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Speciale Campiello Giovani – Intervista a Chiara Di Sante

Campiello Giovani 2014Laureanda in Comunicazione media e pubblicità, Chiara Di Sante è originaria di Bergamo ma vive a Milano. Con il suo racconto Zucchero è stata selezionata tra i cinque finalisti del Premio Campiello Giovani 2014, insieme a Mariachiara Boldrini, Carmelita Noemi Zappalà, Daniele Comunale e Deborah Osto.

La Di Sante è una ragazza attiva, dinamica, forse anche un po’ frenetica, specchio della metropoli che l’ha accolta. La sua scrittura rispecchia in pieno le sfaccettature del suo carattere. Il ritmo della narrazione è incalzante, la storia vorticosa, il finale sorprendente. Frasi minime, immagini forti, pensieri sfiorati e rimandi notevoli donano particolarità al testo. «Lavarsi le mani. Chiudere la porta di casa. Lavarsi le mani. Mettere l’acqua a bollire. Mettere la tazza rossa sul tavolo. Versare l’acqua della teiera. Controllare che la porta di casa sia chiusa. Lavarsi le mani. Prendere la zuccheriera. Versare il tè nella tazza. Mettere tre cucchiaini di zucchero nel tè. Controllare che la porta di casa sia chiusa. Bere il tè».

Ambientato nell’arco di una sola giornata, Zucchero narra le storie di quattro personaggi, delle loro solitudini che si intrecciano senza mai incontrarsi: uno psicanalista diabetico; sua moglie che ha perso un figlio e si consola preparando marmellate per un carcerato che la guarda dalle sbarre della sua cella; un giovane paziente che mangia ossessivamente bustine di zucchero, alla ricerca disperata della dolcezza negatagli nell’infanzia. Abbiamo rivolto alcune domande all’autrice per meglio comprendere la sua scrittura e i meccanismi che l’hanno generata.

 

A prima vista lo stile della narrazione potrebbe sembrare il riflesso dell’epoca in cui viviamo, fatta di mail, sms e chat, mentre in realtà dietro ogni parola, dietro ogni frase si cela un grande mistero che tu vuoi raccontare anche attraverso le immagini che esse rimandano. Oltre alla scrittura è il cinema la tua grande passione?

Siamo nell'epoca dell'immediatezza, delle comunicazioni brevi e mirate, questo credo che, in parte e forse involontariamente, abbia influenzato in generale il modo di scrivere. Mi piace lo stile minimalista, mostrare emozioni e sentimenti attraverso dettagli, oggetti; spesso l'introspezione è ridotta al minimo. Il cinema è una grande passione che mi accompagna sin dall'infanzia e che negli anni ho avuto modo di coltivare e approfondire grazie anche ai miei studi. Credo che la passione per il cinema si rifletta nei miei racconti, in cui cerco di coniugare visualità e scrittura.Zucchero, in particolar modo, é strutturato per stacchi, montaggi alternati e paralleli. Sotto lo sguardo di un narratore onnisciente che, come l'occhio di un regista, si sposta da un luogo all'altro, si articolano le vicende dei quattro personaggi. Ogni parola è fondamentale, insostituibile, come i fotogrammi di un'immagine.

 

Zucchero non è il primo racconto che scrivi e non è neanche il primo a ricevere attenzione da parte di una giuria, però il Premio Campiello Giovani riserva quasi sempre dei risvolti importanti, come le immagini nascoste tra le righe della tua storia. Quali sensazioni provi in questo momento?

Scrivo da tutta la vita ma, quasi come una fase di passaggio obbligata, ho scritto in principio solo per me. Maturando, ho sentito la necessità di confrontarmi con gli altri per affinare la mia tecnica e condividere ciò che sentivo e scrivevo. È il primo anno che partecipo al Premio Campiello, l'ho sempre visto come un traguardo inarrivabile e, forse, avevo paura di rimanere delusa. Questo era l'ultimo anno in cui avevo la possibilità di inviare un racconto e sentivo di essere maturata molto. Essere stata selezionata per la cinquina finalista è stata una delle emozioni più belle della mia vita, molto banalmente, un sogno che si avvera. La bellissima notizia é giunta durante un periodo terribile in cui ho perso mia nonna: la mia lettrice numero uno. Questo traguardo lo dedico a lei, che ci ha creduto fino in fondo, sin dal principio.

