia ancora poco conosciuto nel resto del mondo, anche le “piccole pesti” che vivono nei campi profughi e che trascorrono l’estate in Italia sono molto agguerrite sul tema dell’indipendenza e attaccate alle loro tradizioni.
Quando ho iniziato a pensare di scrivere qualcosa per il Premio Campiello Giovani, tra le varie storie che avrei voluto raccontare, questa era quella che più mi “pulsava” dentro. Sentivo il bisogno di dare una voce, anche se piccolissima, ai giovani che ho conosciuto e che hanno lasciato la propria famiglia per lottare per il proprio futuro e per la propria nazione, ai bambini che vivono nel deserto algerino e nonostante tutto sorridono e al lavoro dei rappresentati dell’associazione che ci hanno “iniziato al mondo saharawi”.
In particolare la maggior parte delle vicende accadute alla mia protagonista sono fatti veri, tasselli nella vita di una ragazza che esiste nel mondo reale. La mia “musa” mi è stata simpatica fin da subito ma io non conoscevo, quando le ho chiesto il permesso di scrivere di lei, i particolari del percorso che ha fatto per arrivare a essere la donna che è oggi. Nella sua storia (quella di una donna, araba e musulmana, che a diciassette anni ha deciso di emigrare, da sola, in Italia) ho ritrovato la voglia di libertà presente in ogni adolescente come me e il coraggio che ammiro. Mi sono emozionata moltissimo nel conoscere i suoi sentimenti, le sue paure, il suo senso della giustizia e l’immensa devozione per il suo popolo e per una terra che non ha mai visto.
Ovviamente il mio racconto non ha la pretesa di essere un testo giornalistico o di raccontare pedissequamente la storia di questa donna, anche perché ho integrato il tutto con altri racconti e ispirazioni tratte da libri, articoli e saggi; è piuttosto l’intento, di una ragazza occidentale, di raccontare la storia, verosimile, di una ragazza africana, musulmana e soprattutto saharawi, che ha avuto il coraggio di scegliere di realizzare i propri sogni.
Che cos’è un sogno per te? Quale odore particolare ha il tuo sogno?
Considerato che sono una sognatrice nata, la risposta a questa domanda in realtà è infinita.
I sogni per me sono desideri fortissimi e spesso anche surreali. Ciò che secondo me è davvero importante non è solo non smettere mai di cercare la forza per tentare di realizzarli, ma soprattutto avere sempre speranza e leggerezza d’animo per immaginarne altri quando quelli irrealizzabili si infrangono!
I miei odorano di brezze leggere di venti primaverili che annegano la pelle in un mano soave, essenze africane di terra risvegliata da tramonti rossi, ricordi orientali di spezie che popolano mercati di strada, racconti di melodie ancestrali cantilenate dal mare, odore di legna, umido e notti in un bivacco sotto le stelle, balli ora esotici, ora tribali e abbracci infantili sprigionati da una luce di gioia negli occhi di un bimbo. Sognare mi dà la forza di credere in me stessa e nella possibilità di costruire un futuro nel quale mi possa sentire realizzata.
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Leggi e scrivi da quando hai imparato a farlo. Ricordi qual è stato il primo libro che hai letto e la prima cosa che hai scritto, in assoluto?
Ho imparato a leggere mentre mia madre mi leggeva Pinocchio e Cipì di Rodari ma, tralasciando questo, il primo “vero libro” che ho letto completamente da sola e che mi ha segnato indiscutibilmente è stata la saga di Narnia; avevo otto anni e lo nascondevo alla maestra a scuola sotto il libro di matematica. Da lì è nata tutta una passione per i fantasy che poi è andata scemando; infatti, dopo le poesie infantili, il primo racconto che ho scritto e che, con grande sostegno e risate dei miei genitori, ero convinta di pubblicare, era un racconto che narra la storia di alcuni amici, i quali, varcando il confine di una piccola cascata di montagna, scoprono un mondo fantastico chiamato Aliseus.
Ci sono libri, secondo la tua esperienza, in qualche modo necessari nella formazione di un adolescente? E, comunque, quali sono stati i tuoi e perché?
