Senza via d’uscita. “Sulla chaise-longue” di Marghanita Laski
Essere paralizzati dentro una situazione senza alcuna via d’uscita è la percezione generale che si ha leggendo Sulla chaise-longue di Marghanita Laski (8tto edizioni, traduzione di Cristina Cigognini, prefazione di Giulia Blasi).
Pubblicato per la prima volta nel 1953, è considerato un classico della narrativa gotica, «e come tutti i classici trascende il genere», scrive Blasi nella sua prefazione.
Sebbene contenga alcuni schemi del gotico classico, come suscitare forti emozioni, quali paura e angoscia, e caratterizzare perfidi personaggi maschili che arrecano danni a indifese e virtuose ragazze, il romanzo di Laski si spinge molto oltre.
Per primo, le ambientazioni. Non ci sono castelli o lugubri dimore: il volume si snoda intorno a un’unica lunga scena, ambientata sempre nella stessa stanza.
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Al centro di essa, protagonista al pari dei personaggi in carne e ossa, c’è la chaise-longue vittoriana, che dà titolo al romanzo, acquistata dalla protagonista Melanie, quasi per caso, da un rigattiere.
Il personaggio principale, di cui il lettore avrà modo di conoscere tutti i più intimi e angoscianti pensieri, è appunto una giovane donna, Melanie, in via di guarigione dalla tubercolosi; circondata dall’affetto insistente del marito, Guy, dalle attenzioni del medico curante e dalla cure ostinate dell’infermiera Sister, Sorella, finalmente può lasciare la camera dove ha trascorso otto mesi reclusa a causa della malattia per trasferirsi nella più ariosa stanza adiacente, dove si trova la chaise-longue.
«Mi dà la sua parola d’onore» disse Melanie, «che non morirò?»
Il dottore replicò: «È una cosa sciocca da chiedermi. Naturalmente morirai, e pure io, e anche Guy, e alla fine persino Richard morirà. Quello che mi stai chiedendo davvero è se morirai presto di tubercolosi, e la risposta è no, anche se non ti do alcuna parola d’onore a riguardo».
Melanie si tirò su dal nido di cuscini che la circondava. «Perché no?» chiese. «Perché non me la dà, se è proprio sicuro?»
«Stai giù» le intimò severo il dottore. Attese finché lei ubbidiente non si adagiò.
Anche se l’autrice non lo esplicita, si ha la sensazione che questi personaggi siano più dei guardiani che dei famigliari e che Melly sia l’indifesa ragazza tipica del genere gotico.
Quello che traspare andando avanti con la lettura è che la Laski sia voluta uscire da questo modello per arrivare a descrivere la condizione femminile del tempo, risultando, di fatto, ancora molto attuale. Melanie diventa così l’archetipo di una figura in balia di un mondo in cui le regole le fanno gli uomini e lei, come tutte, può solo adeguarsi, usando gentilezza e buone maniere, a discapito della sua intelligenza.
Più avanti nel romanzo si scoprirà invece una Melanie tutt’altro che debole, che farà acuti ragionamenti con l’obiettivo di salvarsi la vita.
«E mentre stava sdraiata lì in una febbre di disgusto per tutto ciò̀ che era, tutto ciò̀ che sembrava fosse, questo corpo, questo schifoso corpo irreale iniziò ad avere delle esigenze. Non posso, gridò senza voce, non posso. Non può̀ sentire, desiderare e avere gli stessi bisogni del mio corpo, sarebbe disgustoso oltre ogni cosa che questi organi da tempo erosi avessero bisogno di ciò̀ di cui hanno bisogno i corpi reali. Se gli permetto di avere dei bisogni, diventa mio. Espello qualcosa di putrido e orribile, lo espello da un disgustoso corpo marcio e morto, morto.»
Un romanzo breve e angosciante, da leggere tutto d’un fiato, proprio perché non è possibile usare altro modo: se la partenza è morbida, quasi rassicurante, con molta velocità ci si trova in una morsa di eventi da cui è impossibile fuggire.
Nel momento in cui Melanie si addormenta sulla chaise-longue, infatti, si risveglia nel corpo di un'altra donna, Milly Baines, vissuta in un’epoca diversa. Si ritroverà nella vita di Milly, vedrà con i suoi occhi, penserà con il suo cervello, parlerà con la sua voce, ma dentro si renderà perfettamente conto di essere ancora Melanie.
La protagonista sarà intrappolata in un corpo che non le appartiene e sarà consapevole del fatto che ciò che sta vivendo non è un incubo ma una terribile realtà.
La particolarità di questo romanzo è che le due protagoniste sembrano essere connesse l’una all’altra: la similitudine dei due nomi, Melly e Milly, le analogie dei personaggi intorno al capezzale, come ad esempio l’infermiera Sister (Sorella) e Adelaide, sorella di Milly.
Inoltre, quando è introdotto il concetto di tempo, sebbene l’autrice non lo dichiari apertamente, si ha la sensazione che Melanie stia rivivendo una sua possibile vita precedente, ed è una delle tante opzioni alle quali il lettore viene messo davanti.
«Può̀ accadere spesso, sempre, cosicché́ non c’è continuità̀ di tempo, ma quella continuità̀ è l’unico modo in cui siamo in grado di immaginarlo. Il tempo può non seguire una linea retta, ma va in tutte le direzioni e in nessuna direzione, e Dio può aver cambiato l’universo così che è il mio corpo a stare sdraiato qui e non è un sogno, oppure non è il mio corpo e si tratta di un sogno da cui verrò liberata.»
Il libro corre velocissimo verso il finale che, sebbene rimanga aperto, non delude le aspettative.
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Un terrore che probabilmente si è provato almeno una volta nella vita, magari in un incubo, quello di essere intrappolati in una situazione da dove è impossibile evadere, e nel romanzo di Laski si leggono tutti i particolari di quest’angoscia, che riportano a una delle domande esistenziali per antonomasia: alla fine, è possibile trovare una via d’uscita alla morte?
Per la prima foto, la fonte è qui.
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