Solitudine parallela. "Da soli" di Cristina Comencini
L’ultimo romanzo di Cristiana Comencini indica ciò che è drammaticamente chiaro a tutti: all’improvviso si rimane Da soli, quello che poi è anche il titolo edito per Einaudi.
Già regista, sceneggiatrice - candidata all’Oscar per il miglior film straniero con il suo La bestia nel cuore nel 2016 -, è un’autrice insolita, che resta in bilico tra testo cinematografico e prosa narrativa, offrendo una narrazione scarna, ma al contempo intensa e corposa.
Da soli, edito nel 2018, sembra proprio rispettare uno degli stilemi della cosiddetta settima arte, ovvero è costruito seguendo un ipotetico montaggio parallelo: da un lato la storia di Andrea e Marta, dall’altra quella di Laura e Piero. Che si intrecciano in una riflessione poliedrica su quello che nel 2011 permise a Julian Barnes di aggiudicarsi il Man Booker Prize: qual è Il senso di una fine? Ma anche ciò che ha dettato l’introspezione di un testo molto amato soprattutto in Italia come Le nostre anime di notte di Haruf per NN editore.
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Però, se l’impalcatura della narrazione segue le fila dello sceneggiato, i personaggi sono teatrali. Perché, come la scrittura della Comencini, fanno del corpo la loro prima prerogativa. Non mostrano, ma fanno, in un quartetto umanamente autentico. Così come afferma l’autrice in un’intervista: «all’inizio parto sempre dai personaggi, anche per i romanzi. La cosa per me più stimolante è quella di farli vivere, anche coi loro silenzi, con le loro contraddizioni e con il loro fisico. Poi, ovviamente, ci sono i temi dei libri, le atmosfere. Tuttavia, il filo conduttore che tiene insieme tutti i miei lavori è l’amore per la costruzione dei personaggi».
La tematica cardine del romanzo è chiaramente quella della solitudine, che muove la sua intenzione già dal titolo. “Da soli”, più che una condizione di abbandono, indica un’azione, che ritorna sempre all’autenticità dell’azione del corpo teatrale; invero, la Comencini descrive come iniziare a comprendere la solitudine, e come scegliere di viverla. In questo modo il senso di «restare soli è l’unica garanzia di verità» (Da soli, pag. 54) si fonde con la ricerca di un’altra vita in cui rimettere in discussione le proprie scelte: «L’essenziale è non avere una vita sola, non chiudere gli occhi con l’idea di una linea continua» (Ibidem, pag. 85).
Da soli è un racconto di gesti e piccolezze, che evidenzia anche le differenze più sottili tra dettagli e particolari, assegnandovi una prerogativa connotativa, soprattutto per le donne, la cui natura si scopre indissolubilmente bipartita, legata sia a quella della scrittura/cultura femminile stessa che a quella maschile, come se la donna non potesse autodefinirsi senza coinvolgere anche la figura maschile al suo fianco, che sia quella dei figli o del marito. In questo senso Comencini va a sottolineare dettagli che diventano esistenziali quanto essenziali come «Il modo in cui le donne scelgono e annodano i tessuti intorno alla testa rivela il loro carattere ancor più di un vestito». Perché il breve romanzo è completamente svestito dalla paura di mostrarsi fragile, tutt’altro: ne fa un vanto, racchiudendo, come detto, significati maestosi nella potenza del piccolo: «Lo sguardo determina tutto, l’amore, ma anche la paura e la fuga» (Ibidem, pag. 120). C’è, alla fine, in modo giusto o sbagliato per affrontare tutto questo? «Per Marta non c’è giusto o sbagliato» dice la Comencini «Laura lo desidererebbe, ma è come se la vita, allungandosi, renda più difficile pensare che sia una sola».
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In un testo dalle forme poliedriche si rivengono ispirazioni da ogni dove. Dalle citazioni in apertura di Vasco Rossi e Carlo Rovelli, a quelle più avanti di Karl Ove Knausgård. Che testimoniano la volontà dell’autrice di scrivere a modo suo, senza rientrare nei contorni di qualche stilema preconfezionato, benché, comunque, nelle pieghe delle pagine si scorgano anche importanti frammenti di una grande scrittrice italiana come Natalia Ginzburg, la quale è da sempre legata alla Comencini: «Sì, l’ho sempre amata come scrittrice e poi è stata la prima che mi ha fatto pubblicare. Inoltre, è stata un’antesignana nell’analizzare il decadimento della famiglia, la frammentazione della vita di coppia». Una scelta di vita che, come sottolinea la scrittrice, molto spesso è utilizzata come scusa per conoscere la solitudine, dimenticando come quest’ultima debba essere funzionale anche alla creazione del rapporto di coppia e famigliare.
Siamo tutti ontologicamente soli, ma condividiamo il desiderio, seppur nascosto, di condividerlo. Perché, come dice Natalia Ginzburg, «in ogni casa manca sempre una camera» (Ibidem, pag. 18).
Per la prima foto, copyright: Anthony Transu Unsplash.
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