“Segreta Penelope” di Alicia Giménez-Bartlett
Ai più assidui lettori delle mie recensioni, non sarà sfuggita di certo la mia passione per la scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett, della quale ho già parlato nella mia ultima recensione e anche in una meno recente.
Mi sento di fare un piccolo plauso alla casa editrice Sellerio, che ha creduto nella scrittrice, perché mi dà la speranza che in Italia ci siano ancora lettori ed editori che sappiamo apprezzare una buona letteratura, capace, non solo di intrattenere, ma anche di fornire alcuni strumenti per osservare il mondo costruito e vissuto intorno a noi. L’autrice è conosciuta per la saga poliziesca dell’investigatrice Petra Delicado, ma ritengo che il meglio di sé lo dia quando esce da questo filone e si occupa di argomenti “diversi”, anche se magari già esplorati da altri.
È questo il caso di Segreta Penelope. La storia racconta la gioventù di una donna che si è appena suicidata, vista con gli occhi di un'amica che narra le vicende accadute in passato. Gli incontri che farà dopo la cerimonia funebre con gli ex della donna sveleranno una serie di rapporti ambigui e doppiogiochisti fra tutti quelli che facevano parte del gruppo, gettando anche luce su storie d’amore trascinate o interrotte. Potrebbe sembrare un qualsiasi romanzo nostalgico-psicologico su come è bella la vita da giovani e come diventa complessa man mano che le responsabilità della vita gravano sul quotidiano e tutte quelle preoccupazioni che sembravano lontane, nel tempo e nello spazio, all’improvviso ghermiscono il presente che si abita.
Ma il piglio e lo stile con i quali l’autrice si approccia alla storia, trasforma quest’ultima in un giallo anomalo ma intenso, pur mantenendo una struttura classica: sappiamo esattamente chi è morto e come, ma non sappiamo chi sia il mandante, l’assassino.
La protagonista è una scrittrice lei stessa e ci racconta, attraverso ricordi e dialoghi con le persone che da sempre giravano intorno alla figura, quasi “mitologica”, di Sara, la metamorfosi dell'amica. Questa ragazza che viveva la sua gioventù con una speranza e una libertà che la facevano emergere dalla mediocrità in cui tutti sembrano invece volerla trascinare continuamente. L’arma del delitto? I sensi di colpa. Le amiche continuano per tutta la narrazione a vomitare addosso a Sara le loro proiezioni mentali, fino a distruggere tutto ciò che era.
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Il rapporto che c’è fra la narratrice e la vittima non è mai pulito e secco, ma è sempre “sporcato” da dubbi che sorgono nell’analizzare ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere; un'eterna spirale in cui veniamo fatti cadere, prendendo coscienza e immedesimandoci nelle scelte che le persone fanno nel racconto. Non c’è mai una soluzione, ma solo rimpianti.
Uno degli aspetti più belli del libro è senz’altro il legame che la Bartlett cerca di creare fra il fruitore e la donna suicida. Lega il lettore a questa figura tragica e il tutto diventa paradossale, perché più ci avviciniamo al finale, e ci appassioniamo a Sara, e più ci viene strappata dalle mani. Quando pensiamo di averla afferrata, lei ci sfugge con un ultimo colpo di reni, per dirci che non appartiene nemmeno a noi che abbiamo letto la sua storia. È un libro che parla di donne e di persone sempre troppo indaffarate ad amare loro stesse e le proprie convinzioni, a tal punto da non rendersi conto di fare del male alle persone che le circondano.
C’è un motivo per cui consiglio Alicia Giménez-Bartlett ed è perché riesce a stupirti sempre, anche quando sembra affrontare temi già trattati più volte. Il suo sguardo svela soprattutto gli angoli bui, che ci fanno stare con il libro aperto a riflettere su ciò che si è appena letto.
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