“Sleeping Beauties”, le belle addormentate secondo Stephen King
Sleeping Beauties (edito da Sperling & Kupfer, nella traduzione di Giovanni Arduino) è il nuovo romanzo di Stephen King, il primo scritto in collaborazione col figlio, Owen King.
La trama, come quelle della maggior parte dei romanzi di colui che già negli anni Ottanta veniva definito il Re dell’horror, è facilmente riassumibile in poche righe: una misteriosa epidemia, subito battezzata Aurora dai mass media, colpisce tutte le donne del mondo nel momento in cui si addormentano, avvolgendole in un bozzolo di crisalide, «una roba bianca quasi identica alle ragnatele finte che vendono nei supermercati a Halloween.» Qual è il luogo in cui finiscono è, almeno all’inizio, un mistero. Le uniche certezze sono due: che non si svegliano più, e che è bene non disturbarle.
Benché l’Aurora in poche ore si diffonda dalle Hawaii e dall’Australia in tutto il mondo, lo sguardo dei due scrittori, e quindi dei lettori, si concentra su una piccola comunità della regione degli Appalachi: la città di Dooling, nel West Virginia, dove sorge un carcere femminile che, col suo campionario di donne infelici, psicopatiche assassine, giovani reiette e vittime di violenze domestiche, è il vero protagonista del libro. Che si presenta come un romanzo corale, nel quale riveste un ruolo centrale la misteriosa Evie Black, una donna bellissima che fa la sua comparsa nella città contemporaneamente all’Aurora. Questa creatura ipnotica e apparentemente fuori di testa, che viene rinchiusa nel carcere di Dooling a seguito dell’efferato duplice omicidio di uno spacciatore incallito e del suo compare, è in grado di leggere nel pensiero, di conoscere ciò che le accade intorno perché riesce a osservare il mondo attraverso gli occhi degli animali, è circondata da centinaia di falene svolazzanti, ha le orme che traboccano di ragnatele che brillano alla luce del mattino, e sembra immune al morbo che avvolge e addormenta le donne in quei misteriosi filamenti di zucchero filato e seta di baco che le sospinge in un mondo dal quale gli uomini sono esclusi.
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Ma per questo nuovo romanzo scritto a quattro mani da Stephen King e dal suo figlio più giovane, quell’Owen al quale è dedicata una poesia contenuta nella raccolta di storie horror Scheletri (era il 1985), sono importanti tanto lo psichiatra del carcere, Clinton Norcross, sua moglie Lila, che è anche lo sceriffo di Dooling, quanto i poliziotti Terry Coombs, le guardie penitenziarie Don Peters, Tig Murphy e Vanessa Lampley, l’agente del servizio protezione animali Frank Geary, «che cattura gatti randagi, sfonda a pugni le pareti, slabbra la maglietta preferita della figlia o urla dietro alla moglie se le cose gli vanno storte», la direttrice del carcere Janice Coates e sua figlia Michaela Morgan, una volpe comune dai poteri sovrannaturali e tutte le detenute del carcere che, come ogni donna sulla faccia della Terra, una volta addormentate si sottraggono a questo mondo di diseguaglianze, avvolte nei loro bozzoli simili a « marshmallow fusi».
Gli uomini imparano presto, a loro spese, che svegliarle è estremamente pericoloso, perché le reazioni delle belle addormentate (non è importante se si tratta di madri, mogli, figlie o innocue nonnine dalla testa bianca come neve) è tutt’altro che gentile.
«La ragazza che avrebbe dovuto essere morta, ma in realtà non lo era, lo agguantò per la mandibola, gli strinse i denti inferiori tra le dita e lo abbassò verso di sé con decisione. Poi alzò il capo, spalancò la bocca e lo azzannò alla gola. Vern la malmenò con il calcio della pistola. Lei non batté ciglio. Sangue arterioso le zampillò intorno alle labbra.»
Nonostante queste descrizioni (delle quali gli autori abusano), Sleeping Beauties non può essere ascritto fra i romanzi dell’orrore: assomiglia più a una favola nera nella quale i diversi generi del fantastico sono mescolati e confusi. L’epidemia ricorda altri lavori di King, nei quali l’elemento soprannaturale sconvolge d’improvviso una piccola comunità della provincia americana: vengono in mente gli scenari desolati e post-apocalittici dell’Ombra dello scorpione, lo sgomento della gente davanti alla scoperta dell’astronave sepolta nei Tommyknockers, il panico degli abitanti di Salem’s Lot davanti all’orda di vampiri delle Notti di Salem e la misteriosa cupola che isola la cittadina di Chester’s Mill in The Dome, romanzo con cui Sleeping Beauties ha in comune la grande quantità di personaggi, intrecci e co-protagonisti.
Un altro libro al quale quest’ultimo romanzo di Stephen King rimanda è I Langolieri, il primo dei romanzi contenuto in Quattro dopo mezzanotte: in quel testo, i pochi superstiti di un volo Los Angeles-Boston finiscono in un mondo in decadimento e andato a male, molto simile – anche se con profonde differenze – a quello in cui le donne di Dooling si ritrovano mentre sono assopite nel mondo reale: una specie di universo parallelo, una versione autunnale della città, identica a quella che hanno appena lasciato, solo un po’ più vecchia, nella quale non esiste nemmeno un uomo (tranne la statua del primo sindaco, crollata e lasciata di sbieco nel fango), che le donne chiamano il Nostro Posto e dove il tempo si muove a una velocità diversa.
Se da un lato la storia delle donne di Dooling e della bella e biblica Evie Black sembra ripetere, con qualche variante, l’eterna lotta fra Bene e Male, dall’altro è un vero e proprio omaggio al gentil sesso, in un momento in cui l’emancipazione femminile sembra aver trovato un ostacolo mortale nella discriminazione e nel femminicidio, un tempo nel quale questo romanzo, oltre a un atto di fantasioso coraggio, s’innesta come una specie di riscatto e di catarsi: quel piccolo rettangolo di luce con cui ha inizio il libro e del quale una delle detenute, Ree Dempster, dirà alla sua compagna di cella che non può non interessarle.
Perché in questi anni bui, dove molte donne sono metaforicamente rinchiuse in un carcere, sarebbe una vera favola (non nera stavolta, ma piena di speranza) se tutte potessero aggrapparsi a un insignificante rettangolo di luce attraverso le sbarre, e da lì risalire e sparire verso un altro mondo, il Nostro Posto, nel quale scorre un tempo diverso e più lieve, dove gli uomini non esistono se non come remoti ed edulcorati rimpianti.
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D’altra parte, questa prima bella collaborazione fra Stephen King e il suo terzogenito Owen (anche il suo secondogenito è uno scrittore, quel Joe Hill citato a meno di metà romanzo, quando una delle detenute più anziane passa fra i corridoi del carcere col carrello dei libri), inizia con una epigrafe di Sandy Posey che non lascia dubbi:
«Non importa se sei ricca o povera/intelligente o stupida./Il posto di una donna nel nostro vecchio mondo/è in pugno a un uomo./E se sei nata donna/sei nata per essere ferita./Sei nata per essere calpestata/imbrogliata/tradita/e trattata da schifo.»
Perciò, diamo ascolto all’insegnamento che Stephen e Owen King sembrano volerci consegnare con Sleeping Beauties: è bene non svegliare le belle addormentate. E non perché potrebbero azzannarci il collo come vampiri, ma perché forse – e almeno per un po’ – sarebbe bello e giusto lasciarle in pace.
Per la prima foto, copyright: Sarah Diniz Outeiro.
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