Scrittori da (ri)scoprire – Sergio Atzeni
Scrittore e giornalista, Sergio Atzeni (Capoterra, 1952 – Carloforte, 1995) è stato la voce letteraria più importante della Sardegna nella seconda metà del Novecento.
Nasce a Capoterra, cittadina ai margini dello stagno omonimo affacciato sul mare di fronte a Cagliari, ma trascorre l’infanzia a Orgosolo, nel nuorese, finché la famiglia si stabilisce a Cagliari: Licio, il padre, è molto attivo prima come sindacalista dei minatori, poi in politica come segretario di federazione del PCI, mentre la madre Graziella, che lavora come ostetrica, è a sua volta una militante comunista e dirigente dell’Unione Donne Italiane. Crescendo in un ambiente tanto impegnato, Atzeni si appassiona a sua volta molto presto alla politica, entrando nella federazione giovanile comunista.
Si iscrive anche all’università, ma l’abbandona presto per dedicarsi al giornalismo, fondando e dirigendo per qualche anno Altair, un mensile che si occupa di turismo e tempo libero in Sardegna.
Dopo aver pubblicato racconti, fiabe e alcuni testi teatrali presso piccoli editori sardi, Atzeni esordisce nella narrativa quando Elvira Sellerio gli pubblica il primo romanzo, L’apologo del giudice bandito (1986): si tratta della ricostruzione di un fatto avvenuto realmente nel 1492, quando il popolo cagliaritano istituì un processo alle cavallette che distruggevano i raccolti. Ambientato nell’anno simbolo dell’era moderna, il romanzo descrive i conflitti tra potere spagnolo, potere ecclesiastico e contadini spesso dotati di un animo banditesco.
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L’anno successivo, a seguito di una profonda crisi personale dovuta in parte al fallimento del matrimonio, da cui era nata una bambina, Atzeni si converte al cattolicesimo e decide di allontanarsi dalla Sardegna, viaggiando per qualche mese in vari paesi europei e decidendo quindi di stabilirsi a Torino. Qui lavora nel mondo editoriale come lettore di manoscritti, correttore di bozze e traduttore dal francese, per potersi dedicare completamente alla scrittura.
Il secondo romanzo, Il figlio di Bakunìn (1992) è una potente storia corale che cerca di ricostruire la vita di un minatore comunista sardo, vissuto al principio del Novecento, attraverso le voci di chi lo aveva conosciuto: tema di fondo è quindi la storia delle lotte sociali dei minatori del Sulcis e dell’Iglesiente, zone in cui all’epoca era molto diffusa l’estrazione del carbone da numerose miniere poi cadute quasi del tutto in disuso.
In una narrazione che mira a ricostruire i principali aspetti della società sarda in vari momenti storici, i personaggi di Atzeni appartengono a tutte le classi sociali, ma appare evidente una predilezione dello scrittore per le storie dei più deboli, degli umili e degli emarginati, frutto anche di un intenso impegno politico.
Il quinto passo è l’addio (1994) racconta storie di disagio giovanile, con un protagonista contemporaneo riflette sulle proprie sconfitte esistenziali e sentimentali, ma senza dimenticare importanti riflessioni su un passato sardo epico e leggendario.
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Con Passavamo sulla terra leggeri (1996), una rievocazione in chiave mitica della storia sarda dalle origini al quindicesimo secolo, lo scrittore inizia a sperimentare una commistione tra lingua sarda e italiana, affine a quella portata al successo col siciliano da Andrea Camilleri. Il romanzo purtroppo esce postumo: poco dopo averlo consegnato all’editore, Sergio Atzeni si reca a trascorrere le vacanze estive in Sardegna e muore tragicamente nel mare dell’isola di San Pietro, quando una violenta ondata lo scaraventa sugli scogli. L’anno successivo uscirà anche Bellas mariposas (1996), monologo di una dodicenne di periferia che racconta una sua giornata memorabile tra italiano, sardo e gergo giovanile.
Nonostante la breve vita e la prematura scomparsa, la memoria di Sergio Atzeni si è mantenuta viva in Sardegna, dove conta sempre su un discreto pubblico di lettori: si può dire che i suoi romanzi abbiano fatto finalmente entrare Cagliari nella letteratura, come non era mai accaduto in precedenza, dato che la città era sempre stata trascurata anche dagli stessi autori sardi.
Da Bellas Mariposas il regista Salvatore Mereu ha tratto un film, presentato nel 2012 alla Mostra del Cinema di Venezia.
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