Sognare è eretico. “L’interpretatore dei sogni” di Stefano Massini
Sigmund Freud, nella prefazione alla seconda edizione de L’interpretazione dei sogni, rivela un episodio fondamentale per la comprensione della genesi della sua opera: la morte del padre, l’«evento più significativo», la «perdita più lacerante nella vita di un uomo». Il libro nasce come reazione di fronte alla scomparsa del genitore, e lo stesso materiale che ne consente la stesura deriva dai suoi stessi sogni, concepiti come «appagamenti di desideri», secondo la celebre teoria freudiana.
La visione di fondo muove dalla volontà di contrapporsi alla rappresentazione del fenomeno onirico come «residuo mentale», evento della vita psichica, unito alla psicosi, inintelligibile e privo di senso: Freud rovescia tale prospettiva. Sognare è un’operazione intelligibile, così come i sogni sono portatori di significati.
Il successo di quello che è stato definito «il libro del Novecento» deriva, inoltre, dalla cifra stilistica che ne connota la struttura. Iinfatti il testo di Freud coniuga ricerca spirituale e racconto biografico, ma è allo stesso tempo manuale scientifico e insieme di generi letterari che conducono il lettore verso la pratica dell’autonalisi.
Stefano Massini prova a immaginare cosa si cela oltre questo monstruum novecentesco, calandosi nel personaggio dello psicanalista austriaco e delineando un «quaderno-diario» che è a tutti gli effetti (come scritto in seconda di copertina) «un geniale clamoroso falso letterario». L’interpretatore dei sogni (Mondadori, 2017) è il tentativo di rileggere Freud per provare a risognarlo. Così come l’atto onirico si manifesta nella sua arbitrarietà, l’autore arbitrariamente si serve dei suoi sogni (personali e privati),e di quelli contenuti nella celebre opera, attraverso una serie di furti e riappropriazioni, sovrapponendo i diversi piani narrativi per stratificarne i contenuti. Guidato da un ritmo fulmineo, il lettore è calato tempestivamente tra le trame dei pazienti che, in un continuo latrocinio, vengono derubati dei propri «drammi onirici» per divenire oggetto di analisi: perché quando sogniamo «pensiamo di raccontare gli altri e invece parliamo di noi stessi».
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Un esempio è contenuto nel capitolo Sarabanda al parco, dove vengono messi in scena un cane e un gatto che si rincorrono con delle macchie di vernice sul pelo (dietro di loro si staglia un imbianchino nelle sue mansioni), e Freud/Massini chiede ai famigliari (i tre piccoli Freud e la moglie Martha) di ricostruire dalla propria visuale l’episodio, con il seguente risultato: «ognuno di loro conferiva ai fatti una veste narrativa propria». Ognuno si è servito del racconto per esprimere qualcosa di sé:
«Appena si è trattato di raccontare, ecco che immediatamente il vero oggetto del racconto è stato il proprio essere, il proprio sentire, il proprio vibrare. Nella nostra disperata sete di conoscerci, noi in realtà scaviamo di continuo in fondo al pozzo di noi stessi. Siamo il nostro discorso. Siamo la nostra ricerca.»
Come dichiarato dallo stesso Massini, il sogno è uno «spazio di meraviglioso e disperato egocentrismo», come questo episodio dimostra.
L’opera scorre con i racconti onirici tratti dalla moglie, i bambini, la cameriera e i suoi pazienti, per creare una perfetta corrispondenza tra il piano del sogno e quello della vita, erigendo un ponte di inclusione tra le due sfere. Il metodo seguito dallo scrittore è lo stesso di Freud, ovvero quello di scomporre i sogni raccontati e appresi; di irreale invece troviamo alcuni dei racconti presenti nel libro di Massini, e assenti in quello di Freud: ad esempio, come nel caso dell’incipit del libro, il sogno relativo al primo capitolo Un ladro di sogni appartiene a Massini e non a Freud, per quanto sia raccontato da quest’ultimo in prima persona («Ero poco più che un bambino quando fui derubato di me stesso»).