 

Scrivi per immagini e sei appassionata di cinema. Cosa vedi in questo mondo quando ti guardi intorno?

Quando mi guardo intorno vedo involontariamente "materiale" per i miei racconti. Sono attratta dalle persone, soprattutto da quelle più strane: ognuno sembra avere qualcosa da raccontare, da raccontarmi. Sono convinta che prima di scrivere ci sia bisogno di vivere, di nutrirsi delle esperienze e delle emozioni che i luoghi e le persone possono regalarci. Poi, però, bisogna ritirarsi, tornare a casa, allontanarsi da quella realtà che ci ha nutrito, e scrivere.

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Chiara Di SanteIn Zucchero hai scelto di affrontare argomenti delicati come possono esserlo le patologie ossessivo-compulsive che emergono, ancora una volta, attraverso le immagini di una persona che ripete infinite volte il gesto liberatorio di “lavarsi la mani”. È uno dei sintomi più comuni della misofobia che è anche uno dei mali simbolo della nostra epoca. Cosa ti ha spinto a voler parlare di questo aspetto del mondo moderno?

Il giovane paziente ossessivo-compulsivo é solo uno degli sventurati personaggi di cui parlo, ma forse è quello che maggiormente rappresenta la condizione di disagio attuale, di incomunicabilità, che pure accomuna tutti i protagonisti. Il ragazzo é l'unico descritto usando un tipo di focalizzazione interna. È paradossale che l'unico personaggio che parla con la propria voce, lasciando fluire i propri pensieri senza mediazione, è infine colui che soccombe proprio per una mancanza di comunicazione. I disturbi ossessivo-compulsivi sono la manifestazione visibile del suo disagio interno. Sono sempre stata affascinata dalla psicologia e, forse perversamente, anche dalla malattia mentale. Ho voluto assumere il punto di vista di una persona disturbata per provare a immaginare come vivono queste persone che si nascondono tra la folla, lanciano soffocate grida di aiuto e spesso nemmeno ce ne accorgiamo.

 

La solitudine è un altro aspetto della società contemporanea. Un tormento che assale ogni giorno sempre più persone, soprattutto nelle grandi città dove, schiacciati e circondati da innumerevoli volti sconosciuti, gli esseri umani si sentono sempre più soli. La narrazione di ciò in Zucchero è una constatazione, una denuncia o un tentativo di dare una svolta?

Lontano da ogni superba pretesa di cambiamento, la mia è una constatazione di come la società odierna, o network society che sia, precipiti sempre più verso forme di neo-solitudine collettiva e di come le grida d'aiuto vengano spesso soffocate dagli individualismi.

Sicuramente le metropoli provocano un sovraccarico cognitivo e sensoriale, così come la Rete. Entrambi gli ambienti sono caratterizzati dalla solitudine. Anche i personaggi del mio racconto sono connessi, collegati tra loro ma, in ultima analisi, soli, come in un social network.

 

Cosa ti aspetti e quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Non so se vincerò il Premio Campiello, ma essere stata capita e apprezzata è stata già la soddisfazione più grande. L' unica certezza che ho è che non smetterò di scrivere, è un'urgenza imprescindibile. Nel futuro mi piacerebbe riuscire a coniugare le mie passioni, cinema e letteratura, in una professione: sceneggiatrice o critica cinematografica, anche se non mi dispiacerebbe intraprendere la carriera accademica. Sono consapevole che i miei sono obiettivi molto ambiziosi, ma quando voglio so essere molto determinata.

Intanto, sto pensando di scrivere la sceneggiatura di Zucchero per farne una trasposizione in un corto cinematografico; ad oggi è solo un'idea allo stato embrionale ma chissà che non diventi realtà.

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