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Scrittura creativa – Incipit

Scrittura creativa, IncipitAh, l’incipit! Croce e delizia di ogni workshop di scrittura creativa. Negli scorsi appuntamenti abbiamo, più o meno, esaminato argomenti teorici, fornito definizioni, illustrato singoli elementi. Ora è il momento di affilare le punte delle matite, o di sgranchirci i polpastrelli sopra la tastiera. Nella “Appendice” alle sue Lezioni americane (1988), Italo Calvino scrive: «Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo». In questo atto c’è una grande potenzialità implicita. L’incipit è il momento del distacco dalla molteplicità dei possibili; l’atto creativo “supremo” del narratore è quello di allontanare questa informe molteplicità per isolare e rendere raccontabile la storia che abbiamo deciso di raccontare.

Perciò liberatevi della molteplicità e iniziate a dare forma alla vostra storia. La voce latina incipit (accento sulla prima i) deriva dal verbo incipĕre, “incominciare”. L’incipit è come un big bang, un’esplosione di significati, il primo vagito del vostro universo narrativo. Ma vedete di forgiarlo bene, questo mondo, a partire dall’inizio.

Dopo che avrete scritto poco più di una decina di righe potreste farvi la domanda: «Se mi trovassi in libreria e leggessi questo incipit, continuerei la lettura?». Vi consiglio di essere spietati con voi stessi. Vi state mettendo in gioco. Se il vostro incipit non vi convince, “resettate” tutto e riprendete da capo. È troppo importante, l’incipit, per rischiare di scrivere qualcosa di abborracciato.

Certo vi potrebbe essere utile fare un po’ di chiarezza sulla questione, anche se il vostro istinto poderoso di narratore vi guida al meglio nello scovare la formula più adatta. Difficile stimare la lunghezza di un incipit: a volte è un singolo enunciato, come: «Mentre puliva il coltello, scoprì che l’amava». Non intravedete tutta una storia dietro un incipit come questo? A volte sono 10 o 20 righe, talvolta una pagina intera. L’importante è che inneschi nel lettore delle aspettative. Dovreste sapere, piuttosto, che ci sono due modalità di articolare un incipit, e precisamente facendosi due brevi domandine:

Quando? In quale segmento narrativo, in quale punto della fabula e dell’intreccio intendereste collocare il vostro incipit? Dovendo scrivere la biografia di un personaggio è probabile che il vostro incipit si innesti all’epoca che vede la nascita del medesimo. Altro esempio: qualche anno fa mi proposi di scrivere il racconto di una relazione amorosa finita non propriamente bene. Decisi che avrei aperto il mio racconto introducendo il personaggio maschile nel momento in cui la sua storia d’amore era terminata, per poi narrare a ritroso tutti gli antefatti, tornando indietro nel tempo a quando tutto ebbe inizio.

Come? Qui le risposte sono più articolate e sarà bene fare qualche esempio. Potremmo iniziare da una descrizione di paesaggi, di scene, di contesti storici, di spazi interni come una stanza. Vi ricordate tutti l’incipit di un celebre romanzo di Alessandro Manzoni: «Quel ramo del lago di Como […]». Stesso discorso vale, a esempio, per uno splendido racconto di Thomas Mann, Tonio Kröger (1903): «Il sole invernale non era che un pallido chiarore, lattiginoso e stanco, dietro le coltri di nubi sulle vie raccolte della città. I vicoli chiusi dai frontoni delle case erano bagnati e percorsi dal vento, e di tanto in tanto vi cadeva una specie di grandine molle, né neve, né ghiaccio. La scuola era finita. I ragazzi, finalmente liberi, fluivano a schiere per il cortile lastricato e, usciti dal cancello, si separavano e allontanavano in fretta, a destra e a sinistra» (traduzione di Anna Rosa A. Zweifel). È quasi cinematografico, non trovate? Come se una telecamera riprendesse prima il cielo, poi i vicoli, poi i bimbi che sciamano fuori da scuola. Dal generale al particolare.

