Speciale Campiello Giovani – Intervista a Daniele Comunale
Diciannove. Ovvero quasi in pari con la media dell’età anagrafica richiesta per partecipare (15-22 anni). Stiamo parlando del Campiello Giovani, giunto quest’anno alla sua XIX Edizione. Un Premio giovane per i giovani e tuttavia sufficientemente maturo da accogliere tra i finalisti 2014 un’opera complessa e intrigante come Antropofania del romano Daniele Comunale, insieme ai racconti di Chiara Di Sante, Carmelita Noemi Zappalà, Mariachiara Boldrini e Deborah Osto.
Sullo sfondo di una Roma inquietante, allo stesso tempo splendida e decadente, si muove l’eccentrica figura di Pilar, una vecchia chiacchierona e provocatoria, che tenta di adescare uomini nonostante sia sposata e madre di un figlio disabile che ha lasciato legato al letto per non farlo cadere. Nel suo vagabondare per la città, incrociando ambiguità vacillanti specchio di un universo in disfacimento, Pilar incontra anche il marito omosessuale mentre si confessa a un giovane. Più tardi li ritroverà a casa, insieme, mentre il figlio si è impiccato nell’altra stanza.
Antropofania come massima rivelazione, palingenesi dell’autenticità dell’uomo, nei suoi risvolti più tormentati e precari, aleatori e realisti, che richiede, tuttavia, uno sforzo di partecipazione e compenetrazione tra gli uomini, segnati da un medesimo, irriducibile, destino di angoscia e di castigo ma che trovano una qualche forma di riscatto nella sublimazione di un gesto o di uno sguardo, una bellezza forse nascosta agli occhi ma limpida e visibile alla sensibilità di chi intende il genere umano come fosse un coro di angeli caduti in disgrazia.
Un racconto turgido, una scrittura consapevole, capace di entrare nel vivo della realtà come un coltello, ferendone la materia e facendo sgorgare quella pietas che, sebbene celata, ancora sopravvive in ognuno di noi.
Ecco cosa ci dice in proposito (e non solo) il giovane autore.
Parliamo del tuo racconto Antropofania, che tu descrivi come «un’ode alla realtà nelle sue sfumature più documentaristiche, nelle cui pieghe però si nasconde la poesia». La giuria l’ha definito “conturbante”. Cosa dovrebbe aspettarsi un lettore da un racconto realistico e conturbante?
Leggere un racconto realistico e conturbante dovrebbe essere – nei suoi risultati più indovinati – come mettersi davanti a uno specchio o passeggiare nelle strade della propria città: guardare se stessi, guardare gli altri, essere guardati, per rendersi contro che fra le tre azioni la differenza è minima e che fondamentalmente si sta guardando sempre la stessa cosa. Pilar, la protagonista, si specchia, si guarda attorno, viene guardata.
«Una realtà documentaristica nelle cui pieghe si nasconde la poesia». Quando ho letto questa espressione mi è subito venuto in mente quello che diceva Cesare Zavattini a proposito del cinema neorealista: «Per spettacolo naturalmente bisogna decidersi a intendere non l’eccezionale, ma il normale; cioè lo stupore deve derivare nell’uomo dalla conoscenza e dalla scoperta dell’importanza di tutto ciò che ha sotto gli occhi ogni giorno, e di cui non si era mai accorto». Sostituendo letteratura a cinema e narrazione a spettacolo, mi pare che col tuo racconto si resti sulla stessa frequenza d’onda. Sei d’accordo?
Assolutamente sì, non a caso il cinema neorealista è una delle mie più grandi fonti d’ispirazione. Non sento il bisogno di creare mondi tanto lontani dal mio. Voglio e devo tenere i piedi ben piantanti nel fango della realtà, immaginando le sue possibili declinazioni e varianti. Vivo la mia vita come testimonianza di un qualcosa di complessivo che sento il dovere di fissare attraverso le parole.
