Scrittori da (ri)scoprire – Tommaso Landolfi
Tommaso Landolfi (Pico, 1908 – Ronciglione, 1979) è considerato, nonostante una larga produzione letteraria, uno scrittore estremamente di nicchia, anche perché la maggior parte delle sue opere è rimasta pressoché sconosciuta al grande pubblico.
Nasce a Pico, un paesino della provincia allora chiamata Terra di Lavoro, passato dal 1927 alla provincia di Frosinone, in una famiglia di proprietari terrieri benestanti e nostalgici del regno borbonico. Rimane orfano di madre ad appena due anni ed è cresciuto da una zia, perché anche il padre è spesso in viaggio lontano da casa. Compie gli studi a Roma, quindi si iscrive all’università a Firenze, dove si laurea nel 1932 in letteratura russa, frequentando gli ambienti intellettuali della città, tra cui il famoso Caffè delle Giubbe Rosse, e studiando alla perfezione russo e tedesco. Nel 1934 è chiamato a Palermo per il servizio militare, ma il padre riesce a farlo esonerare, grazie alle sue conoscenze nell’esercito, e torna quindi a vivere tra Firenze, Roma e la casa familiare di Pico, collaborando attivamente a diverse riviste letterarie.
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Quasi tutti i suoi libri vengono poi pubblicati raccogliendo materiali già apparsi in precedenza su riviste, a partire dalla raccolta di racconti Dialogo dei massimi sistemi con cui esordisce nel 1937. In queste prime storie sono già presenti molti dei suoi temi ricorrenti: l’appassionata ricerca linguistica, con la scelta di vocaboli ricercati e spesso arcaici, il gusto per l’insolito e il fantastico, fino all’orrido e al ripugnante, le visioni surreali.
Seguono il romanzo La pietra lunare (1939) e altre due raccolte di racconti, Il mar delle blatte e altre storie (1939) e La spada (1943). Scrittore inquieto ed eclettico, poco dopo si cimenta anche con un romanzo per bambini, Il principe infelice (1943), a cui ne sarebbe seguito un altro diversi anni dopo, La raganella d’oro (1954).
Durante la guerra Landolfi si rifugia per lunghi periodi nei boschi attorno a Pico per evitare i rastrellamenti dei tedeschi, mentre un bombardamento distrugge parte del palazzo di famiglia. Giocatore incallito, nel dopoguerra inizia a recarsi spesso nei casinò di Sanremo e di Venezia: il gioco diventa un altro tema ricorrente delle sue narrazioni, e giocatori sono diversi suoi personaggi.
Racconto d’autunno (1947) è un romanzo in cui si parte da un’ambientazione realistica durante la guerra partigiana a un intreccio che lo avvicina al romanzo gotico. Seguono le raccolte Ombre (1954), In società (1962) e Tre racconti (1964), che vince il Premio Selezione Campiello, ma negli stessi anni Landolfi pubblica anche raccolte di poesie, drammi teatrali di ambientazione tra lo storico e il fantastico e testi diaristici, di cui il più curioso è LA BIERE DU PECHEUR (1953), dal titolo volutamente in maiuscolo e senza accenti che si presta a una doppia traduzione: può essere “la birra del pescatore”, “la bara del peccatore” e viceversa. Il libro è un curioso pastiche che mescola pagine di diario autentiche e inventate, lettere e citazioni di altri scrittori.
Nel 1955 Landolfi si sposa e dal matrimonio nascono due figli, Maria detta Idolina (che da adulta diventerà curatrice delle opere paterne) e Landolfo. Al principio degli anni Sessanta la famiglia si trasferisce per alcuni anni ad Arma di Taggia e poi a Sanremo e nello stesso periodo lo scrittore inizia una lunga collaborazione con il Corriere della Sera.
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Rien va (1963) e Des mois (1967) sono altre opere diaristiche dedicate soprattutto alla paternità. Un altro tema frequente nelle sue opere è la critica alla società dei consumi, ma compiuta da un punto di vista squisitamente aristocratico e conservatore.
Alla scrittura, Landolfi affianca un’intensa attività come traduttore dei grandi classici russi e tedeschi, ma il suo terreno preferito restano sempre i racconti: Le labrene (1974) vince il Premio Selezione Campiello, mentre A caso (1975) si aggiudica lo Strega.
Amato da Carlo Bo, da Giorgio Bassani e da Italo Calvino, che ne cura successive pubblicazioni di racconti, Tommaso Landolfi viene spesso classificato come surrealista, ma resta un autore che sfugge a ogni inquadramento. Alla fine degli anni Settanta si ammala seriamente e dopo alcune crisi cardiache muore a Ronciglione, presso Viterbo, nell’estate del 1979.
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