Scrivere come i grandi. “Lolita” e i giochi di parole
Lolita (1955) di Vladimir Nabokov, maestro dei giochi di parole, non ha bisogno di presentazioni. È impossibile non conoscerlo, fosse anche solo per l’incipit. Che lo si sia letto o meno in quest’articolo si parlerà di un brano tratto dal capitolo 18, perciò ci saranno degli spoiler della trama. Fortunatamente il lettore avveduto sa che un bel romanzo, a differenza del racconto, si affida in minima parte ai colpi di scena. Il romanzo si concentra sui dettagli, nell’accumulare scene per creare situazioni. Se un romanzo (o anche un film) ci piace molto non esistiamo a rileggerlo. Ora che si è superata la diatriba e la paura degli spoiler procediamo con un breve riepilogo del romanzo in questione: Lolita è un romanzo in lingua inglese pubblicato a Parigi da parte di uno scrittore russo. È il racconto, in prima persona, di un pedofilo (immaginario) europeo emigrato in America, scritto in carcere poco prima della sua morte improvvisa per cause naturali. Humbert Humbert, rinchiuso in carcere, racconta la sua storia. Nabokov finge che, dopo la sua morte, il presunto manoscritto sia affidato dall’avvocato di H.H. a un certo John Ray Jr, che ne stende la prefazione e lo prepara alla pubblicazione.
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.» (Lolita, Nabokov)
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Lolita, così tutta la produzione di Nabokov, meriterebbe non un articolo, ma interi saggi, perciò ci soffermeremo su un dettaglio. Com’è giusto che sia dato che la scrittura di Nabokov, essendo un maestro, è nei dettagli, «queste note a pié di pagina nel volume della vita» come lui stesso li definiva. Il dettaglio su cui ci focalizzeremo è tratto dal capitolo 18 del romanzo, quando Humbert dopo essersi trasferito nella piccola città di Ramsdale, sposa senza amore Charlotte Haze, che gli aveva affittato una stanza. Charlotte è la madre di Lolita:
«Pensai di farle piacere entrando nella comunità locale con uno strascico di glamor: il giorno del nostro matrimonio apparve sulla rubrica mondana del «Journal» di Ramsdale una piccola intervista alla mia persona, con una foto di Charlotte (un sopracciglio alzato e un refuso nel cognome, «Hazer»). Nonostante il piccolo contrattempo la pubblicità scaldò gli anfratti di porcellana del suo cuore, e i miei sonagli di serpente tintinnarono di abominevole soddisfazione. Dedicandosi alle opere di beneficenza della parrocchia e facendo la conoscenza delle madri più eleganti delle compagne di scuola di Lo, in una ventina di mesi Charlotte era riuscita a diventare un membro della comunità se non eminente, almeno accettabile; ma mai prima d’allora era comparsa in quella emozionante rubrique, ed era merito mio, del signor Edgar H. Humbert (avevo aggiunto l’«Edgar» così, per puro capriccio), «scrittore ed esploratore». Il fratello di McCook, taccuino alla mano, mi aveva chiesto che cosa avessi scritto. La mia risposta, qualunque fosse, uscì così: «alcuni libri su Verlaine, Raimbaudelaire e altri poeti». Nell’articolo si diceva inoltre che Charlotte e io ci conoscevamo da parecchi anni, e che ero un lontano parente del suo primo marito. Avevo anche lasciato capire a McCook che tredici anni prima avevamo avuto una relazione, ma il giornale non ne parlò. A Charlotte dissi che le rubriche mondane scintillavano sempre di quel genere di perle.»
(Brano tratto dal capitolo 18 di Lolita, Vladimir Nabokov)
Premessa: la lingua materna di Nabokov era russa, naturalmente, essendo nato a San Pietroburgo nel 1899. I suoi primi libri furono scritti in russo e, successivamente, in francese (si fermò a Parigi alla fine degli anni Trenta prima di trasferirsi negli Stati Uniti). Da qui, gli innumerevoli giochi di parole col francese, col russo e con la pronuncia di queste lingue che si ritrovano in tutto il romanzo. Nel brano, in particolare, troviamo due giochi di parole su cui mi soffermerò:
Il primo, più semplice, è il riferimento a Edgar Allan Poe, quando aggiunge Edgar per velleità al proprio nome durante l’intervista. Non è il solo riferimento all’autore statunitense, sia perché Poe era abilissimo nei giochi di parole, e in parte perché sposò sua cugina tredicenne. Un altro riferimento è quando H.H. entra la prima volta in un motel con Lolita (dodicenne), e si firma come Dr. Edgar H. Humbert.
Il secondo è un esempio di Molteplicità di cui parlava Italo Calvino (alla fine di quest’articolo ne ho scritto riguardo Kafka, che anche Nabokov celebrava). Mi riferisco a questa frase, di cui riporto anche la versione originale per completezza:
“La mia risposta, qualunque fosse, uscì così: «alcuni libri su Verlaine, Raimbaudelaire e altri poeti»” – “Whatever I told him came out as «several books on Peacock, Rainbow and other poets.»”
A mio parere, in questa frase è contenuta un’ambiguità (con tutta l’eco che può avere in filosofia estetica questa parola, vedi Jakobson e la semiotica, Umberto Eco, 1978). Quando arriviamo a leggere il brano, sappiamo già, dal resto della vicenda, che H.H. si è trasferito in una piccola città, talmente piccola che probabilmente nessuno saprebbe fare il corretto spelling del poeta francese Rimbaud e che a H.H. interessa solo di Lolita. Inoltre, il racconto viene scritto successivamente da H.H. in carcere. Quest’informazione è fondamentale per intuire almeno due livelli di lettura (molteplicità) di questa frase, anche nell’originale in inglese:
1) Le virgolette indicano la citazione di come uscì sul giornale. Dato che il giornalista, provincialotto, non ne sa niente di poesia.
2) Le virgolette vogliono indicare quello che H.H. disse al giornalista provincialotto per prendersi gioco di lui.
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In entrambi i casi, il senso della frase all’interno del romanzo è conservato: Nabokov vuole trasmettere il disprezzo di H.H. nei confronti dell’intera comunità, a eccezione di Lolita, unico amore. Come abbiamo visto parlando di antitesi, il comportamento astioso di H.H. esalta, per contrasto, l’amore nei confronti di Lolita. La molteplicità passa anche dall’ambiguità, permettendo di esprimere più livelli di lettura tutti riferiti a un unico obiettivo narrativo. Nabokov non solo dà vita a un romanzo dalle mille meravigliose copertine, ma con i suoi giochi di parole in Lolita si conquista uno spazio tra i grandi della letteratura.
Per la prima foto, copyright: Christopher Campbell.
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