Scrivere di disabilità. Intervista a Sharon M. Draper
Out of my mind è il titolo originale con cui Sharon M. Draper racconta la toccante storia di Melody. Edito da Feltrinelli nella traduzione di A. Peroni, porta lo stesso nome della protagonista nella versione italiana. Melody è una ragazza speciale, con una memoria fotografica incredibile e dotata di un’intelligenza rara ma privata dalla possibilità di poterlo raccontare al mondo. Le riflessioni che nascono in seguito alla lettura del romanzo sono innumerevoli, così come le curiosità. Ad alcune di esse l’autrice americana, in Italia per presentare il romanzo, ha risposto durante un’intrigante intervista.
Leggendo il romanzo, la prima sensazione è di una sorta di comunanza con Melody: ciò che accade a lei, seppur in altre forme, accade a tutti noi. Parliamo, camminiamo, siamo fortunati, per usare le parole della mamma di Melody, ma, profondamente, abbiamo gli stessi problemi di questa bimba di dieci anni che guarda il mondo da una carrozzella. È questo il messaggio del libro?
È la stessa reazione che hanno avuto in tanti, sentirsi parte delle difficoltà che Melody affronta tutti i giorni, seppur calati ciascuno nella propria realtà. In tanti hanno compreso che effettivamente la sensazione di essere incompresi appartiene un po’ a tutti. Questa storia ha aperto gli occhi di molti lettori. Per quanto riguarda la questione del messaggio, non è nato per mia volontà, ma naturalmente. Sono convinta che i messaggi non funzionino nei libri, quello che funziona è ciò che i lettori scoprono da soli leggendo. E lo trovano più facilmente da soli che guidati da insegnamenti precostruiti.
Colpisce molto anche lo stile con l’uso della prima persona, grazie alla quale l’immedesimazione con il personaggio è quasi totale. Ho pensato quindi allo sforzo, per così dire, che ha dovuto compiere nella stesura del romanzo, ovvero: per riuscire ad accompagnare il lettore in un’immedesimazione tale, l’autore deve aver sperimentato lo stesso. La vita di Melody non è “simulabile” virtualmente, non è facile nemmeno immaginarla, eppure tra le righe del romanzo si percepisce un mondo realistico. Come ha fatto a documentarsi?
Ho fatto molta ricerca, moltissima ricerca. Conosco anche molte persone disabili, ho amici, famigliari e studenti disabili e mi sento completamente a mio agio tra le persone con difficoltà. Sono capace di comunicare con loro perché so come ci si sente, perché metto me stessa sulle loro sedie, per poi condividere con gli altri i loro sentimenti.
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Una delle ragioni per cui ho trovato la storia di Melody appassionante è il fatto che il romanzo non solo intrattiene con uno stile scorrevole e una vicenda intensa, ma insegna, per così dire. Insegna a riflettere offrendo gli spunti necessari per pensare a quanto letto anche alla fine della lettura. Sulla scia di queste considerazioni vorrei chiederle cosa sia la lettura per lei, o meglio qual è l’obiettivo dei libri?
Perché un romanzo venga definito letteratura, dovrebbe far riflettere il lettore per almeno un minuto. I libri ottimi ti fanno riflettere per più di un minuto. Ma non insegnano. Le storie belle e ben scritte sono quelle che ricordi e che spingono il lettore a pensare diversamente, ma senza pretese di insegnamenti.
So che il romanzo è stato tradotto in quasi venti lingue. Quali sono state le esperienze che ha raccolto in giro per il mondo, da parte dei suoi lettori?
Riguardo a questo argomento c’è un bellissimo aneddoto legato a dei bambini del Brasile con i quali sono rimasta in contatto perché volevo sapere cosa ne pensassero del libro dopo averlo letto. Tutti mi dicono di amare Melody, di capire perfettamente cosa le succede e che grazie alla sua storia sono riusciti a guardare il mondo con occhi diversi. E me lo scrivono in inglese con Google Translate, e così rispondo anche io loro, in portoghese. Non aggiungo altro sulle nostre divertenti problematiche comunicative.
Da questo ho notato che il mondo condivide un profondo senso comune di umanità e se ci si concentrasse di più su questo elemento che ci unisce il mondo stesso sarebbe un posto migliore. A mio avviso, il mondo dovrebbe essere guidato dagli scrittori.
Quando scrive, ha dei rituali? Come gestisce la scrittura, da un punto di vista pratico?
Mi sveglio molto presto al mattino, verso le quattro, perché è il momento in cui c’è silenzio e posso pensare. Mi siedo accanto alla finestra e guardo il sole sorgere, guardo gli alberi, e scruto il cielo per capire che tipo di giornata sarà. Tutto questo mi inspira e mi carica per lavorare tutto il giorno, fino al pomeriggio. Il giorno dopo edito. E il giorno che segue, riprendo la scrittura. Vivo nelle pagine del libro, che è anche la casa dei miei personaggi. Scrivere mi rende felice, perché adoro scrivere. La scrittura è un dono e questo rende poco difficile per me scrivere, perché è il mio dono e lo uso. Ecco, credo sia importante che le persone cerchino il proprio dono e lo usino.
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