In realtà, io stessa sono ancora un’adolescente che si sta formando, quindi non penso di essere veramente capace di rispondere a questa domanda. Oltre ai classici, attualmente leggo molte storie vere o verosimili che spesso parlano di guerra o di problemi e sofferenze contemporanee. In passato hanno raggiunto la classifica dei miei “best” libri come Il gran sole di Hiroshima di Karl Bruckner e Mi ricordo Hanna Frank di Alison Leslie Gold, ma anche Buongiorno, buonasera, ti voglio bene di Alberto Rivaroli e J.J. contro il vento di Sgardoli.
Sono state letture indimenticabili I ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane F. e L’aggancio di Nadine Gordimer, oltre a La danzatrice bambina di Anthony Flacco, La notte di Wiesel e recentemente Tre tazze di tè di D. O. Relin e Greg Mortenson.
Ho consigliato a molti miei amici Mille splendidi soli di Khaled Hosseini e Venuto al mondo di Margaret Mazzantini perché, come dico spesso, sono libri che mi hanno “fatto rinascere”, rinascere in una storia che non è la mia, ma che ho vissuto scorrendone le pagine e questo, credo, sia il grande fascino della lettura: quello di poter vivere, in una, tante vite, di fare tue altre storie, che diventeranno inesorabilmente parte del tuo essere.
Sicuramente la cosa è molto soggettiva, libri interessanti, “di formazione”, ve ne sono tantissimi d è difficile fare una lista dettagliata.
Sia che tu li segua oppure no, la tua giovane età mi suggerisce che conosci bene l’universo dei talent; in altre parole fanno parte della “cultura” della tua generazione (e non solo). E forse il vero caso editoriale dell’anno è stato Masterpiece; mi piacerebbe chiederti cosa ne pensi, se credi che un talent sulla scrittura possa essere una vetrina o pista di lancio o quel che è per gli aspiranti scrittori, magari sostituendosi, nella funzione, proprio ai tradizionali concorsi e premi letterari come il Campiello?
In realtà, nonostante ne sia molto incuriosita, non ho seguito Masterpiece e comunque penso che un programma del genere, per quanto più “intelligente” di tanti programmi contemporanei della televisione italiana, non possa essere un possibile sostituto di premi come il Campiello.
Dico questo perché, se è vero che la televisione ha il grande pregio di essere il principale motore di comunicazione dei nostri tempi, porta anche, spesso, alla formazione di una cultura dell’immagine che non so quanto sia necessaria e proficua per chi scrive. Esistono scrittori, pietre miliari della letteratura, famosi per il loro essere solitari. Ciò che deve rimanere davvero impresso a un lettore, secondo me, non è tanto lo scrittore con tutte le sue doti di eccellente scrittura creativa e i tratti della sua personalità, ma soprattutto ciò che ha scritto e che ha voluto trasmettere. Non può essere importante solamente la tecnica narrativa espressa dall’autore, ma, al contrario, il vero fulcro di un romanzo deve essere la storia e il suo messaggio. Un libro scritto divinamente, ma che non dice niente, rimane un libro vuoto.
Continuo a sostenere che, anche in un mondo tecnologico come il nostro, dove leggere un e-book è indubbiamente più veloce e economico, il fascino di sfogliare un libro su carta e di lasciarsi andare alla riflessione annusando l’odore delle pagine sia insuperabile. Temo che aver affidato il ruolo di stimolare riflessioni a un programma televisivo dove, in quanto tale, i romanzi si raccontano e non si leggono e gli scrittori, più che aver creato personaggi, sono loro stessi personaggi, possa essere stata un possibile punto di debolezza.
Nonostante ciò non posso non attribuire all’idea della Rai il grande merito di aver tentato di diffondere una cultura della lettura e aver dato importanza a chi scrive, cosa non sottovalutabile considerato quante poche persone leggono ancora oggi in Italia e l’oceanica cultura che questo Paese possiede ancora da mostrare e raccontare. In tutti i casi per me questo programma è stato una novità e una sperimentazione importante e interessante, mi spiace solo che il programma sia andato in onda un po’ troppo tardi la notte, per chi come me la mattina deve alzarsi presto per non perdere l’autobus per la scuola.
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