Secondo romanzo per Massini, successivo al poema epico e canovaccio teatrale Qualcosa sui Lehman, L’interpretatore dei sogni dissemina i suoi racconti come casi da risolvere, scomporre e dissezionare per invitare il lettore, condotto tra i sentieri della mente, alla loro risoluzione in un susseguirsi di esperienze e storie differenti («tutto il materiale che compone il contenuto dei sogni, deriva dal “vissuto”»). Nulla è lasciato al caso. Laddove i dettagli sono essenziali per la decifrazione di un sogno, anche gli elementi che appaiono come indifferenti costituiscono una possibile chiave di accesso per la sua comprensione.
Lo schema dei sogni, per Freud, può avere un’applicazione universale e la vita psichica scaturisce da due poli opposti: la realtà e il soddisfacimento del desiderio. È possibile conferire senso al sogno come fenomeno che si manifesta nella vita psichica, ma è necessario, perché avvenga, il contatto con l’Altro.
La macchina del sogno segue un procedimento concreto, ben descritto da Freud/Massini in alcune pagine del romanzo: meccanismo con cui allestisce la sua scena condensando più elementi tra loro, per «decodificare il metodo di assegnazione di un significato ai singoli frammenti del discorso» e «sciogliere la lingua del sogno come fosse un geroglifico, decrittando la sua oscurità».
In Martha e le altre leggiamo di come la moglie dello psicanalista in un suo sogno condensi in sé almeno cinque diverse situazioni collegate dal filo comune dei fiori: dietro il rimorso e la consapevolezza di non essere un buon marito, si cela il desiderio inespresso verso quattro donne differenti. Il caso dell’isterica Tessa W., una «interiorità avvolta nella psicosi», è il pretesto per creare corrispondenze tra lo studio delle nevrosi e i fenomeni della patologia psichiatrica e onirica: l’isteria come il «frutto di un cammino distratto». Il suo caso investe anche il problema dell’identità, «non mi chiamo» afferma la paziente, così come Wilhelm T. è imbrigliato in un «eterno presente» (non esce di casa da diversi anni), perseguitato da un sogno in cui assiste alla visione di un incendio: il passato viene utilizzato per raccontare il presente e comprenderlo.
Gregor N., noto medico chirurgo, sogna un mattatoio che dispiega la sua lista dei decessi, e non dei propri successi (nel sogno infatti Gregor «sostituisce i vivi con i morti»), e per decifrarne il contenuto è condotto dal «medico dei sogni» ad alcuni fatti relativi alla propria attività e al contesto in cui opera: ogni anno, nel salotto dell’ospedale riservato ai medici, vengono appese le liste degli interventi chirurgici svolti e qualcuno una volta ci scrisse sopra «INDEX VICTORIARUM». Ecco, Gregor N. capovolge tale scritta beffarda, e come il Dio dell’Antico Testamento:
«dopo aver sempre salvato e protetto l’uomo, si inferocì al punto che volle solo morte e distruzione per tutti: il diluvio universale.»
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Il paziente raggiunge la consapevolezza del proprio desiderio liberatorio di passare dalla vita al desiderio della morte (dopo aver sempre salvato tutti).
L’incontro con Kristof T., celebre grecista viennese, offre la possibilità di una lettura alternativa della realtà, così come le eresie dei catari o degli ariani fecero con le Sacre Scritture:
«Il sogno in fondo fa la stessa cosa: legge il Vangelo in modo differente da quello che Roma o Bisanzio vorrebbero.»
Il sogno come eresia, e dunque si configura in una lettura critica e creativa della realtà. Come alle origini del pensiero nella concezione di Freud, sognare è un «pensare per immagini», come nel cinema. Il pensiero è «un ponte fra due sponde, l’immagine è semplicemente il fiume». Il suo procedimento avviene per immagini, e non possiamo scegliere di farlo, ma avviene per istinto. Percepito lo stimolo, il sogno costruisce la sua trama complessa, in quanto «costruttore di immagini», in un gioco di soluzioni narrative continue e istantanee, allo stesso modo dell’«intuizione giocosa dei bambini» guidata da rapide folgorazioni («simili al cosiddetto colpo di genio dell’artista o alla vocazione improvvisa del poeta»).
Il sogno coincide con una sorta di «istinto geniale, poetico», presente in ogni essere umano, e procede con «limpida genialità infantile», che tu sia macellaio, garzone, lavandaia, Goethe o Schopenhauer.
Per la prima foto, copyright: Amy Treasure.
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