Sentirsi sempre soli anche con qualcuno
Puntata n. 131 della rubrica La bellezza nascosta
«Quando mi ha raggiunto nella casa al mare era maggio. Il sole brillava in mezzo al cielo, poi, senza preavviso, si è lasciato attraversare da una nuvola. In giardino c’erano pozze di terra bruna, fra una striscia e l’altra di erba. Lungo il viale marcivano piccole cataste di foglie. La villa era ancora umida, ho acceso il riscaldamento. Faceva freddo, ma non mi dispiaceva l’idea di dovermi stringere a lui, far combaciare le nostre guance, torace contro seno, per assorbire il calore della sua pelle. Lui arrivava poco prima di sera, in tempo per assistere a un tramonto ancora pallido. Dormiva addossato a me senza mai sfuggire a quell’abbraccio. Non più tardi delle sette, si rimetteva in viaggio per Roma.»
La solitudine è un oggetto, qualcosa che prende spazio, qualcosa che chiede spazio. Ce ne sono diversi gradi, di solitudine, diversi livelli che hanno in comune tutti la stessa cosa: un grande vuoto dentro lo stomaco, un senso di estraneità che ti colpisce quando non te lo aspetti, che ti parla come si parla a un bambino, che ti sussurra appena vicino all’orecchio parole che ti fanno sentire freddo. Sentirsi soli è anche un viatico, è anche una strada che si dipana improvvisa e ti riporta indietro, ti fa sbocciare nella testa un ricordo, seguito da un altro ricordo e la memoria diventa talmente tanta da mozzarti il fiato.
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Annalisa De Simone è nata L’Aquila nel 1983, Sempre soli con qualcuno è stato pubblicato da Marsilio.
Una scrittrice di origini abruzzesi vive nella capitale. Ha un uomo che ama e con il quale è riuscita a costruirsi una vita fatti di agi e comodità. Un uomo di sinistra, con tutti i dogmi del caso. La protagonista ha un desiderio grande che quasi fa fatica a confessarsi, quello di avere un figlio. Vorrebbe averlo dal suo uomo, ma lui è sfuggente e ogni volta che lei prova ad affrontare l’argomento, l’uomo prova a soprassedere. Poi lei incontra un deputato di destra e inizia, tra i due, una storia che la metterà a confronto con la propria vita e con la propria solitudine interiore, e soprattutto con una vita diversa, nuova.
«Arrivati in albergo, attendo che finisca di parlare al telefono con sua figlia. Rileggo un appunto che ho sottolineato prima di mettermi in viaggio: non so se l’amore sia un sentimento, a volte credo che amare sia vedere, vederti. Se adesso lo guardo, cosa vedo? Mani abbronzate che afferrano la giacca e lasciano scivolare il cellulare nella tasca. Dita corte, tozze, nodose. Queste labbra sottili che sorridono. Occhi limpidi. Il mento sporgente e appena rasato. Una bocca muta che si posa sulla mia, tampona di baci il mento e le guance. Si apre sul mio seno, sul sesso. I nostri piedi incrociati nel tepore di un letto che non rivedremo, ma che ha il sapore di qualcosa che è solo nostro. Esclusivo e familiare. Siamo stretti uno all’altra, ci fissiamo. Quando mi sistema i capelli dietro l’orecchio, con dolcezza, mi sento satura di una gioia che non conoscevo prima di lui.»
Annalisa De Simone ci porta dentro la vita di una donna alla soglia dei quarant’anni, una donna che torna continuamente a essere figlia, che trema davanti ai ricordi della sua infanzia. La protagonista del romanzo fa del corpo lo strumento primigenio, un corpo attraverso cui prova a comunicare, a creare legami, a sperare e a fantasticare un futuro diverso. Ma come si fa a immaginare qualcosa usando solo la pelle e i muscoli? Forse attraverso la barriera che la donna crea e che la tiene isolata dal mondo, perché lei è sempre sola, che sia con il compagno o con l’amante, che sia tra la gente o dentro una stanza senza altre persone. La solitudine, la sua, che diventa cura e dolore, che brucia e che al contempo la fa sentire viva.
«La prima settimana ho pianto un po’ dappertutto. Di mattina, sotto la doccia. Nel pomeriggio, quando mi chiudevo in bagno per fare pipì. Di sera, davanti alla tivvù dopo aver scelto “film drammatici” dalle categorie di Netflix. Ho dormito sempre sola. Un giorno ero in cucina con mio marito e ho aperto la bocca per iniziare a dirgli. Mi ha guardato come se sapesse cosa nascondevo, ma poi si è alzato per prendere un bicchiere d’acqua. Deve aver pensato che volessi parlargli di un figlio.»
La scrittura è puntuale, pulita e veloce, Annalisa De Simone ci narra una storia di padri che abbandonano figli e di figli che ricercano quel dolore dentro lo sguardo di altri uomini senza mai trovarlo e trovarsi. Una storia di ricerca, ricerca di maternità e di consapevolezza. Un libro che racconta il bilico, e con quanta decisione ciò che siamo stati può pesare su ciò che saremo.
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Forse si cerca sempre e solo di trovare noi stessi. Tutta la vita è un susseguirsi continuo di scelte, di momenti in cui decidiamo chi avere a fianco, fin quando non ci rendiamo conto che è quel pezzo di noi da sempre in ombra l’unico a poter combaciare alla perfezione con la nostra solitudine.
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Per la prima foto, copyright: Molly Belle su Unsplash.
Per la quarta foto, la fonte è qui.
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