Capita sovente che l’incipit di un racconto o di un romanzo descriva un personaggio. È il caso di Emma, di Jane Austen (1815): «Emma Woodhouse, bella, intelligente e ricca, con una casa confortevole e un carattere allegro, sembrava riunire in sé il meglio che la vita può offrire, e aveva quasi raggiunto i ventun’anni senza subire alcun dolore o grave dispiacere» (traduzione: Pietro Meneghelli)

Molte narrazioni, tuttavia, iniziano in medias res, ovvero nel cuore dell’azione. Non mi stancherò mai di citare il folgorante incipit de La metamorfosi (1915) di Franz Kafka: «Una mattina Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso. […] “Che mi è accaduto?”, pensò. Non era un sogno» (traduzione: Anita Rho)

Ci sono incipit che presentano forme di generalizzazione; ovvero, prima di entrare nel vivo della storia, introducono delle tirate filosofiche, pensieri, considerazioni dell’io narrante o dell’autore implicito. Andate a leggere Bambini nel tempo di Ian McEwan (Einaudi, 1988): inizia con un’elegante requisitoria al traffico congestionato di Londra nelle ore di punta. Il romanzo di Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere (Adelphi, 1989), parte con una riflessione filosofica: «L’idea dell’eterno ritorno è misteriosa, e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell’imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l’abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all’infinito! Che significato ha questo folle mito?» (traduzione di Antonio Barbato).

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Potreste iniziare con un dialogo, come in Agosto, moglie mia non ti conosco (BUR, 1999) di Achille Campanile.

Ci sono incipit di grande atmosfera. Vi consiglio di leggere Il ragazzo morto e le comete di Goffredo Parise (Adelphi, 2006): «Questa è una sera d’inverno. Prima che il buio e il gelo arrivino nei cortili a tramontana, per tutta la notte, Giorgio, Abramo e gli altri ragazzi accendono fuochi con foglie fradice, rami morti e carta raccattata nelle immondizie». È una sorta di rito iniziatico/propiziatorio, quello che celebrano questi ragazzi immersi nella miseria, tra le case sventrate, nel cuore della devastazione prodotta da una guerra priva di senso.

Altri incipit hanno caratteristiche musicali, come nella prima pagina di Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce (1917), che per essere apprezzato appieno andrebbe letto in lingua originale. Uno dei miei preferiti è senza dubbio l’abbrivio di Lolita di Vladimir Nabokov, nella bella traduzione per Adelphi (1993) di Giulia Arborio Mella: «Lolita. Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere al terzo, contro i denti. Lo.li.ta.».

Ci sono incipit che rispecchiano alcuni temi metanarrativi, e lo fanno con una tale grazia da non risultare dei meri esercizi di stile, come nel caso di Woody Allen: nella sceneggiatura di Manhattan (BUR, 1982) ci restituisce il disagio dell’horror vacui di uno scrittore di fronte a un foglio bianco e all’incipit più efficace da infilare: «Voce di Ike: “Capitolo primo. Adorava New York. La idolatrava smisuratamente.” Uh, no, facciamo così: “Egli la mitizzava smisuratamente. Ecco… per lui in qualunque stagione questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava con i grandiosi motivi di George Gershwin.” Ah, … ricominciamo da capo. […] “Capitolo primo. Era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto.” […] “Trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico.” […] “Per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea.” […] “La stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade, stava trasformando rapidamente la città dei suoi sogni in…” […] No, troppo predicatorio. Insomma, guardiamoci in faccia…: io questo libro lo devo vendere. “Capitolo primo. Adorava New York City.”» (traduzione di Adalgisa Campana).

Chiudo con l’incipit dell’amato di Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979, Mondadori 2000): «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: “No, non voglio vedere la televisione!” Alza la voce, se non ti sentono: “Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!”»

Buon incipit a tutti. Ci vediamo la prossima settimana col nostro appuntamento sulla scrittura creativa.

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