La domanda precedente era, chiaramente, tendenziosa, perché ho letto nella tua biografia che ti sei aggiudicato il terzo posto alla Prima Edizione del concorso per cortometraggi “Mamma Roma e i suoi quartieri” nell’ambito della manifestazione “L’isola del cinema”con il corto Antiqua Mater (che ho visto e per il quale ti faccio sinceramente i miei più sentiti complimenti; molto suggestivo, soprattutto nel rapporto che si crea tra montaggio, fotografia e colonna sonora). Questo per sottolineare come, mi pare, tu abbia un rapporto col cinema altrettanto fecondo di quello con la letteratura. Ma vorrei che fossi tu stesso a parlarcene…
Foscolo nel proemio delle Grazie chiede alle dee «l’arcana armoniosa melodia pittrice», ovvero la parola che sappia con la sua melodia creare immagini, ed il cinema – per la sua stessa natura audiovisiva – rende più semplice rispetto alla parola la corrispondenza tra idea e risultato. Antiqua Mater è nato per questo motivo e non so se sia un esercizio, un valido accenno o una cosa da dimenticare. Solo il tempo me lo saprà dire.
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Al di là di ogni distinzione o etichetta (lettori forti, deboli, etc.,…), un lettore è un lettore e il suo potenziale sta proprio nella varietà. Tu che tipo di lettore sei? E quali caratteristiche dovrebbe avere il tuo lettore ideale, intendo proprio il tuo, quello che immagini leggerà le tue opere, presenti e soprattutto future…
Sono un lettore capriccioso che scrive sui propri libri, che piega le copertine. I libri che leggo, devono ricordarmi particolari momenti della mia vita, quindi li scelgo in base alla capacità o meno di penetrarmi in determinati periodi della mia vita. Il mio lettore ideale è colui o colei che porta un mio eventuale libro in borsa, anche se sa che non avrà occasione di leggerlo in quella giornata. È colui o colei che si appunta una parola nelle ultime pagine, per poi andarsela a cercare sul dizionario o su Wikipedia. Vorrei che fosse un lettore che vuole essere stimolato.
Il futuro, appunto. Il futuro di Daniele in quanto giovane uomo e del Daniele promessa della narrativa italiana (il Campiello è un buon auspicio oltre che una gran bella premessa). E dunque che si riserva Daniele per il futuro?
Per il futuro mi riservo di non essere mai troppo simile a me stesso, di mantenere l’ottimismo un po’ ammaccato che mi contraddistingue, di continuare a creare al di là della forma espressiva che sentirò più adatta a me. Per il mio racconto si è parlato di decadenza, di disfacimento, di inquietudine: è la verità, ma non mi rinchiudo in un atteggiamento fatalistico e vittimistico. Il fatto che la realtà contemporanea non sia delle più floride per i giovani, potrebbe tornarmi utile in futuro.
È impossibile non notare che sei l’unico autore maschio in una finale… molto rosa (inteso come colore e non come genere, precisazione superflua ma tant’è…). Vediamo allora se puoi aiutarmi a sfatare un mito: si dice che le donne leggano indifferentemente sia scrittori che scrittrici, ma che non sia vero il contrario, in altre parole che gli uomini non leggono volentieri le opere del gentil (si fa per dire) sesso. Puoi citarmi i nomi di almeno tre autori che consideri fondamentali per la tua ispirazione? E anche se non sono donne, tranquillo, non mi offendo…
Penso che nell’arte la distinzione di genere sia limitante: preferisco utilizzare il termine indole piuttosto che genere. Queste due indoli sono convenzionalmente definite – e penso che questo sia l’elemento fuorviante della questione – maschile e femminile. Potremmo chiamarle attiva e contemplativa, o esteriorizzante ed interiorizzante, poiché non strettamente legate al sesso dell’artista. Gli autori che più mi stimolano a creare sono proprio quegli autori in cui vi è una mescolanza di questi due principi. Sono autori che faccio miei, per poi lasciarli indietro. Cambiano al mio cambiare nel tempo. Per Antropofania fondamentali sono stati Pasolini – non solo come scrittore –, Pirandello e Lucrezio. In questo caso sono tutti uomini…
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